E' un lavoro di alta
professionalità ma l’errore può essere inevitabile e quando si verifica può
sconvolgere la vita di una persona. Il processo è l’ultima spiaggia per
condannare un colpevole o assolvere un innocente. Ma in quest’ultimo caso una
vita può già essere stata moralmente e pubblicamente distrutta.
Aldo Maturo - Avvocato
da "Cronache
e.. dintorni", di Aldo Maturo, Nous Editore, 2014
Gli uomini in tuta
bianca e valigetta vagano come fantasmi sulla scena del crimine. Non c’è
delitto importante che non li veda presenti. Li vediamo muoversi bardati
come in una sala operatoria, con gli immancabili calzari, mascherina e
cappuccio. Al di là dell’inevitabile effetto coreografico e delle facili
mitizzazioni televisive, è certo che, se la scena del crimine non è già stata
inquinata da precedenti incauti interventi, la loro opera è
preziosa per gli inquirenti, così come è pericolosa per quelli che
dovessero risultare inquisiti.
Arrivano con le loro
attrezzature e fissano la situazione dei luoghi e delle cose, accertano la
presenza di eventuali tracce connesse al reato, fotografano e riprendono,
inquadrano la scena del crimine evidenziando ogni minimo particolare
utile alla ricostruzione del reato con valore di prova ai fini processuali.
Un capello, un pelo, un’impronta digitale, un filo di lana o di cotone, una goccia di sangue, l’orma di una scarpa,tracce di saliva, di terra, una gocciolina di sangue o di sperma, la scheggia di un’unghia o quello che vi è sotto: tutto finisce meticolosamente nelle provette o nei kit di raccolta per essere trasferito nei supermoderni laboratori scientifici, dove verrà analizzato per aprire la strada che può portare al colpevole. Quella della ricerca e repertazione è un’ operazione di alta specializzazione per evitare di prelevare tracce utili insieme ad altre impurità che potrebbero inquinare gli esami e dar luogo a risultati sbagliati.
In Italia gli
“uomini in bianco” appartengono a reparti specializzati dei carabinieri
e della polizia ed hanno contribuito a risolvere i più efferati delitt
Dalla fine degli
anni ’80 l’analisi più ricorrente è quella del DNA, sigla inglese che sta per
Deoxyribo Nucleic Acid (acido desossiribonucleico), la molecola depositaria
dell’informazione genetica di quasi tutti gli organismi. Il nostro patrimonio
genetico è assolutamente personale tanto che non esistono al mondo due soggetti
geneticamente identici: ogni individuo ha una identità biochimica e
molecolare eguale solo a se stesso (ad eccezione dei gemelli monoculari).
E’ la nostra “impronta digitale genetica” che da anni ha fatto il suo
ingresso ufficiale nelle aule di tribunale.
Analizzando il reperto organico trovato sul luogo del delitto si risale
al DNA della persona cui appartiene e questo DNA lo si compara poi con quello
di eventuali sospettati il cui DNA corrisponde alle prove lasciate sulla scena
del crimine. E’ una responsabilità enorme, ma per fortuna oltre che a incolpare
serve anche a scagionare persone erroneamente accusate di crimini.
IMPRONTE DIGITALI
Altra ricerca degli
investigatori sono le impronte digitali, quei disegni lasciati dalle superficie
delle dita quando vengono premute o anche solamente appoggiate su un oggetto
come carta, vetro, legno, plastica, ferro, acciaio, porcellana, etc. A maggior
ragione se le dita sono sudate, sporche, unte o grasse.
Sull’epidermide delle mani e dei piedi, infatti, ci sono delle sporgenze che
formano disegni caratteristici e irripetibili da uomo a uomo, sporgenze
chiamate creste papillari. I polpastrelli delle dita sono le parti della pelle
umana che non solo lasciano i disegni più sviluppati - perché le creste
servono alla funzione prensile e tattile dell’individuo - ma anche i più
complessi e quindi più facilmente comparabili e riconducibili al colpevole.
Le impronte
visibili vengono fotografate mentre quelle invisibili ad occhio nudo
vengono evidenziate con metodiche chimico-fisiche altamente scientifiche.
Lo
stesso utilizzo di guanti non sempre è sufficiente a sviare le indagini
specialmente se i guanti utilizzati erano sporchi o unti. Le impronte, infatti,
possono essere rilevate anche all’interno di guanti di pelle o di plastica
specialmente all’altezza dei primi polpastrelli delle dita.
La
identificazione tramite le impronte digitali è un problema ben noto negli
ambienti della criminalità e sono sempre più, soprattutto tra gli
extracomunitari, quelli che si bruciano con l’acido i polpastrelli per
evitare di essere identificati quando vengono “fermati” dalle forze
dell’ordine, specialmente quando sanno che sono già stati sottoposti a rilievo
dattiloscopico.
LUMINOL
La ricerca di
macchie di sangue - nei casi che lo prevedono – costituisce un altro punto di
forza ai fini investigativi. Il sistema di ricerca più utilizzato è il Luminol,
un composto chimico che, unito all’acqua ossigenata, se viene a contatto con un
catalizzatore come il ferro, emette una luminosità evidente ed azzurrina.
Poiché nel sangue è presente il ferro la reazione con il Luminol ne fa scoprire
la presenza.
Il prodotto viene spennellato sugli oggetti o sulle pareti su cui si pensa
possano esserci tracce di sangue. L’esame va fatto al buio per vedere se
compaiono luminosità dovute alla reazione tra il Luminol e il ferro contenuto
nel sangue. Naturalmente se c’è sangue viene prelevato e sottoposto all’esame
del DNA.