Di fronte a due bimbi morti e alla tragedia immane
avvenuta nel carcere femminile di Rebibbia avremmo tutti dovuto chiuderci in un
rispettoso silenzio. Di fronte a un fatto di cronaca così terribile il silenzio
ha una forza etica imparagonabilmente superiore a chi spreca parole per
spiegare, strumentalizzare, sentenziare (Patrizio Gonella, Presidente di
Antigone *).
19 settembre 2018
Coordinatrice Associazione
Antigone
Serve un capro espiatorio, serve la testa
di qualcuno. E quindi il
Ministero della Giustizia ha sospeso la direttrice del carcere di Rebibbia femminile Ida Del Grosso, la vicedirettrice Gabriella Pedote e la
vicecomandante di polizia penitenziaria
Antonella Proietti. L’Italia, giustamente sconvolta dalla
tragedia che si è consumata ieri in quel carcere, penserà che dunque la colpa
era la loro, guarderà con disonore le tre persone sospese dal servizio, avrà
qualcuno contro cui dirigere la propria rabbia e le proprie accuse.
Tutti contenti? No.
Cosa c’entrano Ida Del Grosso,
Gabriella Pedote e Antonella Proietti con quanto è accaduto? Cosa mai potevano
fare per prevederlo e impedirlo? Se io dirigessi un carcere con 350 detenute, avrei solo un modo
per essere certa che mai accadrà nell’istituto qualche evento che finirà sui
telegiornali: tenere tutte le detenute chiuse in celle singole (si può sempre aggredire la compagna
di detenzione), nude (ci si può impiccare anche con un calzino), legate al
letto (si può sempre sbattere la testa al muro), sorvegliate a vista. Così
probabilmente sì, potrei dormire sonni tranquilli. Ma è questo il modello di
pena che vogliamo?
Ho sentito dire che ci voleva maggiore controllo. Per spingere
una carrozzina giù dalle scale bastano due secondi. Come può chi dirige un
carcere limitare la libertà interna
delle persone detenute al punto da togliere loro fino a due
secondi? Non credo che il punto sia quello di togliere i due secondi. Credo
piuttosto che sia quello di togliere alle persone l’impulso a usare quei due secondi
come li ha usati la donna che ha spinto i suoi bambini giù dalle scale. E, a
parità di norme e di loro interpretazione, posto che quella donna si trovava in
carcere con i suoi due figli e non erano certo state le operatrici
dell’istituto a mandarcela, il nido di Rebibbia femminile, per come è gestito,
dà il massimo per tentare di fare proprio questo. Dopodiché ci sono più cose in
cielo e in terra di quante ne sogni la nostra filosofia. L’animo umano è vasto e complesso.
Neanche il più bravo tra gli psichiatri avrebbe mai potuto immaginare quel
gesto. Come avrebbe potuto farlo la direttrice Ida Del Grosso?
Il carcere di Rebibbia femminile è
gestito con intelligenza e con grande vicinanza alle persone recluse. Non è
un’istituzione distante, anonima, dove le richieste rimbombano nel vuoto del
silenzio e le persone si sentono abbandonate
a se stesse. È un luogo caldo, prossimo, capace di ascoltare.
La direttrice scendeva nei reparti, girava tra le celle, ricordava a mente le
singole storie delle singole donne e aveva un’attenzione per ciascuna. Lo
stesso la vicedirettrice. Due bravissime persone che in questi anni abbiamo
visto lavorare al meglio. Non conosco personalmente la vicecomandante ma sono
certa di poter usare anche per lei le stesse parole. Un carcere è una comunità: senza
il gioco di squadra non si ottengono risultati.
Eppure tre teste sono cadute.
Esemplarmente, simbolicamente, inutilmente, dolorosamente. Prima ancora
dell’indagine, prima ancora di accertare qualsiasi verità. Sventurata la terra
che ha bisogno di capri espiatori.
*
Antigone, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, è nata
alla fine degli anni ottanta nel solco della omonima rivista contro l’emergenza
promossa, tra gli altri, da Massimo Cacciari, Stefano Rodotà e Rossana
Rossanda. E’ un’associazione politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente
magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari, insegnanti e
cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale.