Natale : pensieri di un precario
Ieri ho fatto la spesa per i giorni di Natale. Non la facevo per bene da due o tre settimane. Anche perché pure cercando tutte le offerte nei discount, come ho sempre fatto, spendi 50 euro e non compri quasi nulla: ti ritrovi con due buste piene, le svuoti sul tavolo di casa. Ti rendi conto che durerà davvero poco.
Il momento peggiore ogni volta è alla cassa: il terrore che la mia carta (non di credito, per carità, e chi me la concederebbe) venga respinta. E pensare che non prelevo al bancomat prima di entrare al supermercato proprio perché il pensiero di togliere altri soldi dal conto mi fa stare male.
È già successo altre volte che alla cassa non mi accettassero il pagamento: alcune è semplicemente la connessione della mia banca a non funzionare. Ho scelto una banca da due soldi e un conto online gratuito per non avere spese, non potrei permettermelo e quindi non posso aspettarmi granché. Sono anche andato in banca a spiegare la situazione: mi hanno trattato come l’ultimo dei pezzenti, facendomi capire che con un conto gratuito non avevo alcun diritto. “E cambia banca”, direte voi. Non ce l’ho fatta. Presentarmi a un altro impiegato, spiegargli quanto prendo, rifare tutto da capo…. l’umiliazione, una volta di più. Non ce la faccio.
Altre volte la carta non ha funzionato perché erano finiti i soldi. Non mi avevano pagato delle fatture, nonostante avessi passato ore e giorni al telefono da un ufficio all’altro, per cercare di capire una buona volta quando sarei stato pagato (e quanto).
Alla fine impari a non pensare più a nulla, a fregartene di tutto. Da quanti giorni mangi solo pasta? Non importa. Cosa avranno pensato di te le persone in fila alla cassa, o la cassiera? Non importa. Non è successo. Torno a casa e faccio il mio lavoro, il peggio possibile, tanto non mi pagheranno, tanto non mi importa più di nulla. Ormai ho tagliato tutto quello che potevo: non viaggio mai, esco solo per una birra con gli amici il weekend, non faccio vacanze, non compro nulla. Non riesco a “mettere da parte” nulla. Ho 33 anni e la partita iva: di quella miseria che guadagno pago il 33 per cento di tasse allo Stato, che in realtà diventa un 50 per cento se conti l’anticipo sulle tasse del prossimo anno. E i mille euro che si prende il commercialista.
La maggior parte dei miei soldi se li prende l’Inps, eppure non posso sapere neanche quanto prenderò di pensione da vecchio, anche se sembrano tutti concordi nel dire che sarà una cifra ridicola. E se domani al lavoro mi danno un calcio in culo, per qualsiasi ragione, non ho alcun sussidio. Una volta sono andato a un sindacato importante a spiegare la mia situazione, mi hanno detto che non possono farci nulla. E hanno ragione, è tutto in regola.
Mi sento in trappola, in prigione, ho la claustrofobia, e non c’è nulla che possa fare per uscirne. Non sono precario, sono povero, povero in canna.
A forza di fare economie sulla mia vita e di cercare di lavorare il più possibile, correndo da una parte all’altra per risolvere tutti quei problemi che capitano sempre quando non hai un soldo… alla fine non so più cosa è rimasto della persona che ero. Nulla, quasi nulla. Io non so chi sono. Continuo a lavorare un giorno dopo l’altro come un fantasma e, quando passo davanti alle vetrine di Natale, io continuo a guardare dritto. Andrò a dormire e domani mi alzerò, indosserò la camicia e la giacca buona e fingerò un’altra volta di essere una persona normale, con una vita normale. Proprio come voi.
(di Michele Azzu – da L’isola dei cassintegrat)