Tutte
le unità navali che partecipano ai salvataggi operano sotto il comando di Roma
e sono autorizzate dall'Italia a sbarcare sul nostro territorio. Lo prevede l’Allegato
n.3 del Piano Operativo Triton.
Differenza fra Triton e Mare Nostrum |
Triton ha sostituito Mare Nostrum (Governo Letta), operazione di soccorso nata dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 quando, a poche miglia da Lampedusa, persero la vita quasi 400 migranti. Con Mare Nostrum, la presenza di navi italiane a poche miglia dalla costa libica, finalizzate ad azioni di soccorso e di contrasto al traffico illegale di profughi, incentivò invece che limitare le partenze perché il rischio dei disperati a bordo dei barchini era diventato più accettabile. Le nostre navi erano a poche miglia dalla costa libica, spesso anche nelle loro acque territoriali, e i trafficanti mettevano così in mare sempre più disperati e su natanti sempre più rabberciati, aumentando così i loro guadagni. Tra l’altro Mare Nostrum, da ottobre 2013 ad ottobre 2014, era costata all’Italia 114 milioni di euro (9,5 milioni di euro al mese). Le continue richieste del Governo Renzi (durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea) convinsero Bruxelles a varare un nuovo Piano di Sicurezza, sotto l’egida di Frontex, l 'agenzia europea di controllo delle frontiere.
Fu
battezzata “Operazione Triton”, e il 1 novembre 2014 i mezzi aereo navali di 18
Paesi sui 28 Stati dell’Unione iniziarono il pattugliamento delle nostre coste.
“Con Triton
- disse Alfano, allora Ministro degli Esteri - l'Europa per la prima
volta scende in mare e sarà a presidio delle frontiere”. “La missione europea
'Triton' – proseguì - non si spingerà oltre le 30 miglia marittime dalle coste
italiane lì dove, invece, si era spinto 'Mare Nostrum', e questo perchè si
tratta di una operazione di presidio delle frontiere marittime».
Sembrava miracoloso che l'Europa prendesse coscienza che le frontiere a 30
miglia delle coste italiane sono frontiere di tutti. Oltre quella linea
avrebbero vigilato le leggi del mare e l'obbligo di soccorrere in caso di
incidenti o affondamenti.
Quello che però non è
stato adeguatamente pubblicizzato è l’allegato n.3 del piano Operativo di
Triton, secondo il quale «Le unità navali partecipanti sono autorizzate
dall’Italia a sbarcare nel proprio territorio tutte le persone intercettate e
arrestate nelle sue acque territoriali, nonché nell’intera area operativa oltre
le sue acque territoriali».
Le righe successive
chiariscono meglio una questione che spesso viene messa in discussione, vale a
dire il ruolo di Malta: «In caso di un salvataggio nelle acque territoriali e
zone contigue di Malta, o per assicurare la salvaguardia delle vite di persone
in difficoltà, è possibile sbarcare a Malta». È possibile, dunque. Non
obbligatorio. Secondo il piano di Triton, quindi, gli sbarchi «possono»
anche avvenire a Malta. Ma come eccezione e solo in determinati casi
particolari, non come regola.
In questi ultimi giorni
il nostro Governo sta cercando di convincere l’Unione a “regionalizzare” gli
sbarchi negli altri porti mediterranei dell’Ue. Frontex e Triton attendono
disposizioni diverse dalle attuali direttive, ma si presume che attenderanno a
lungo.
Intanto restano a 30
miglia dalle coste italiane ed attendono lì i barchini dei disperati. Il vuoto
di mare tra la costa libica e le navi di Triton (che costa 2,9 milioni al mese)
è stato occupato dalle navi delle ONG che accolgono i migranti a rischio di
naufragio.
Sull’attività di alcune
ONG sono in corso varie inchieste da parte di Procure siciliane. Ma questa è
un’altra storia.