da www.stradeferrate.it - Foto Rosario Serafino 2011 |
15 maggio 2011
A 14 anni è presto
per salire tutte le mattine su un treno per andare a scuola ma era la scelta
obbligata dei ragazzi di Telese che volevano continuare gli studi.
Fino alla fine degli
anni ’60, infatti, in paese non c’erano scuole superiori e lasciate le aule
della Scuola Media, lambite dalle acque del Grassano, l’alternativa era tra
Cerreto e Benevento.
A Cerreto per
i ragazzi c’era il Liceo Classico e per le ragazze l’Istituto Magistrale,
entrambi di estrazione religiosa. Il primo era annesso alla Curia e il secondo
era tenuto dalle suore in un bel palazzo antico su in cima al Corso.
Una corriera azzurra
della Ditta Tinessa era sufficiente ad assicurare il collegamento tra i due
paesi.
Benevento, per
l’ampia offerta scolastica, era l’opzione preferita e veniva invasa
giornalmente da centinaia di studenti provenienti da tutta la provincia, in
corriera o in treno. Quello da Telese, “il treno degli studenti”, raccoglieva anche
i pendolari dell’entroterra, partiva al mattino alle 6,05 e arrivava a
Benevento dopo circa un’ora. La sveglia suonava alle 5,30 ma nessuno la sentiva
ed allora, catapultati fuori dal letto dagli urli dei genitori, si usciva di
casa appena vestiti e si percorreva quasi sempre di corsa tutto il viale per la
stazione.
La voglia di dormire
era comune a tutti e così man mano che si avanzava verso la stazione ci si
incrociava con gli altri ritardatari. Quasi sempre con Augusto di Carlo che mi abitava di fronte
o con i fratelli Pacifico che abitavano nelle vicinanze. Superato il quadrivio
sbucava Fulvio Vassallo e più avanti uscivano Mimmo Tammaro, Riccardo Affinito
e di lì a qualche metro Franco e Antonietta D’Angicco o Beppe Carizzi seguito
dallo sguardo apprensivo della nonna dietro i vetri e negli ultimi metri
Giacinto Carlone. Un ciao assonnato e un occhio alle lancette dell’orologio,
senza perdere il passo, con i libri che scivolavano da sottobraccio. La borsa
era da secchioni ed allora erano tenuti insieme dall’elastico azzurro, teso al
massimo quando c’era il vocabolario per il compito in classe.
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Superata la Seneta
si iniziava a correre perché davanti alla stazione c’era puntualmente qualcuno,
spesso Nicola Sparano, Eduardo Presutto o Aldo Cuciniello, fratello di Osvaldo,
che si sbracciavano per far capire che il treno era arrivato. Si, per fortuna
c’era sempre chi arrivava prima. Erano i più mattinieri o i figli dei
ferrovieri che avevano la fortuna di abitare alle “palazzine”, un passo dalla
stazione: Tonino Conte, Annamaria, Elena, Ettore e Ubaldo Cuccillato, Luca de
Crescenzo, Trentino Bosco, Mimmo e Elvira Follo e tanti altri purtroppo sfumati
nella memoria.
Il punto di ritrovo
– se si arrivava prima – era la sala d’aspetto con le quattro panche in legno,
il fumo delle prime sigarette e i capannelli formati di mattina in mattina per
affinità scolastica o per amore del pallone, con una spontanea divisione tra i
“piccoli” del primo o secondo anno e i “grandi” del quarto o quinto.
Ma la tattica per
rallentare la partenza e consentire a tutti di arrivare era patrimonio comune e
il capostazione bonariamente faceva finta di non vedere. Si aprivano gli
sportelli delle carrozze, tutte di III classe interni in legno, non si saliva e
si procedeva verso le successive, a passo lento. Il tempo impiegato dal
controllore per richiudere era quello concesso ai ritardatari per fare la
volata finale, tagliare il traguardo del primo binario e salire di corsa sul
treno in partenza dal secondo. Ma non sempre funzionava ed allora si tornava
mestamente al quadrivio a prendere la corriera delle 7 pronti a subire il
rimprovero del professore della prima ora, per l’inevitabile ritardo.
Il treno era
praticamente degli studenti. Ne erano già saliti a Dugenta ed Amorosi e
dopo Telese, dove eravamo tantissimi, sarebbero saliti quelli di Solopaca e di
Ponte. All’andata il clima era sonnecchiante o teso per la paura di
un’interrogazione. Era il momento dei veloci ripassi, della copia di un compito
non fatto, dei furti delle colazioni con le rincorse dalla cima al fondo del
treno, dei primi flirt, delle strategie per sottrarsi al controllore al ricordo
improvviso dell’abbonamento scaduto. La stazione di Benevento, alle 7 di
mattina, era avvolta d’inverno in una nebbia fitta che nascondeva anche i
palazzi di fronte. Si sciamava sui marciapiedi verso il centro fino a Piazza
Roma da dove ci si divideva tra i vari istituti, invidiando i compagni di
scuola di Benevento che a quell’ora ancora dormivano.
Alle 13,20 c’era il
treno del ritorno e l’aria era più festante. La giornata scolastica era passata
ed era il momento di rilassarsi programmando il pomeriggio con una partitella
sul campetto della Seneta, al bigliardino di Santella o sui libri, in attesa di
un nuovo giorno e di una nuova levataccia. Così anno dopo anno senza sentirne
il peso ma gustando al mattino il piacere di incontrarsi ed apprezzando giorno
dopo giorno lo scorrere delle stagioni che a quell’ora del mattino passavano
dal freddo e dal buio dell’inverno al tepore e al verde della primavera, con
quell’aria frizzante e quella luce radiosa che preannunciava l’estate.
(da Fotogrammi di
memoria, Aldo Maturo, ediz.Nous 2013)