Aldo Maturo
7 luglio 2011
Lago di Telese |
La camera d’aria
nera, d’auto o di camion, era il salvagente più usato da chi frequentava il
lago e non sapeva nuotare o comunque voleva solo divertirsi.
Nessuno, pur
potendo, avrebbe osato presentarsi al lago con un vero salvagente o con un
materassino. La ricerca della camera d’aria, a inizio estate, cominciava dai
meccanici e dai gommisti. Noi del quadrivio passavamo a chiederla a don Amerigo
Zotti, l’officina più fornita. Bastava aspettare che terminasse qualche lavoro
urgente e poi andava a prenderne una nel mucchio di copertoni accatastati in un
angolo.
La gonfiava al
compressore e se scopriva che era bucata – quasi sempre – passava alla
riparazione. Graffiava con la carta vetrata la parte dove c’era il foro , vi
strizzava sopra uno schizzo di collante e lo spalmava con le dita ancora
sporche di grasso. Copriva il foro con una pezza di gomma ritagliata da una
camera d’aria più vecchia e tenendo premuta la pezza col pollice e l’indice
metteva a cavalcioni la camera d’aria sotto la pressa per fare aderire bene le
due parti tra di loro. La prova del fuoco era il passaggio nel vecchio bidone
colmo d’acqua nerastra, dove la camera d’aria, opportunamente rigonfiata, veniva
fatta scorrere fra le mani lasciando più a lungo sott’acqua la parte riparata.
Se dal fondo partivano le bollicine partiva anche un’imprecazione e bisognava
ripetere l’operazione.
Se invece tutto
andava bene la si ritirava ancora gocciolante e poi via in bicicletta verso il
lago, tenendola a tracolla come la bandoliera dei carabinieri.
Ogni tanto qualcuno
stupiva tutti e si presentava al lago con una camera d’aria da camion che
riusciva a sostenere anche tre o quattro persone, quando non si capovolgeva
buttando tutti in acqua fra le risate generali.
La camera d’aria era
per chi non sapeva nuotare o comunque voleva godersi un bagno diverso
nell’acqua limpida del lago. Si entrava dove ancora si toccava sostenendola con
le mani all’altezza della vita fino a galleggiare e poi ci si rilassava
sguazzando con i piedi come i bambini, abbandonati e sospesi nell’acqua fresca
e corroborante. Ci si roteava all’interno per godersi il lago tutto intorno, un
occhio attento alla pezza appena messa nel timore che cominciasse a
borbogliare.
II lago era anche il
battesimo del fuoco per i nuotatori esperti. La traversata del lago senza pinne
segnava il passaggio da “guagliuncello” a “omme” e se ne parlava davanti ai bar
tronfi di orgoglio. Chi ancora non c’era riuscito o sapeva che mai ci sarebbe
riuscito ascoltava in silenzio e con ammirazione.
Il lago. Era la
piscina dei più bravi ma anche dei poveracci che non potevano permettersi di
andare alle terme, o per soldi o per orario. In fondo il lago era sempre
“aperto” e soprattutto era gratis anche se a volte chiedeva un prezzo salato a
chi, incautamente, gli mancava di rispetto.
(da
Fotogrammi di memoria, Aldo Maturo, ediz.Nous, 2013)