Il CED della polizia (Centro Elaborazione Dati)
conserva per 20 anni anche le sentenze di archiviazione e di assoluzione.
Avv. Aldo Maturo
La giustizia è lenta ma
ha la memoria lunga. Se, per un qualunque
motivo, si entra nel circuito dei palazzi di giustizia per una indagine penale,
non serve uscirne con sentenza di assoluzione o di archiviazione dopo aver
pendolato per anni da una udienza all’altra.
Tutti i dati e le informazioni della persona sottoposta ad indagini
penali resteranno nella banca dati delle forze di polizia per almeno 20 anni.
Lo ha stabilito la
sentenza 21362 del 29.8.2018 in applicazione del DPR n.15 del 15.1.2018 sul
codice della privacy per il trattamento dei dati effettuato per ragioni di
polizia giudiziaria. E pensare che la sentenza della cassazione riguarda un
ricorso presentato nel 2007, quindi undici anni prima del citato DPR, il che
significa che la norma di tale decreto, per gli ermellini, ha effetto
retroattivo.
Tutto era iniziato con
il ricorso di un professionista che aveva scoperto essere ancora presente il
suo nominativo nel CED (Banca dati) della Polizia per un procedimento penale in
cui era stato imputato ma da cui era uscito “pulito” perché la sua posizione
era stata stralciata perché riconosciuta estranea ai fatti di cui al processo.
E’ da ricordare che
negli archivi del CED vengono conservati i dati e le informazioni risultanti da
indagini di polizia o da sentenze e provvedimenti dell’A.G. (artt. 6 e 7 della
L.1.4.1981 n.121). La polizia può consultare i dati relativi ai procedimenti
penali quando ciò è necessario per compiti di polizia, per prevenzione dei
reati, per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, per la prevenzione
e la repressione dei reati.
Ricorrendo in Cassazione,
il professionista aveva eccepito che ogni volta che si accedeva al CED per quel
processo, il suo nominativo veniva inevitabilmente abbinato a quello degli
altri indagati, con grave danno per la sua reputazione e credibilità, mentre la
sua posizione era stata stralciata perché estraneo ai fatti.
La Cassazione, dopo un
articolato e lunghissimo esame di tutta la normativa, ha ritenuto di respingere
il ricorso e di richiamare, con l’occasione, il DPR n.15 del 2018, che
all’art.10 fissa in 20 anni il termine per la conservazione dei provvedimenti
giudiziari conclusisi con l’archiviazione. Invero il citato articolo non fa
sconti neppure alle sentenze di assoluzione o di non doversi procedere, che
restano nell’archivio del CED per lo stesso numero di anni (20 anni), mentre
quelle di condanna si estendono a 25 anni.
Unica consolazione,
ammesso che valga, è che, trascorsa la metà del tempo massimo previsto, i dati
possono essere visibili solo a personale di P.G. particolarmente abilitato
all’accesso.
E’ da sottolineare che la
visione è limitata agli operatori delle forze di polizia e mai potrà
verificarsi che un privato o un datore di lavoro possa sapere se a carico di un
cittadino vi è stata un’indagine o un processo penale (se non risulta nei
carichi pendenti).