martedì 11 settembre 2018

LA GIUSTIZIA HA LA MEMORIA LUNGA


Il CED della polizia (Centro Elaborazione Dati) conserva per 20 anni anche le sentenze di archiviazione e di assoluzione.

  Avv. Aldo Maturo


 
La giustizia è lenta ma ha la memoria lunga.  Se, per un qualunque motivo, si entra nel circuito dei palazzi di giustizia per una indagine penale, non serve uscirne con sentenza di assoluzione o di archiviazione dopo aver pendolato per anni da una udienza all’altra.  Tutti i dati e le informazioni della persona sottoposta ad indagini penali resteranno nella banca dati delle forze di polizia per almeno 20 anni.

Lo ha stabilito la sentenza 21362 del 29.8.2018 in applicazione del DPR n.15 del 15.1.2018 sul codice della privacy per il trattamento dei dati effettuato per ragioni di polizia giudiziaria. E pensare che la sentenza della cassazione riguarda un ricorso presentato nel 2007, quindi undici anni prima del citato DPR, il che significa che la norma di tale decreto, per gli ermellini, ha effetto retroattivo.
Tutto era iniziato con il ricorso di un professionista che aveva scoperto essere ancora presente il suo nominativo nel CED (Banca dati) della Polizia per un procedimento penale in cui era stato imputato ma da cui era uscito “pulito” perché la sua posizione era stata stralciata perché riconosciuta estranea ai fatti di cui al processo.
E’ da ricordare che negli archivi del CED vengono conservati i dati e le informazioni risultanti da indagini di polizia o da sentenze e provvedimenti dell’A.G. (artt. 6 e 7 della L.1.4.1981 n.121). La polizia può consultare i dati relativi ai procedimenti penali quando ciò è necessario per compiti di polizia, per prevenzione dei reati, per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, per la prevenzione e la repressione dei reati.
Ricorrendo in Cassazione, il professionista aveva eccepito che ogni volta che si accedeva al CED per quel processo, il suo nominativo veniva inevitabilmente abbinato a quello degli altri indagati, con grave danno per la sua reputazione e credibilità, mentre la sua posizione era stata stralciata perché estraneo ai fatti.
La Cassazione, dopo un articolato e lunghissimo esame di tutta la normativa, ha ritenuto di respingere il ricorso e di richiamare, con l’occasione, il DPR n.15 del 2018, che all’art.10 fissa in 20 anni il termine per la conservazione dei provvedimenti giudiziari conclusisi con l’archiviazione. Invero il citato articolo non fa sconti neppure alle sentenze di assoluzione o di non doversi procedere, che restano nell’archivio del CED per lo stesso numero di anni (20 anni), mentre quelle di condanna si estendono a 25 anni.
Unica consolazione, ammesso che valga, è che, trascorsa la metà del tempo massimo previsto, i dati possono essere visibili solo a personale di P.G. particolarmente abilitato all’accesso.
E’ da sottolineare che la visione è limitata agli operatori delle forze di polizia e mai potrà verificarsi che un privato o un datore di lavoro possa sapere se a carico di un cittadino vi è stata un’indagine o un processo penale (se non risulta nei carichi pendenti).