Cronaca
d’ingiustizia quotidiana, raccontata da chi la giustizia l’ha fatta tutti i
giorni. A parlarne è Bruno Tinti, già Procuratore Aggiunto di Torino, oggi in
pensione, scrittore, giornalista e avvocato. L’argomento è particolarmente
“interessante”: Come ammazzare la moglie e vivere felici. Tinti ce ne parla nel
suo libro “Toghe rotte”, scritto per condurre per mano il lettore nelle
aule dei nostri tribunali per fargli toccare con mano la giustizia ingiusta.
Aldo Maturo
Le mogli possono
stare tranquille. La storia è reversibile e può essere destinata anche ai
mariti: la riassumo in maniera ancora più semplice di quanto ha fatto il
Dr.Tinti, sfrondandola di tutti gli aspetti tecnici. Forse è al limite
dell’assurdo, ma non più di tanto. E’ però indicativa di come, scattando
determinati meccanismi processuali, pur a fronte di un delitto, si possa
uscire dalla porta principale del tribunale invece che da quella sotterranea
che porta al carcere.
Un uomo, all’inizio
del 2006, dopo aver sperperato tutti i beni della moglie senza fargliene
accorgere (in realtà l’ha truffata) decide di ucciderla e lo fa anche in
maniera spietata, come solo si può fare quando l’amore si trasforma in
odio.
Commesso
il delitto, chiama il suo avvocato e si fa accompagnare dai carabinieri dove si
autodenunzia. Dichiara di aver ucciso la moglie perché, asserisce, lo tradiva
con il suo migliore amico, descrive le modalità, indica il luogo dove si trova
il cadavere, consegna l’arma del delitto e le chiavi dell’appartamento per
consentire di verificare quanto ha dichiarato.
I carabinieri
corrono a casa dove possono constatare che è tutto vero, avvisano il
magistrato, fanno gli accertamenti e i rilievi del caso.
Il nostro uomo non
viene arrestato perché il Pubblico Ministero sa che il Giudice delle Indagini
Preliminari difficilmente concederebbe la custodia cautelare mancando uno dei
tre requisiti previsti dal codice e in particolare:
a)non sussiste
pericolo di inquinamento di prove, perché è stato lo stesso marito ad avvertire
i carabinieri, ha confessato il delitto, ha offerto spontaneamente tutte le
prove necessarie e quindi non c’è più niente da inquinare;
b)non sussiste
pericolo di fuga per gli stessi motivi. Se avesse voluto fuggire non sarebbe
andato dai carabinieri;
c)non sussiste
pericolo di reiterazione del reato, perché di certo non se ne andrà in giro ad
uccidere mogli. Una ne aveva, l’ha uccisa e ormai basta così.
D’altra parte il suo
comportamento processuale è stato ineccepibile: si è costituito, ha confessato,
si è messo a disposizione degli inquirenti. L’indagine perciò è brevissima e in
pochi mesi viene portato davanti al Giudice con l’accusa di omicidio aggravato.
Pena prevista: ergastolo. A questo punto scatta la strategia difensiva e
tramite i suoi legali chiede di essere processato con il rito abbreviato, che
prevede la riduzione di un terzo della pena.
Di fronte alle due
circostanze aggravanti - omicidio con sevizie e reato commesso al fine di
occultarne un altro (non farle scoprire la truffa) - chiede le
attenuanti: è vero che l’ha uccisa, però lei lo aveva tradito con il suo amico
che, d’accordo con il marito omicida, confermerà integralmente tale versione
tanto ormai nessuno può smentirlo.
L’omicidio quindi è
stato commesso in uno stato d’ira dovuto a fatto ingiusto di lei e merita
questa forma di attenuante.
Il nostro
protagonista si preoccupa anche di risarcire il danno ai parenti della moglie,
per cui merita anche l’attenuante del risarcimento danni. Se poi gli si
aggiungono le attenuanti generiche (è stato sempre un lavoratore, mai una
contravvenzione, ha confessato, etc..) avrà messo sul piatto della bilancia una
serie di circostanze attenuanti che il giudice dovrà valutare per vedere se
“pesano” più delle aggravanti, cioè se sono prevalenti. Se decide in tal senso
la pena prevista passa dall’ergastolo alla reclusione da 24 a 30 anni :
considerata la dinamica dei fatti quasi certamente si partirà dai 24 anni.
Con una ineccepibile
contabilità processuale comincia a scalare dai 24 anni iniziali le riduzioni
dovute per le attenuanti fino ad arrivare ad un residuo di sette anni e mezzo.
Siccome ha chiesto il rito abbreviato bisogna decurtare un altro terzo e siamo
a cinque anni. Però i fatti sono avvenuti prima del 2 maggio 2006 - termine fissato
dal legislatore per fruire dell’ultimo indulto - ed allora gli spetta anche lo
sconto di questi tre anni di indulto. Ne restano quindi due. A questo punto,
dice, o gli viene data la sospensione condizionale della pena (prevista per le
pene fino a due anni) o gli viene dato l’affidamento in prova al servizio
sociale (previsto per le pene fino a tre anni).
In realtà il nostro
protagonista si è dimenticato che gli sconti hanno un limite e che un altro
articolo (il 67 del codice penale) prevede che quando concorrono più
circostanze attenuanti la iniziale pena dell’ergastolo non può ridursi a meno
di 10 anni di reclusione.
Ma lui non si
demoralizza. Vanno bene i 10 anni, però bisogna sempre togliere i 3 anni
dell’indulto 2006 e siamo a 7 che non sconterà tutti perché per ogni anno di
carcere con buona condotta lo Stato “regala” 90 giorni di sconto che
valgono come pena espiata: si chiama liberazione anticipata. Maturata la
metà pena (tre anni e mezzo di cui ha espiato veramente solo due anni e
mezzo o poco più perché un anno circa è il frutto di 315 giorni di sconto per
la citata liberazione anticipata) potrà chiedere di essere ammesso alla
semilibertà (uscirà dal carcere al mattino e ci ritornerà la notte solo per
dormire) e dopo qualche mese, appena sceso sotto i tre anni, potrà chiedere di
essere ammesso ai servizi sociali, che significa stare a casa, lavorare,essere
seguiti di tanto in tanto da un assistente sociale.
Da una pena prevista
di 24 anni, per un perverso meccanismo contabile, ne potrebbe scontare solo due
e mezzo. Il meccanismo ha funzionato e tutto sommato il carcere sarà solo un
breve incidente di percorso.
Quella descritta
– da me ricostruita liberamente da un episodio del citato libro -
non è una storia tanto folle ma, pur apparendo surreale, è il frutto di
elaborazioni processuali applicabili a tutti i reati in un susseguirsi di
duelli vissuti tutti i giorni nelle aule di giustizia di questo Paese dove,
sotto il cartello “la giustizia è eguale per tutti”, è sempre più difficile assicurare
la giustizia vera e, quando accade, non sempre è giusta e ancor meno eguale.