martedì 7 agosto 2012

INCENDIARI, ROGHI E IMPUNITA'




 

Lago di Telese

 
Aldo Maturo



L’Italia brucia, come sempre, come ogni estate, con un 93% in più d’incendi rispetto allo scorso anno (1 gennaio-31 luglio 2012). Le regioni più esposte sono Sicilia (con un morto), Campania, Calabria, Puglia,Toscana e Lazio. E pensare che il legislatore non è stato indulgente quando ha previsto, per chi incendia i boschi, selve o foreste, la pena della reclusione da quattro a dieci anni (art.423 bis c.p.). Nel 2000, stanco del dilagare degli incendi dolosi, aveva  individuato l’incendio boschivo come autonoma figura di reato - delitto contro la pubblica incolumità - e non più come aggravante al reato di incendio. Sembrava  una svolta, il segno della speranza verso una particolare evoluzione culturale tesa alla protezione dell’ambiente. L’incendio dei boschi  passava da una pena da tre a sette anni (l’incendio generico) ad una da quattro a dieci anni.
Ma evidentemente l’effetto deterrente della pena è stato irrilevante. Secondo l’Unione Europea il 95% degli incendi in Italia è attribuibile all’uomo. Ma le carceri italiane di certo non sono piene di detenuti incendiari.



La severità legislativa è stata quindi virtuale. Ammesso che si riesca ad arrestare uno di questi personaggi, scattano immediatamente tutte le norme di procedura penale che vincolano il magistrato nell’applicazione della custodia in carcere. Ci rimarrà solo se il magistrato riterrà che il soggetto rimesso in libertà possa darsi alla fuga o  dia fuoco ad altri boschi o che  possa inquinare le prove a suo carico. Troppi “se” e questo significa che il nostro soggetto dopo pochi giorni, se non ore, ha grosse speranze di ritornare in libertà.

A suo carico resta la pendenza del processo e prima o poi dovrà essergli presentato il conto. Purtroppo anche stavolta il sistema penale offre spazio ad altre soluzioni.  Il nostro incendiario concorderà con il suo avvocato una strategia difensiva e potrà ricorrere ad uno dei riti previsti dai procedimenti speciali (patteggiamento, rito abbreviato), godendo della riduzione di un terzo della pena.
Si pensa che almeno quello che resta della pena, già oggetto di  sconto, lo porti al carcere. Non è così. Se non ha potuto godere immediatamente dei benefici della condizionale perché ha avuto ad esempio una pena non superiore a due anni, suppliscono i benefici dell’ordinamento penitenziario e quindi, se è stato condannato ad una pena non superiore a tre anni (ipotesi verosimile)  potrà sempre richiedere l’affidamento in prova al servizio sociale, che significa restare libero, svolgere il proprio lavoro, la propria vita sociale con l’unico limite di avere periodicamente dei colloqui con un’assistente sociale.
Se ha più di 60 anni ed è inabile parzialmente (cosa probabile) potrà sempre richiedere la detenzione domiciliare per le pene fino a 4 anni.
Conclusione: il carcere è rimasto solo uno spauracchio dissoltosi nel nulla, il nostro sistema giuridico ha dato l’ennesima prova di schizofrenia con un legislatore che aggrava le pene e un altro  che offre il sistema per eluderle mentre l’Italia  continua impunemente a bruciare dalle Alpi alla Sicilia. 
Quando gli incendi non sono riconducibili alla prospettiva di creare occupazione nell'ambito delle attività di vigilanza antincendio o spegnimento degli stessi, spesso  derivano dalla previsione errata che le aree boscate distrutte dal fuoco possano essere utilizzate successivamente a vantaggio di interessi specifici, connessi alla speculazione edilizia, al bracconaggio, all'ampliamento della superficie agraria.
Previsione errata perché la legge 353/2000, in materia d’incendi boschivi, prevede all’art.10 che i boschi ed i pascoli che siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni.
È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti suoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive. Tu mi dai fuoco a zone panoramiche o paesaggistiche con l’intento di poterci poi costruire insediamenti e ville ma io non ti ci faccio costruire per 15 anni (a meno che la licenza non era già stata concessa prima dell’incendio).
La legge voleva essere un freno contro le speculazioni edilizie: ottima intenzione, ma la cosa ancora una volta non è così scontata.
Per poter scattare i divieti di costruzione sulle aree incendiate è indispensabile che il Comune faccia annualmente il censimento delle aree percorse dal fuoco, - il Catasto Incendi - affinché siano rese note ed ufficiali. In realtà questa mappatura non viene fatta o ne viene iniziato l’iter in poche realtà urbane. I motivi? Mancanza di personale, omissioni, negligenza e non poche volte complicità.
Intanto l’industria dell’incendio e il suo indotto va a gonfie vele e può diventare  un vero business per quanti sono chiamati ad intervenire e non fanno parte dell’istituzione. I costi ricadono su tutti noi. Basti pensare che  il volo di un aereo Canadair costa 14.000 euro all’ora e quello di un grosso elicottero che porta 10.000 litri d’acqua è di circa 6.000 euro l’ora.
E’ stato calcolato che mediamente si spendono 500 milioni di euro all’anno pari a circa 968 miliardi di lire. Più di due miliardi e seicentocinquanta milioni al giorno. Senza calcolare gli incalcolabili danni ambientali, la distruzione di milioni di alberi e la devastazione di migliaia di ettari di verde.