Con la sentenza numero 16712/2014 la Corte di
Cassazione è tornata ad occuparsi della fattispecie di reato disciplinata
dall'articolo 595 del codice penale, ossia della diffamazione a mezzo Facebook.
L'elemento di novità di
questa pronuncia sta nel fatto che nel caso esaminato dai giudici di
piazza Cavour l'offesa dell'altrui reputazione è avvenuta attraverso
Facebook e senza fare nomi.
Il post diffamatorio
inoltre era stato letto da una ristretta cerchia di iscritti.
Sta di fatto che pur
non essendo stata fatta menzione di alcun nome, erano stati indicati alcuni
particolari che potevano rendere identificabile la persona diffamata.
Alla condanna di
primo grado aveva fatto seguito in appello l'assoluzione per insussistenza del
fatto.
La Corte d'Appello
aveva motivato l'assoluzione facendo notare che l'identificazione dell'offeso
poteva essere operata solo da una ristretta cerchia di utenti posto che
l'imputato non aveva indicato il nome.
La prima sezione
penale della Cassazione ha ribaltato la pronuncia facendo notare come la frase
offensiva fosse ampiamente accessibile dagli iscritti al social network e che
la persona offesa, pur non nominata, avrebbe potuto essere individuata.
Per la Corte Suprema,
il reato di diffamazione non presuppone il dolo specifico ma richiede la
consapevolezza di divulgare un enunciato lesivo dell'altrui reputazione, nonché
la volontà che l'affermazione venga a conoscenza anche solo di due
persone.
I giudici d'appello,
secondo il giudice di ultima istanza, non hanno adeguatamente motivato l'iter
logico-giuridico che ha condotto ad affermare che il novero limitato di persone
in grado di identificare il soggetto passivo comporti "l'esclusione della
prova della volontà dell'imputato di comunicare con più persone in grado di
individuare il soggetto" in questione.
Fonte: Cassazione: La diffamazione a mezzo Facebook è reato anche se non si fanno nomi
(www.StudioCataldi.it)