giovedì 2 agosto 2012

COME AMMAZZARE LA MOGLIE E VIVERE FELICI

 
Cronaca d’ingiustizia quotidiana, raccontata da chi la giustizia l’ha fatta tutti i giorni. A parlarne è Bruno Tinti, già Procuratore Aggiunto di Torino, oggi in pensione, scrittore, giornalista e avvocato. L’argomento è particolarmente “interessante”: Come ammazzare la moglie e vivere felici. Tinti ce ne parla nel suo libro  “Toghe rotte”, scritto per condurre per mano il lettore nelle aule dei nostri tribunali per fargli toccare con mano la giustizia ingiusta.




Aldo Maturo 

Le mogli possono stare tranquille. La storia è reversibile e può essere destinata anche ai mariti: la riassumo in maniera ancora più semplice di quanto ha fatto il Dr.Tinti, sfrondandola di tutti gli aspetti tecnici. Forse è al limite dell’assurdo, ma non più di tanto. E’ però indicativa di come, scattando determinati meccanismi processuali, pur a fronte di un delitto, si possa  uscire dalla porta principale del tribunale invece che da quella sotterranea che porta al carcere.
Un uomo, all’inizio del 2006, dopo aver sperperato tutti i beni della moglie senza fargliene accorgere (in realtà l’ha truffata) decide di ucciderla  e lo fa anche in maniera spietata, come solo si  può fare quando l’amore si trasforma in odio.


Commesso il delitto, chiama il suo avvocato e si fa accompagnare dai carabinieri dove si autodenunzia. Dichiara di aver ucciso la moglie perché, asserisce, lo tradiva con il suo migliore amico, descrive le modalità, indica il luogo dove si trova il cadavere, consegna l’arma del delitto e le chiavi dell’appartamento per consentire di verificare quanto ha dichiarato.

I carabinieri corrono a casa dove possono constatare che è tutto vero, avvisano il magistrato, fanno gli accertamenti e i rilievi del caso.
Il nostro uomo non viene arrestato perché il Pubblico Ministero sa che il Giudice delle Indagini Preliminari difficilmente concederebbe la custodia cautelare mancando uno dei tre requisiti previsti dal codice e in particolare:
a)non sussiste pericolo di inquinamento di prove, perché è stato lo stesso marito ad avvertire i carabinieri, ha confessato il delitto, ha offerto spontaneamente tutte le prove necessarie e quindi non c’è più niente da inquinare;
b)non sussiste pericolo di fuga per gli stessi motivi. Se avesse voluto fuggire non sarebbe andato dai carabinieri;
c)non sussiste pericolo di reiterazione del reato, perché di certo non se ne andrà in giro ad uccidere mogli. Una ne aveva, l’ha uccisa e ormai basta così.
D’altra parte il suo comportamento processuale è stato ineccepibile: si è costituito, ha confessato, si è messo a disposizione degli inquirenti. L’indagine perciò è brevissima e in pochi mesi viene portato davanti al Giudice con l’accusa di omicidio aggravato. Pena prevista: ergastolo. A questo punto scatta la strategia difensiva e tramite i suoi legali chiede di essere processato con il rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo della pena.
Di fronte alle due circostanze aggravanti - omicidio con sevizie e reato commesso al fine di occultarne un altro (non farle scoprire la truffa) -  chiede le attenuanti: è vero che l’ha uccisa, però lei lo aveva tradito con il suo amico che, d’accordo con il marito omicida, confermerà integralmente tale versione tanto ormai nessuno può smentirlo.
L’omicidio quindi è stato commesso in uno stato d’ira dovuto a fatto ingiusto di lei e merita  questa forma di attenuante.
Il nostro protagonista si preoccupa anche di risarcire il danno ai parenti della moglie, per cui merita anche l’attenuante del risarcimento danni. Se poi gli si aggiungono le attenuanti generiche (è stato sempre un lavoratore, mai una contravvenzione, ha confessato, etc..) avrà messo sul piatto della bilancia una serie di circostanze attenuanti che il giudice dovrà valutare per vedere se “pesano” più delle aggravanti, cioè se sono prevalenti. Se decide in tal senso la pena prevista passa dall’ergastolo alla reclusione da 24 a 30 anni : considerata la dinamica dei fatti quasi certamente si partirà dai 24 anni.
Con una ineccepibile contabilità processuale comincia a scalare dai 24 anni iniziali le riduzioni dovute per le attenuanti fino ad arrivare ad un residuo di sette anni e mezzo. Siccome ha chiesto il rito abbreviato bisogna decurtare un altro terzo e siamo a cinque anni. Però i fatti sono avvenuti prima del 2 maggio 2006 - termine fissato dal legislatore per fruire dell’ultimo indulto - ed allora gli spetta anche lo sconto di questi tre anni di indulto. Ne restano quindi due. A questo punto, dice, o gli viene data la sospensione condizionale della pena (prevista per le pene fino a due anni) o gli viene dato l’affidamento in prova al servizio sociale (previsto per le pene fino a tre anni).
In realtà il nostro protagonista si è dimenticato che gli sconti hanno un limite e che un altro articolo (il 67 del codice penale) prevede che quando concorrono più circostanze attenuanti la iniziale pena dell’ergastolo non può ridursi a meno di 10 anni di reclusione.
Ma lui non si demoralizza. Vanno bene i 10 anni, però bisogna sempre togliere i 3 anni dell’indulto 2006 e siamo a 7 che non sconterà tutti perché per ogni anno di carcere con buona condotta lo Stato “regala”  90 giorni di sconto che valgono come pena espiata: si chiama liberazione anticipata.  Maturata la metà pena  (tre anni e mezzo di cui ha espiato veramente solo due anni e mezzo o poco più perché un anno circa è il frutto di 315 giorni di sconto per la citata liberazione anticipata) potrà chiedere di essere ammesso alla semilibertà (uscirà dal carcere al mattino e ci ritornerà la notte solo per dormire) e dopo qualche mese, appena sceso sotto i tre anni, potrà chiedere di essere ammesso ai servizi sociali, che significa stare a casa, lavorare,essere seguiti di tanto in tanto da un assistente sociale.
Da una pena prevista di 24 anni, per un perverso meccanismo contabile, ne potrebbe scontare solo due e mezzo. Il meccanismo ha funzionato e tutto sommato il carcere sarà solo un breve incidente di percorso.
Quella descritta –  da me ricostruita liberamente da un episodio del citato libro -  non è una storia tanto folle ma, pur apparendo surreale, è il frutto di  elaborazioni processuali applicabili a tutti i reati in un susseguirsi di duelli vissuti tutti i giorni nelle aule di giustizia di questo Paese dove, sotto il cartello “la giustizia è eguale per tutti”, è sempre più difficile assicurare la giustizia vera e, quando accade, non sempre è giusta e ancor meno eguale.