martedì 14 agosto 2012

PAOLO GABRIELE : IL CORVO ESPIATORIO ?

LA VICENDA DEL MAGGIORDOMO PAOLO GABRIELE, PASSATO DA COMPLOTTATORE A LADRUNCOLO, NON RISOLVE DI CERTO IL SACRO MISTERO DI BERTONE E C. - ANZI, QUESTO VOLER CONCLUDERE TUTTO CON LA CONDANNA DELL’UNICO ACCUSATO, TRASFORMATO DA CRIMINALE A PECCATORE, NON FA CHE ADDENSARE LE NUBI SULLA CHIESA - COM’È POSSIBILE PENSARE CHE DIETRO AL POVERO PAOLETTO NON CI SIA NESSUN ALTRO, ANCHE SE INSIEME A LUI E’ INDAGATO UN’ALTRA PERSONA. ALLA FINE DELL’ARTICOLO HO RIPORTATO L’INTERA SENTENZA DI RINVIO A GIUDIZIO.

Adriano Prosperi – La Repubblica – 14.8.2012

Nella sua fine c'è il suo principio: e questo vale per il personaggio colpito dalla sentenza vaticana ma vale anche per il sistema che lo colpisce. Il personaggio, intanto: alla fine troviamo ancora e soltanto al nome di Paolo Gabriele, il maggiordomo papale. Se si esclude il tecnico informatico, solo sfiorato dalle accuse, gli altri indicati solo con misteriose lettere, alla fine il protagonista è solo lui. Era il primo nome che si incontrava nel libro di Gianluigi Nuzzi, "Sua Santità".

Prima di farne quasi casualmente il nome l'autore lo aveva descritto nella misteriosa figura dell'uomo tormentato che si preparava a trasmettere i documenti scoperti fuori del Vaticano, per una missione di verità in cui giocarsi il proprio destino. Quello che ora ci torna davanti con la sentenza dei giudici sembra un piccolo uomo: un ladruncolo, un piccolo profittatore della fiducia papale. Avrebbe fatto tutto per centomila euro (un assegno destinato al papa: ma come pensava di incassarlo?), una "pepita presunta d'oro", una "copia preziosa dell'Eneide". Tutto qui? E ci voleva tanto a scoprirlo?


Sarà deluso chi si chiedeva se Paolo Gabriele fosse davvero un ardito complottatore o un banale capro espiatorio. Quello che ci offrono è solo un povero peccatore di minuscoli peccati, non il lucido congiurato che pensa al destino della Chiesa nel mondo. Un peccatore pentito, da perdonare quanto prima. Voltiamoci ora alla giustizia che lo ha così condannato: quello che ritorna e si intravede a tratti dietro i suoi metodi è un passato grande e terribile, una tragedia che torna immiserita in una farsa.
Pensiamo a quell'uomo recluso in una lunga, morbida e ovattata prigionia. In passato la Chiesa faceva un uso terroristico di terribili forme di carcerazione preventiva: un metodo diabolicamente efficace nello spezzare la resistenza dell'imputato che ne usciva pronto a confessare e a chiedere perdono. E il paterno potere ecclesiastico era pronto a concederlo. Ma non è certo il caso di ripercorrere storie remote di grandezze e miserie del potere papale.

Tutto è cambiato: oggi lo Stato della Città del Vaticano, come ha detto in una intervista all'agenzia "Adista" il professor Francesco Zanchini, "è una ‘fictio iuris'": uno Stato senza una vera costituzione e senza un popolo davanti al quale celebrare pubblicamente le udienze dei suoi giudici: solo "un'azienda di servizi" operante per le funzioni e il prestigio della Chiesa universale. Anche per questo le sopravvivenze di un passato di faustiana grandezza fanno un effetto particolarmente deprimente.

Ma una domanda dobbiamo farci a questo punto: davvero qualcuno nella Città del Vaticano pensa che si possa chiudere così, con una decisione come questa e una punizione che immaginiamo paternamente benevola, una sequenza di fatti che agitano da tempo non solo le coscienze dei cattolici del mondo intero ma anche gli assetti della politica italiana e le forme della comunicazione pubblica nel nostro paese?
Non ci riferiamo tanto alle vicende di crimini come (citiamo alla rinfusa) l'affaire Emanuela Orlandi, gli amori e gli errori di padre Maciel e dei suoi legionari, la grande confusione che l'affare dei preti pedofili ha portato nel cuore della Chiesa. Sappiamo che, in quanto avvengono in Vaticano o riguardano preti, questi sono considerati non crimini ma peccati, magari gravi ("graviores", scriveva il cardinal Ottaviani spiegando come avvolgerli nel segreto): e come peccati debbono essere dissimulati, minimizzati, possibilmente nascosti.

Ora, il meno che si possa dire della sentenza vaticana che rinvia a giudizio Paolo Gabriele è che non sembra fare chiarezza. Non toglie le nubi che avvolgono il Vaticano e la lotta di potere interna sui casi più spinosi: la strategia sui casi della pedofilia o sul tentativo di mettere tra parentesi il Vaticano II aprendo le porte ai lefebvriani. Non disperde le nuvole nere da tempo addensate sulla finanza vaticana. Una sterminata letteratura poliziesca ci ha abituato a considerare la colpevolezza del maggiordomo solo la pista iniziale: quella sbagliata. Aspettiamo di leggere gli altri capitoli con la certezza che questo è solo l'inizio.
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