Nota ai
più solo per l’abolizione della prostituzione legalizzata (“case chiuse”), in
realtà a lei si devono, tra l’altro, l’abolizione dell’infamante dicitura “Figlio
di N.N.” che veniva apposta sugli atti anagrafici dei trovatelli (Legge n.
1064 del 31 ottobre 1955), l’equiparazione dei figli naturali ai figli
legittimi in materia fiscale, la legge sulle adozioni, che eliminava le
disparità di legge tra figli adottivi e figli propri, e la soppressione
definitiva della cosiddetta “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro,
che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano (Legge n. 7 del
9 gennaio 1963).
(…) Considero la legge
Merlin una legge di cui l’Italia e le Italiane dovrebbero andare fiere, mentre
purtroppo mi sembra che oggi sia attaccata in continuazione e tacciata di
moralismo. Ecco perché deve essere difesa. Un altro motivo della mia scelta me
lo ha dato il libello polemico di Montanelli del 1956 “Addio, Wanda!” nel
quale scriveva: « … in Italia un colpo di piccone alle case chiuse
fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica,
la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre
istituzioni trovavano la più sicura garanzia… ». Bene, questo mi
sembra un ottimo motivo per chiuderle e per ricordare con orgoglio la senatrice
socialista Merlin.
Lina Merlin,
all’anagrafe Angelina Merlin (1887-1979): politica e partigiana,
membro dell’Assemblea Costituente e prima donna a essere eletta al Senato.
È una giovane
maestra quando comincia a rendersi conto delle condizioni in cui vivono le
donne del suo tempo: in particolare non tollera l’ipocrisia dei capi di
famiglia, religiosi e osservanti, che non trovano alcuna contraddizione tra i
loro principi e il frequentare le prostitute. Le “case chiuse” sono,
infatti, considerate luogo di svago, dove i giovani possono fare esperienza,
mentre è scandaloso per una donna avere rapporti sessuali fuori del matrimonio.
Lina si iscrive al
Partito Socialista Italiano, cominciando a collaborare al periodico “La
difesa delle lavoratrici”, di cui in seguito assumerà la direzione.
Collabora con il deputato socialista Giacomo Matteotti e gli riferisce le
violenze perpetrate dalle squadre fasciste nel padovano.
Quando, nel 1925,
dopo l’assassinio di Matteotti, Mussolini consolida il suo potere, il
destino di Angela è segnato. In meno di due anni viene arrestata cinque volte.
Inoltre viene licenziata dal suo impiego d’insegnante perché si rifiuta di
prestare il giuramento di fedeltà al regime, obbligatorio per gli impiegati
pubblici. Ha 39 anni.
In seguito, alla
scoperta del complotto per attentare alla vita del duce, il suo nome viene
iscritto nell’elenco dei “sovversivi” affisso nelle strade di Padova
Lina quindi si
trasferisce a Milano dove pensa sia più difficile essere rintracciata.
Comincia a
collaborare con Filippo Turati, ma è arrestata e condannata a cinque anni di
confino in Barbagia. Anche qui, colpita dalla povertà e dall’arretratezza
della regione, riesce a conquistarsi il rispetto e la fiducia degli abitanti,
soprattutto delle donne. Ad alcune di loro insegna a leggere e a
scrivere.
Tornata a Milano
prende parte ad azioni della resistenza partigiana, rischiando più volte la
vita. Catturata dai nazisti, riesce a sfuggire con uno stratagemma. Scrive
articoli sul periodico socialista clandestino Avanti! e nella sua casa di
via Catalani 63 con Lelio Basso, Sandro Pertini, Rodolfo Morandi e Claudia
Maffioli organizzano l’insurrezione.
Nel 1946, a 59
anni, viene eletta all’Assemblea Costituente. I suoi
interventi nel dibattito costituzionale, quale membro della “Commissione
dei 75“, risulteranno determinanti per la tutela dei diritti delle
donne, e lasceranno un segno indelebile nella Carta Costituzionale.
A lei si devono
infatti le parole dell’articolo 3: “Tutti i cittadini…sono uguali davanti alla
legge, senza distinzioni di sesso“, con le quali veniva posta la base
giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna,
che fu sempre l’obiettivo principale della sua attività politica.
È inoltre degna di
nota l’opera di mediazione da lei esercitata tra opinioni contrapposte riguardo
alla stesura dell’articolo 40, concernente il diritto di sciopero,
proponendo una formulazione analoga a quella presente nel preambolo della
Costituzione della IV repubblica francese.
Uno dei punti
cardine, se non il principale, dell’opera politica di Lina Merlin è stata la battaglia
per abolire la prostituzione legalizzata in Italia, seguendo l’esempio
dell’attivista francese (ed ex prostituta) Marthe Richard, che
già aveva fatto chiudere le case di tolleranza in Francia.
Negli anni seguenti
l’approvazione della sua famosa legge, Lina Merlin proseguì l’attività
parlamentare con altri importanti interventi legislativi a favore della
condizione delle donne e contro le discriminazioni ai danni dei più deboli.
A lei si devono, tra
l’altro, l’abolizione dell’infamante dicitura “ Figlio di N.N. ” che veniva apposta
sugli atti anagrafici dei trovatelli (Legge n. 1064 del 31 ottobre 1955),
l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la
legge sulle adozioni che eliminava le disparità di legge tra figli adottivi e
figli propri, e la soppressione definitiva della cosiddetta “clausola di
nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle
lavoratrici che si sposavano (Legge n. 7 del 9 gennaio 1963).
La stizza di molti
uomini che le imputavano la scomparsa del loro “intrattenimento” preferito, le
procurò ostilità e inimicizie persino nell’ambito del suo stesso partito.
Pubblicato su ottobre 18, 2013 da snoqfactory