Avv.Aldo Maturo
Mi piace lavorare”
di Francesca Comencini è un film da vedere. La regista di “Carlo Giuliani,
ragazzo” (sui disordini del G8 a Genova) ha fatto questo film che è una cruda
denunzia sul problema del mobbing, affidandone l’interpretazione a Nicoletta
Braschi, la moglie di Benigni. E’ un problema attuale il mobbing e in Europa ne
sono vittime oltre 40 milioni di dipendenti mentre in Italia, secondo alcune
stime di certo approssimative, i lavoratori mobbizzati sarebbero circa due
milioni.
Per l’ISPESL
(Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) oltre il 70%
delle denunce provengono dal pubblico impiego, l’età media delle vittime ha
oltre 50 anni ed appartiene per oltre l’80% alla fascia dei Quadri ed
Impiegati.
Mobbing deriva
dall’inglese to mob, aggredire, ed è passato nella sua accezione comune ad
indicare il complesso di violenze morali e psicologiche esercitate su un
dipendente in un ambiente di lavoro. Invidia, gelosia, concorrenza, antipatia,
competizione esasperata, creano una conflittualità al limite della persecuzione
psicologica proveniente indifferentemente da un superiore (mobbing
verticale), da colleghi pari grado (mobbing orizzontale) o, al limite, da
inferiori (mobbing ascendente) Se poi questo comportamento è finalizzato a
spingere il lavoratore a dare le dimissioni o a chiedere il trasferimento ad
altra sede si parla di mobbing strategico.
Perché vi sia
mobbing è comunque necessaria, secondo la giurisprudenza e la dottrina, “una
serie prolungata di soprusi inseriti in una condotta persecutoria protratta nel
tempo” . Il soggetto è destinatario di comportamenti di tipo persecutorio,
attuati in modo evidente e continuo. Il fine è di eliminare una persona che è o
è divenuta, in qualche modo, scomoda, distruggendola psicologicamente e
socialmente, isolandola dal contesto lavorativo, umiliandola fino a provocarne
il licenziamento, spingendola alle dimissioni o al trasferimento.
I comportamenti
mobbizzanti sono i più diversificati e sono noti a chiunque vive in un ambiente
di lavoro:
- Atteggiamento
palesemente difforme del superiore rispetto agli altri dipendenti;
- sistematico
discredito, calunnie, diffamazione di colleghi verso un altro collega;
- dequalificazione
nel lavoro;
- diniego immotivato
di permessi o ferie;
- accuse generiche,
non supportate da fatti o circostanze
- rimproveri alla
presenza di colleghi pari grado, inferiori o in pubblico;
- critiche continue
e immotivate, aggressioni verbali
-
demansionamento e attribuzione di compiti dequalificanti e non adeguati alla
propria professionalità;
- desocializzazione
con isolamento fisico in uffici decentrati, spogli,senza contatti con altri,
negando all’interessato le informazioni di lavoro necessarie;
- richiesta di più
controlli medico-fiscali per lo stesso periodo di assenza per malattia,
diversamente dalle prassi seguite nei confronti di altri;
- distacchi
illegittimi;
- minacce continue o
immotivate di procedimenti disciplinari;
Per il lavoratore
vittima di mobbing la vita diventa un inferno, sia nell’ambiente lavorativo che
in quello privato. L’integrità psicofisica del soggetto diventa compromessa e
passa velocemente ed irrimediabilmente nella schiera dei DAP-ISTI, i portatori
di Depressione-Ansia-Panico. Vive con disperazione la presenza sul posto di
lavoro, cominciano le prime forme depressive reattive, inizia l’assunzione di
psicofarmaci, cure del tutto inutili se a monte non si risolve la causa
del disagio.
Il mobbing può
portare anche all’invalidità psicologica del lavoratore tanto che si parla
insistentemente di riconoscerla come malattia professionale, al pari di un
infortunio sul lavoro.
Pare che l’INAIL
abbia suddiviso le patologie da mobbing tra lievi e gravi; per le lievi è
riconosciuto un danno biologico del 6% mentre per le gravi del 15%. Se si
considera che le norme generali dell’INAIL prevedono una franchigia di 10 punti
si avrà il risultato che per i casi gravi si indennizzano solo il 5% mentre per
gli altri casi non vi è alcun indennizzo.
