Se è azzardato dire che i tedeschi amano gli italiani è
altrettanto vero che, in genere, non ne hanno una grossa stima. Ne apprezzano
la spontaneità, l’allegria, la spensieratezza, la vitalità, la simpatia e
l’estro artistico ma li considerano anche inaffidabili, ritardatari,
imbroglioni, scansafatiche, mammoni e un po’ “mafiosi”. Non volevano neppure
Mario Draghi perchè “Per gli italiani l’inflazione è come la salsa di
pomodoro sulla pasta”. Insomma, essere
italiano in Germania rappresenta un pessimo biglietto da visita.
Aldo Maturo
Negli anni ’50 e ’60 in molti licei scientifici del nostro sud
il tedesco era la lingua straniera più studiata. Sentivo spesso i miei amici
ripetere parole interminabili, incomprensibili, foneticamente dure e
aspirate come si sentiva solo nei film delle SS. A confronto, la dolcezza
del mio greco riscattava tutte le sue difficoltà. Lo studio del
tedesco era forse funzionale al fenomeno dell’emigrazione verso la Germania,
che in quegli anni era caratterizzato da un grosso flusso migratorio verso la
terra di Goethe.
Il Sud, allora più che oggi, era un serbatoio di disoccupati e
in quegli anni oltre 4 milioni di italiani scelsero la Germania per partecipare
alla ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra. Erano considerati
lavoratori “ospiti”, in soggiorno temporaneo in attesa di ritornare in Italia. La
caduta del muro di Berlino (1989) creò le condizioni di nuovi posti di
lavoro per ricostruire la parte est della città e si assistette così ad
un’altra ondata di emigrazione verso la Germania da quei Paesi dove il
tasso di disoccupazione continuava a restare altissimo. Attualmente vivono
nella terra di Angela Merkel circa 650.000 italiani, la terza comunità
straniera dopo quella polacca e rumena, ma è da dire che 200.000 di loro sono
nati in Germania. Una forte presenza di italiani si ritrova a Stoccarda,
Francoforte, Colonia, Monaco di Baviera. Più di 170.000 connazionali lavorano
nelle grandi industrie come la Bosch, la Mercedes, la Lufthansa.
Imperante per gli italiani è il mondo della ristorazione,
con oltre 25.000 piccole imprese a conduzione familiare che
hanno ristoranti, pizzerie, gelaterie etc. Sono proprio queste piccole attività
che rappresentano la prima zattera di salvataggio per tanti italiani che
sbarcano in Germania senza lavoro e senza particolari punti di
riferimento.
"Pane e Cioccolata" con Nino Manfredi |
La crisi economica che dal 2008 attanaglia l’Europa ha rilanciato la Germania come Terra
Promessa e si è riproposta la necessità di conoscere il tedesco per lavorare
nel Paese economicamente più forte d’Europa, grande partner
economico dell’Italia. Ma questa volta il timone verso la Germania non lo
puntano solo le classi dequalificate ma vi puntano giovani ingegneri, medici,
esperti d’informatica, ricercatori, biochimici, gente altamente
professionalizzata che lascia la terra dei limoni per entrare nel motore
d’Europa. I nostri giovani, però, non devono farsi molte illusioni e
devono sapere che in Germania dovranno scontrarsi con molti pregiudizi –
non sempre gratuiti, a dire il vero - e riscattare altri luoghi comuni che da
decenni penalizzano chi li ha preceduti.
Secondo una ricerca fatta da Alessandra Simonti per
il Ministero Affari Esteri, e per la Conferenza dei Rettori delle
Università Italiane presso l’Ambasciata d’Italia a Berlino, intitolata: “Come
viene percepito l’Italiano residente in Germania dal tedesco medio?”, essere
italiano in Germania rappresenta un pessimo biglietto da visita.
Vecchi stereotipi e pregiudizi hanno limitato negli anni passati
l’inclusione dei vecchi emigrati nel contesto sociale e questo li ha portati a
vivere generalmente in comunità chiuse che sono il maggior ostacolo ad una
completa integrazione sociale. Per i ragazzi e i più giovani altro motivo di
esclusione è stata la difficoltà d’inserimento scolastico dovuta alla
lingua e alla severità degli studi. La scelta, così, spesso è caduta sulla
frequenza di scuole che offrivano poche opportunità professionali o di carriera
cui si aggiungevano scarsi stimoli da parte delle famiglie che, di fronte
all’insuccesso scolastico dei figli, invece di stimolarli per superare le
inevitabili difficoltà di apprendimento - spesso dovute anche al fatto che in
famiglia si continuava a parlare soltanto la lingua italiana - preferivano
avviarli a lavori scarsamente qualificati ma immediatamente
remunerativi.
Gli scarsi risultati in campo scolastico creavano però un
circolo vizioso perchè diventava difficile elevarsi da classi sociali medio
basse ereditate dai genitori. Quando la famiglia di origine non riusciva ad
integrarsi si chiudeva in in un guscio fatto solo di italiani. Questa
condizione si ripercuoteva sui figli a livello scolastico tanto che riescivano
a conseguire risultati modesti e poco qualificanti, quando non decidevano di
abbandonare gli studi. La mancanza di titoli scolastici qualificanti li
portava a dover fare soltanto lavori modesti e il circolo del disagio si chiudeva
riportandoli a subire le stesse umiliazioni dei genitori.
Come è azzardato dire che i tedeschi amano gli italiani così è
altrettanto vero che, in genere, non ne hanno una grossa stima. Ne apprezzano
la spontaneità, l’allegria, la spensieratezza, la vitalità, la simpatia e
l’estro artistico ma li considerano anche inaffidabili, ritardatari,
imbroglioni, scansafatiche, mammoni e un po’ “mafiosi”.
Non ci perdonano poi di urlare al ristorante e di gesticolare
troppo. Insomma la maggioranza degli italiani non ha vita facile
anche se la situazione varia da regione a regione, diventando ottimale a
Berlino e molto meno soddisfacente in Baviera. L’isolamento sociale
caratterizza anche altre comunità straniere (turchi, albanesi, balcanici) che,
come le nostre, continuano a vivere nei propri spazi etnici, con propri
negozi, propri spazi ricreativi, mantenendo rapporti solo con i propri
connazionali.
La Merkel sta cercando di risolvere il problema perché
l’immigrazione è benvoluta da un punto di vista macroeconomico, anche se non lo
è da un punto di vista sociale. Resta comunque difficile recuperare il dislivello che caratterizza
le due culture. Basti pensare che lo stesso Mario Draghi fu
fortemente osteggiato da tutti i giornali tedeschi prima di essere nominato al vertice della Banca
Centrale Europea perché il suo brillante curriculum era penalizzato da una sola
voce: “nazionalità”.
La sua provenienza italiana, Paese in pessime condizioni finanziarie,
indisciplinato, con un alto debito pubblico ed un’evasione incontrollata, lo
rendeva ai loro occhi inidoneo a guidare la BCE, perché “per gli italiani
l’inflazione è come la salsa di pomodoro sulla pasta”.
L’Italia come patria dei vizi. È un’etichetta che ci portiamo
dietro, insieme a tutti gli altri pregiudizi che ho elencato. Chi sta in
Germania sa che è un conto giornaliero che gli abitanti d’oltralpe ci
presentano e che rende molto difficile integrarci in una società rigida come la
loro. La speranza è che la professionalità che caratterizza i nuovi flussi
migratori possa contribuire a ridisegnare un profilo diverso del nostro Paese.