Lago di Telese |
Aldo Maturo
L’Italia brucia, come sempre, come
ogni estate, con un 93% in più d’incendi rispetto allo scorso anno (1
gennaio-31 luglio 2012). Le regioni più esposte sono Sicilia (con un morto),
Campania, Calabria, Puglia,Toscana e Lazio. E pensare che il legislatore
non è stato indulgente quando ha previsto, per chi incendia i boschi, selve o
foreste, la pena della reclusione da quattro a dieci anni (art.423 bis c.p.).
Nel 2000, stanco del dilagare degli incendi dolosi, aveva individuato
l’incendio boschivo come autonoma figura di reato - delitto contro la pubblica
incolumità - e non più come aggravante al reato di incendio. Sembrava una
svolta, il segno della speranza verso una particolare evoluzione culturale tesa
alla protezione dell’ambiente. L’incendio dei boschi passava da una pena
da tre a sette anni (l’incendio generico) ad una da quattro a dieci anni.
Ma evidentemente l’effetto
deterrente della pena è stato irrilevante. Secondo l’Unione Europea il 95%
degli incendi in Italia è attribuibile all’uomo. Ma le carceri italiane di
certo non sono piene di detenuti incendiari.
La severità legislativa è stata quindi virtuale. Ammesso che
si riesca ad arrestare uno di questi personaggi, scattano immediatamente tutte
le norme di procedura penale che vincolano il magistrato nell’applicazione
della custodia in carcere. Ci rimarrà solo se il magistrato riterrà che il soggetto
rimesso in libertà possa darsi alla fuga o dia fuoco ad altri boschi o
che possa inquinare le prove a suo carico. Troppi “se” e questo significa
che il nostro soggetto dopo pochi giorni, se non ore, ha grosse speranze di
ritornare in libertà.
A suo carico resta la pendenza del
processo e prima o poi dovrà essergli presentato il conto. Purtroppo anche
stavolta il sistema penale offre spazio ad altre soluzioni. Il nostro
incendiario concorderà con il suo avvocato una strategia difensiva e potrà ricorrere
ad uno dei riti previsti dai procedimenti speciali (patteggiamento, rito
abbreviato), godendo della riduzione di un terzo della pena.
Si pensa che almeno quello che
resta della pena, già oggetto di sconto, lo porti al carcere. Non è così.
Se non ha potuto godere immediatamente dei benefici della condizionale perché
ha avuto ad esempio una pena non superiore a due anni, suppliscono i benefici
dell’ordinamento penitenziario e quindi, se è stato condannato ad una pena non
superiore a tre anni (ipotesi verosimile) potrà sempre richiedere
l’affidamento in prova al servizio sociale, che significa restare libero,
svolgere il proprio lavoro, la propria vita sociale con l’unico limite di avere
periodicamente dei colloqui con un’assistente sociale.
Se ha più di 60 anni ed è inabile
parzialmente (cosa probabile) potrà sempre richiedere la detenzione domiciliare
per le pene fino a 4 anni.
Conclusione: il carcere è rimasto
solo uno spauracchio dissoltosi nel nulla, il nostro sistema giuridico ha dato
l’ennesima prova di schizofrenia con un legislatore che aggrava le pene e un
altro che offre il sistema per eluderle mentre l’Italia continua
impunemente a bruciare dalle Alpi alla Sicilia.
Quando gli incendi non sono
riconducibili alla prospettiva di creare occupazione nell'ambito delle attività
di vigilanza antincendio o spegnimento degli stessi, spesso derivano
dalla previsione errata che le aree boscate distrutte dal fuoco possano essere
utilizzate successivamente a vantaggio di interessi specifici, connessi alla
speculazione edilizia, al bracconaggio, all'ampliamento della superficie
agraria.
Previsione errata perché la legge
353/2000, in materia d’incendi boschivi, prevede all’art.10 che i boschi ed i
pascoli che siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione
diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni.
È inoltre vietata per dieci anni,
sui predetti suoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e
infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive. Tu mi
dai fuoco a zone panoramiche o paesaggistiche con l’intento di poterci poi
costruire insediamenti e ville ma io non ti ci faccio costruire per 15 anni (a
meno che la licenza non era già stata concessa prima dell’incendio).
La legge voleva essere un freno
contro le speculazioni edilizie: ottima intenzione, ma la cosa ancora una volta
non è così scontata.
Per poter scattare i divieti di
costruzione sulle aree incendiate è indispensabile che il Comune faccia
annualmente il censimento delle aree percorse dal fuoco, - il Catasto Incendi -
affinché siano rese note ed ufficiali. In realtà questa mappatura non viene
fatta o ne viene iniziato l’iter in poche realtà urbane. I motivi? Mancanza di
personale, omissioni, negligenza e non poche volte complicità.
Intanto l’industria dell’incendio
e il suo indotto va a gonfie vele e può diventare un vero business per
quanti sono chiamati ad intervenire e non fanno parte dell’istituzione. I costi
ricadono su tutti noi. Basti pensare che il volo di un aereo Canadair
costa 14.000 euro all’ora e quello di un grosso elicottero che porta 10.000
litri d’acqua è di circa 6.000 euro l’ora.
E’ stato calcolato che mediamente
si spendono 500 milioni di euro all’anno pari a circa 968 miliardi di lire. Più
di due miliardi e seicentocinquanta milioni al giorno. Senza calcolare gli
incalcolabili danni ambientali, la distruzione di milioni di alberi e la
devastazione di migliaia di ettari di verde.