Aldo Maturo
13 aprile 2012
Le Pistrine - 1957 - Mimmo Follo e Aldo Maturo |
La filodrammatica
“Dilettante” nacque negli anni ’50 dalla passione per il teatro che accomunava
un gruppo di amici che decisero di sacrificare il loro tempo libero per portare
in scena personaggi e macchiette del teatro, di quello napoletano in
particolare.
In quegli anni gli
inverni telesini non offrivano molte alternative e per i giovani la scelta
serale era tra le stanze fumose di un bar o la passeggiata serale quando i
compiti lo consentivano. I più fortunati avevano un portone in cui sostare o un
camino dove ammirare estasiati la fiamma del ceppo. Il ’68 era lontano e la
politica era solo quella locale, appannaggio delle grandi famiglie che
passavano disinvoltamente da una cordata all’altra sulla base di scelte non
proprio ideologiche, con i soliti manovratori occulti che intessevano sottili
giochi di corridoio. Anche allora i più giovani li osservavano con
disinteresse, anteponendo il pallone, le partite a bigliardo, a bocce e, perché
no, le schermaglie dei primi amori.
La sera era
bellissimo passeggiare con gli amici lungo il viale coperto dai rami spogli dei
platani, calpestando cumuli di foglie ingiallite, mentre la brina cadeva
impalpabile inumidendo i capelli e la nebbia a poco a poco scendeva
ovattando le lampadine. I portalampade a forma di piatto dondolavano stesi tra
un albero e l’altro intervallando coni di luce a quelli di più estese ombre.
Ma quando iniziavano
le prove per la filodrammatica le serate avevano una svolta e il
coinvolgimento emotivo era totale. Regista amabile era Don Raffaele De
Crescenzo che come una chioccia covava le sue creature aiutandole a crescere di sera in sera. La commedia assumeva la sua visibilità un pò alla volta, fra
risate, arrabbiature, sberleffi, litigi e la continua minaccia di Don Raffaele
di abbandonare tutto se qualcuno non aveva “studiato” la parte o disturbava le
prove. Ma poi tutto finiva a risate specie quando “i comici” della compagnia,
dimentichi della parte, riparavano “a braccio”. Don Raffaele alzava gli
occhiali sulla fronte e con aria smarrita li guardava quasi a dire “..ma questa
da dove è uscita?”
Attori protagonisti
insuperabili erano Lorenzo De Francesco, irrequieto personaggio anche fuori
scena, con il suo vocione bruciato dal fumo, Elio Di Carlo, amatissimo con il
suo ciuffo arrotolato, icona del ragazzo dolce, amato da tutti e scomparso
prematuramente, Gino Affinito, il re della guapparia e della risata, il grande
ed insuperabile Anselmo Mattei, vigile urbano di S.Salvatore ma telesino
honoris causa, Mimmo Follo, il papà adottivo dei più giovani, Angelo
Leone, il serioso della compagnia, Luigi Festa, il caciarone irrefrenabile,
Geppino Colangelo che chiudeva la dinastia dei figli dei ferrovieri presenti in
massa nella Compagnia. Intorno a loro, cardini insostituibili della
filodrammatica, presero vita un po’ alla volta altri personaggi un po’ più
giovani ma non per questo meno bravi, che si susseguirono sulla scena di
commedia in commedia, crescendo artisticamente vicino agli altri. Riccardo
Affinito e Augusto Di Carlo che con la loro bravura contesero ben presto il
posto ai rispettivi fratelli (Gino ed Elio), Franco ed Antonietta D’Angicco,
Mario Grillo, Giuseppe Leonardo, Franco Dante, Maria Arzillo, Franca Crisci,
Iole Di Lorenzo, Antonietta De Crescenzo,Gianfranco Ciabrelli,Olga Candela,
Pino Mainolfi, Tonino Affinito, Tonino Di Santo, Licia che avrebbe
sposato Beppe Carizzi e infine chi scrive, che avrebbe fatto la prima comparsa
a 13 anni con “Le Pistrine”, insieme a Mimmo Follo, Anselmo Mattei, Luigi Festa,
Tonino Di Santo e Pasquale Ricci. Di certo anche altri cui chiedo scusa perché
la memoria non è riuscita a ricostruire altri nomi dopo 50 e più anni.
