19.4.2010
A.G. viveva fra i
canneti che sul S.Bartolo nascondono i viottoli che traversano il colle, lì
dove Villa Pavarotti domina il mare sferzata dai venti di tramontana. Più giù,
dove il lussuoso parco della villa scivola verso l’anonimato della boscaglia
invasa da un fitto canneto, c’era il giaciglio di A.G.
Per arrivarci
bisognava bypassare all’esterno il cancello di Villa Pavarotti ed inerpicarsi
carponi fra gli arbusti e le canne, che si aprivano e richiudevano al passaggio
quasi a proteggere l’incauto visitatore. Poi dietro una macchia di fogliame appariva
un telo, sbiaditamente azzurro, sostenuto da quattro canne, illusoriamente
ancorato ai rami di sambuchi e robinie.
Tutto intorno
barattoli, bottiglie, pentole, scarpe. Un barometro penzolava ironicamente da
un ramo, rassegnato anch’egli alla sua nuova vita. Lo squallore si univa alla
quiete e al silenzio e in quest’atmosfera suggestiva e riposante giungeva il
rumore del mare, che laggiù in fondo si frangeva sulla spiaggia. Nella tenda
solo un materasso appiccicaticcio, coperte ammucchiate e qualche brick di
Tavernello, perché un sonnifero costa di più. Questa la sua tana, per oltre tre
anni, fino a qualche sera fa, quando qualcuno ha pensato di sfrattarlo. Senza
ruspe ma con un accendino, come a Rimini e come in tante altre città. A.G. si è
salvato per miracolo e ha girovagato terrorizzato per le panchine della città.
Infine, come tanti, ha scoperto le rive del fiume e si è avventurato in una
nuova tana. Prima di dormire non sa se si risveglierà al rumore delle ruspe o
annaspando nelle acque che possono gonfiare il fiume.
M.M. invece si era
adattato a vivere in un angolo di un vecchio capanno di via dell’Acquedotto. Ci
stava con la sua compagna e l’inseparabile cane. Lo aveva arredato pescando i
mobili nei cassoni della spazzatura del vicino deposito Aspes. Angolo notte,
circondato da teli di plastica, zona cucina-soggiorno, un mare di libri che
leggeva anche di sera alla incerta luce del lampione stradale.
Mai un problema con
la giustizia, una vita misera ma dignitosa, trascorsa tra l’ospedale, la caritas
e le porte di un famoso supermercato, con quel cagnone nero rassegnato e felice
di essere notte e giorno vicino al suo padrone.
Una brutta mattina un rumore cupo si è avvicinato come un tuono. Le ruspe, con il gracidare delle radiotrasmittenti e accompagnate da decine di lampeggianti, hanno eseguito l’ordine del nuovo assessore. E’ sembrata un’operazione di guerra ma per nemico c’erano solo quattro poveracci. Le ruspe si sono abbattute sui capanni sotto gli occhi attenti o lucidi dei protagonisti. Giustizia è stata fatta. Le panchine della città e le rive del fiume hanno acquistato altri inquilini. Sono solo due storie di questa città in cui si vivono stridenti contraddizioni.
Una brutta mattina un rumore cupo si è avvicinato come un tuono. Le ruspe, con il gracidare delle radiotrasmittenti e accompagnate da decine di lampeggianti, hanno eseguito l’ordine del nuovo assessore. E’ sembrata un’operazione di guerra ma per nemico c’erano solo quattro poveracci. Le ruspe si sono abbattute sui capanni sotto gli occhi attenti o lucidi dei protagonisti. Giustizia è stata fatta. Le panchine della città e le rive del fiume hanno acquistato altri inquilini. Sono solo due storie di questa città in cui si vivono stridenti contraddizioni.
C’è una faccia
della città che la gente non conosce. E’ l’altra città, quella conosciuta solo
agli addetti ai lavori, ai volontari del Centro di Ascolto della Caritas, ai
servizi sociali. E’ la città che ci da fastidio, che non vorremmo vedere e che
pensiamo di poter rimuovere dai nostri occhi a colpi di ruspa, possibilmente ripresi
da reporter e fotocamere. E’ la città degli accattoni, degli extracomunitari,
dei rom, dei lavavetri, è la città che quando si spengono le vetrine dei negozi
occupa le panchine, gli androni, le sale di aspetto. E’ un genere umano che
rimuoviamo perché ci rimprovera di essere nati più fortunati. Hanno fatto un
deserto e lo hanno chiamato pace, scriveva Tacito. Noi il deserto lo facciamo
con le ruspe e mettiamo in pace le nostre coscienze.
Tutti noi che
lavoriamo in questo mondo sappiamo che non ci sono solo poveri emarginati ma
anche furbi, delinquenti, spacciatori. Se si riuscisse a creare un tavolo di
lavoro intorno a cui far sedere uomini delle forze dell’ordine ed esponenti di
un coordinamento delle associazioni assistenziali, forse si potrebbe creare un
progetto unitario, un piano per selezionare gli interventi senza escludere
anche quelli previsti dalle norme penali, lì dove necessario. Invece no, si
vive alla giornata, senza collegamenti, con interventi estemporanei, con gli
utenti che fanno il giro ben sapendo che la mano destra non sa cosa fa la
sinistra. Tutto sommato anche l’emarginazione, come la tossicodipendenza, è un
mercato e crea posti di lavoro. Chissà che non sia più utile gestirla così
questa emarginazione. Eppure ci si potrebbe attendere di più da una città
sensibile, attenta, con una sinistra al potere da tempo immemorabile. La
domenica le Chiese sono piene di fedeli e gli altari sono affollati per
l’eucaristia.
Peccato che prima o
poi bisogna uscire e ritrovarsi a convivere con l’altra faccia della città. E’
un problema ma lo si può sempre delegare. Forse è per questo, come risulta da
un sondaggio di un quotidiano locale, che oltre il 60% dei cittadini vuole che
l’assessore alla sicurezza abbia la pistola.
(da IL MESSAGGERO -
16.4.2010 - Aldo Maturo - Editoriale prima pagina - Pesaro)