martedì 23 maggio 2017

FALCONE, UN EROE DEL GIORNO DOPO


 Aldo Maturo

Si può diventare eroi anche così, appena dopo morti o il giorno dopo, quando i telegiornali hanno completato i più raccapriccianti particolari. Falcone lo è diventato alle 19,05 del 23 maggio 1992, quando è spirato in ospedale fra le braccia di Borsellino. Alle 17,58 cinque quintali di tritolo avevano fatto saltare in aria, come un lenzuolo al vento, un intero pezzo di autostrada, allo svincolo di Capaci, travolgendo  la sua croma blindata e le altre due di scorta. Con lui avevano perso la vita nomi ormai noti, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.



Relitto dell'auto di Falcone
L’edizione straordinaria del TG1 paralizzò il Paese e per tanti quel nome, sconosciuto ai più, cominciò ad essere familiare anche se da anni era il simbolo della lotta alla mafia, il primo, con Borsellino, a scrivere la sentenza del maxi processo a 400 mafiosi, il più grande della storia della lotta alla criminalità organizzata.

   E pensare che poco tempo prima una signora di Palermo, disturbata dal passaggio delle scorte, aveva scritto al Giornale di Sicilia che:

“.....regolarmente tutti i giorni (non c’è sabato o domenica che tenga) al mattino, nel primissimo pomeriggio e alla sera (senza limiti di orario) vengo letteralmente assillata da continue e assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora,mi domando, è mai possibile che non si possa,eventualmente,riposare un poco nell’intervallo di lavoro e,quanto meno,seguire un programma televisivo in pace, dato che,pure con le finestre chiuse,il rumore delle sirene è molto forte?

   Non è che questi egregi signori potrebbero essere piazzati tutti insieme in villette alla periferia della città, in modo tale che sia tutelata la tranquillità di noi cittadini-lavoratori e l’incolumità di noi tutti,che nel caso di un attentato siamo regolarmente coinvolti senza ragione?” (Attilio Bolzoni, "Uomini soli", 2012)

   Era stata quasi preveggente la signora disturbata dai giudici antimafia, se è vero che nell’estate 1988 Falcone, Borsellino e le rispettive famiglie furono catapultati sull’isola dell’Asinara, il dismesso e desolato supercarcere a nord della Sardegna, per scrivere la sentenza del maxiprocesso. Avvisati dal Questore, che temeva li potessero uccidere prima che scrivessero la sentenza, erano stati messi su un aereo lo stesso giorno, direzione Sardegna. Con loro mogli e figli, esiliati su uno scoglio deserto, in una manciata di ore passati dalla loro città alla banchina del porticciolo sardo, lontani da casa, dagli affetti, dagli amici, dal lavoro, dalle cose più care.  La cosa straordinaria è che il Ministero della Giustizia, alla fine del soggiorno, gli presentò il conto come se fossero stati in ferie in una foresteria dello Stato.

  
Ma alle delusioni Falcone era abituato. Qualche mese prima il Consiglio Superiore della Magistratura, disattendendo tutte le previsioni e le aspettative, aveva preferito Antonino Meli a Falcone nella nomina a Consigliere Istruttore di Palermo e l’estate successiva era stato accusato addirittura di aver organizzato, a suo danno, un attentato. E’ quello dell’Addaura, la villetta al mare presa in fitto a picco sugli scogli. Fra gli anfratti due agenti della scorta avevano scoperto un borsone pieno di candelotti di dinamite. Tutti e due gli agenti saranno uccisi, a distanza di un anno l’uno dall’altro, in circostanze avvolte dal mistero.
   La Cassazione – che nel 2004 ha condannato Totò Riina ed altri a 26 anni di reclusione – ha stigmatizzato l’infame linciaggio subito nella circostanza da Falcone, accusato di essere stato lui stesso  a organizzare il tutto per farsi pubblicità.

   Nel 1991 il suo progetto di una Procura Nazionale Antimafia fu fortemente osteggiato da tutti colleghi – che arrivarono ad uno sciopero contro una tale proposta -  perché la consideravano «una grave lesione alle prerogative del Parlamento e all’indipendenza della magistratura». In 60 firmarono una lettera al Ministro in cui dicevano che”…ci accomuna la convinzione che lo strumento proposto sia inadeguato, pericoloso e controproducente… fonte di inevitabili conflitti e incertezze”.

A Falcone non restava che lasciare Palermo, accettando l’incarico di Direttore Generale degli Affari Penali propostogli dal Ministro della Giustizia Martelli. Anche stavolta nessuno gli fece sconti e si disse  Falcone si è venduto al potere politico”, “Falcone è un nemico politico”. “Dovremo guardarci da due Cosa Nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma” fino ad arrivare a “…Falcone è stato preso da una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell’impulso irrefrenabile a parlare, quella smania di pronunciarsi, di sciorinare sentenze sulle pagine dei giornali o negli studi televisivi, spingendoli a gareggiare con i comici del sabato sera… Ecco quindi il magistrato Falcone, oggi a uno dei posti di vertice del ministero di Grazia e Giustizia, divenuto uno dei più loquaci e prolifici componenti del carrozzone pubblicistico… non si capisce come mai il dr. Falcone, se proprio tiene tanto al suo nuovo ruolo, non ne faccia la sua professione definita, abbandonando la magistratura” (Sandro Viola, Repubblica, 9.1.1992)


A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l'unica strada possibile, il Ministero della Giustizia per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione.”  Così aveva gridato il giudice Ilda Boccassini alla notizia della morte di “Giovanni”. E ai suoi colleghi di Milano aveva aggiunto:Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali”.

  Sempre la stessa Boccassini alla Repubblica aveva dichiarato:”Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento.[...] Non c'è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di "amici" che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito”.

  Ad un mese dalla morte, Falcone venne commemorato al Congresso di Washington che aveva considerato la sua morte un delitto commesso anche contro gli Stati Uniti d’America mentre l’FBI  ha voluto onorarlo  con un suo busto in bronzo a ricordo di un eroe italiano.



Da "Cronache e...dintorni" di Aldo Maturo, Ediz.Nous, marzo 2013