La scelta del
locale era sempre avventurosa ma praticamente la Compagnia si esibì su tutti
gli spazi disponibili a Telese. “Le Pistrine”, forse la prima, fu
presentata nel 1957 nel Cinema di Peppe Assini, unico del paese, sedie
rigorosamente in legno. Un paio di rappresentazioni furono fatte anche nel
Salone dell’Asilo Infantile che al tempo era gestito dalle suore degli
Angeli nel palazzetto di zio Alfredo, dietro casa mia, poi dimora
dell’Avv.Giovanni Di Santo. “La cantata del pastori” trovò la sua location
nella vecchia chiesa, ormai sconsacrata e ancora impregnata d’incenso. Il palco
occupò praticamente tutto il presbitero e la sacrestia divenne lo spogliatoio
degli “artisti”. Nel salone della nuova Scuola Elementare andò in scena
“Scampolo”, “Addio Giovinezza” e “Non ti pago”. Ma il grande passo avvenne con
il Cinema Modernissimo, appena inaugurato, dove ci si esibì con “Il medico dei
pazzi”. Il successo di pubblico varcò i confini locali e si andò in tournèe
anche all’ "estero" che nella fattispecie fu Frasso Telesino e Solopaca. Non
era mai successo prima di allora che una filodrammatica dilettante andasse
oltre i limiti della parrocchia, ma il successo era garantito da una Compagnia
che faceva il pienone ad ogni rappresentazione.
Il divertimento
del pubblico era infinitesimale rispetto a quello che gustavano quelli che giravano
a vario titolo intorno alla commedia. Per mesi la data fissata per la
rappresentazione era come la stella polare e si cancellavano i giorni che
mancavano all’evento. Oltre le prove, c’erano i problemi per la costruzione del
palcoscenico, degli scenari, delle quinte, dei costumi. Tavole, tavoloni,
tavelle, teli, cartoni, colori, pennelli, chiodi, martelli e infine “il
sipario”. Ho sempre pensato che si chiamasse così perché da una parte
c’era gente in attesa di divertirsi e dall’altra gente con il cuore in
fibrillazione sapendo di dover “uscire in scena” con la paura di
“impappinarsi”.
Quello che succedeva
dietro le quinte meriterebbe la dignità di una rappresentazione teatrale
autonoma. Chi tremava, chi rideva, chi fumava, chi aveva la lacrimuccia, chi
andava su e giù come un padre davanti alla sala parto, tutti nascosti dietro le
quinte con gli occhi puntati sui compagni già in scena e su Don Raffaele De
Crescenzo. Lui, il regista, era lì nel boccaporto del suggeritore, gli occhiali
sul naso, i capelli arruffati, il dito che scorreva sul copione pronto a
sussurrare la battuta a chi l’avesse dimenticata.
Il primo applauso
era come un’iniezione di vita per tutti poi il tempo scorreva inesorabile verso
la scena finale. Il sipario chiudeva lo spettacolo e nel suo lento dispiegarsi
chiudeva anche mesi di lavoro, faticosi e favolosi, trascorsi in un clima
d’indimenticabile complicità ed amicizia. Nei giorni successivi bisognava
smontare il palco, con l’aiuto di Gino Taccogna e il camion di Mario Palmieri.
Si accantonavano con cura le cose utili e si faceva tesoro degli errori con la
mente proiettata verso il prossimo appuntamento.
(Ringrazio
Riccardo Affinito alla cui memoria di nomi ho attinto a piene mani)
(da Fotogrammi di
memoria, Aldo Maturo, ediz.Nous 2013)