La vita del
mobbizzato è difficile sia nel luogo di lavoro che nelle aule di giustizia. In
linea teorica è possibile richiedere:
- il danno
biologico, quale lesione all’integrità psicofisica della persona che andrà
sottoposta ad accertamento medico legale. A carico del datore di lavoro o del
Capo Ufficio può configurarsi la violazione delle norme del codice civile
(art.2087, art. 1375 e art.1175) che impongono al datore di lavoro di garantire
la sicurezza sul posto di lavoro assicurando l’integrità psico-fisica del
lavoratore. La giurisprudenza ha riconosciuto il danno biologico in
relazione a varie ipotesi, es. lavoro usurante senza concessione di
riposo, sovraccarico di lavoro, isolamento fisico e psicologico del soggetto,
aggressioni verbali,molestie sessuali dequalificazione professionale, mancata
concessione di benefici di carriera ed economici.
Il danno biologico
può essere provato con prove testimoniali, documentali,sindacali e con una
consulenza medico legale disposta dal giudice che accerti il nesso di causalità
tra il pregiudizio subito a livello psico-fisico e gli eventi mobbistici
subìti;
- il danno
esistenziale è correlato ai riflessi sulla vita di relazione del soggetto che,
diventato depresso ed ansioso, vittima di attacchi di panico, si chiude
in se stesso limitando la sua attività al pendolarismo tra casa e ufficio,
quando non decide di assentarsi per malattia restandosene chiuso in casa in
attesa della visita fiscale o anche nel timore di più visite fiscali. Una tale
situazione non può che ripercuotersi anche sulla famiglia,stravolgendone le
abitudini e i contatti con l’esterno.
- il danno
professionale deriva dalla decisione del datore di lavoro o capo ufficio di
negare o impedire al dipendente di svolgere le mansioni correlate alla
sua qualifica determinando una dequalificazione del suo profilo. E’ un danno
all’immagine che si ripercuote sulla vittima a maggior ragione nell’impiego
privato dove – tramite il passaparola - determina una svalutazione
professionale del soggetto nel mercato del lavoro, precludendogli opportunità
lavorative.
- il danno da
demansionamento o dequalificazione integra una lesione del diritto del
lavoratore ad estrinsecare le sue capacità professionali e si ripercuote non
solo nella vita professionale ma anche nella vita di relazione e va
quantificato sia in senso patrimoniale che non (Cass.Civ.Sez.III, n.7980/2004).
Purtroppo davanti al
giudice bisogna fornire la prova della relazione diretta tra il danno subito e
gli eventi di cui si è stato vittima. Il danno biologico sarà accertabile in
sede medico legale, il danno esistenziale dipenderà da accertamenti che
dimostrino l’alterazione delle abitudini relazionali del soggetto sintomo della
modificazione subita dalla sua personalità. Per i dipendenti della
Pubblica Amministrazione contrattualizzati (la maggioranza) le
controversie di lavoro restano di competenza del magistrato ordinario e seguono
le procedure preliminari previste dal D.Lgs.165/2001.
La sentenza del Tar
Roma n.3315/2007 ha voluto differenziare la tutela per gli altri dipendenti
della P.A., i non privatizzati (forze di polizia, magistratura, carriera
diplomatica, penitenziaria o prefettizia, etc.). A loro ha riconosciuto una
doppia tutela, quella del giudice ordinario e quella del Tar. E’
competenza del primo il mobbing dovuto a comportamenti vessatori dei superiori
gerarchici e dei colleghi, resta competenza del Tar invece il mobbing dovuto a
demansionamento. Quest’ultima forma di mobbing, infatti, derivando
dall’emanazione di atti amministrativi ritenuti illegittimi, resta di
competenza del Tar.
Ancora più difficile
è la tutela penale perché in tal caso il lavoratore deve provare la sussistenza
della volontà vessatoria del superiore o dei colleghi, cioè il dolo specifico
che li ha animati nel colpirlo ponendo in essere comportamenti antigiuridici. Tale
prova è difficilissima per cui non sono comuni le condanne in sede penale.