lunedì 2 novembre 2020

FOSSOMBRONE: QUARANT'ANNI FA LA RIVOLTA NEL SUPERCARCERE

Ottobre 1980, a Fossombrone quattro detenuti prendono in ostaggio tre guardie. Così due giornalisti di Pesaro contribuirono al lieto fine.

 


 

di Giorgio Guidelli – Resto del Carlino, 1.11.2020

 

Dormiva. Presero a grandinare squilli di telefono. Di quello con la cornetta grigia. E la rotella che gira. "Buongiorno dottore, sono Aldo Maturo". Enzo Polverigiani s’issò come una ‘spina’ pizzicata in branda. "Senta, dovrebbe venire quassù, a Fossombrone, che i detenuti vorrebbero parlare col Ministero ma anche con i giornalisti". Era accaduto questo: che al supercarcere quattro detenuti avevano pigliato in ostaggio tre guardie.

 

Come nei film americani. La più giovane l’avevano legata con un elasticaccio ai cardini dei cancelli. E se qualcuno, malauguratamente, avesse mosso la porta, il povero cristo d’agente sarebbe rimasto strangolato in un non men che non si dica. Una specie di garrota artigianale, modello carcere. In quattro, di cui due detenuti ‘politici’, tenevano per il bavero l’intero "baraccone". E il perché non era da spiegarsi in chissà quali volantini di eversione: dovevano fare i bagagli ed essere trasferiti all’altro ‘grand hotel’ del circuito carcarcerario appena riformato: l’Asinara. E non ne volevano sapere. Ma, allora, la stampa aveva il verisimile potere di piegare l’asse terrestre. E così, quel giorno, il dottor Maturo, direttore del supercarcere di Fossombrone, squillò allo stesso modo anche a casa di Paolo Nonni, l’altro cronista per antonomasia della carta stampata insieme a Polverigiani. Che ricorda: "Io, quella mattina, dormivo. A differenza di Paolo che, come tutti i capi veri, andava in redazione alle sette".

Sicché, Polverigiani, in maglione e jeans, e Nonni, in tenuta classica giacca e maglione a collo alto, infilano le portiere del maggiolone nero di Enzo. E partono per Fossombrone. Quell’8 ottobre ’80, quarant’anni fa, non era una giornata uggiosa. C’era un bel sole e il cielo terso. Ma dentro il carcere s’addensavano tenebre di cronaca. "Arriviamo là – ci ripensa su Polverigiani – e c’era un cordone di carabinieri. Con loro, poi, c’erano pure cani poliziotto che ronzavano là intorno". Scenari di repressione. Che, allora, nell’avvitamento terroristico all’alba degli Ottanta (quattro sequestri brigatisti anche in contemporanea) non erano poi così insoliti. "Sicché il dottor Maturo ci è venuto a prendere – ripercorre ancora Polverigiani – e con lui c’era anche il procuratore della Repubblica. Quando abbiamo infilato i corridoi del supercarcere, siamo stati accolti come da una percussione di ferri". Un concerto in do maggiore di scodelle e gavette, picchiate alle sbarre. Niente di assordante, ma una sinistra ouverture che faceva d’anticamera al nucleo del caos: "Dentro una cella – spiega Enzo – c’erano tre agenti di custodia in ostaggio. Io e Paolo ci siamo avvicinati alle sbarre. E abbiamo visto che nella tuta uno aveva infilato un coltello. In pratica l’aveva messo nell’elastico. Ma la cosa più choccante è che avevano preso un agente giovane, l’avevano legato con un elastico ai cardini dei cancelli. Se qualcuno muoveva la porta, sarebbe rimasto strangolato. Sempre là dentro c’era un maresciallo in una brandina. Sconsolato. Il terzo non lo vedevamo".

Intanto, nei corridoi, quegli altri percuotevano come matti alle sbarre. Ma Enzo e Paolo, oltre al taccuino, sapevano di dover tirare fuori pure gli attributi. E le domande: "In pratica ci dicevano che non volevano essere trasferiti all’Asinara. Raccontavano che quello era un posto terribile e micidiale. Poi, senza tanti giri di parole, ci facevano sapere che avevano l’esplosivo ed erano pronti a tutto. Insomma: preferivano la morte all’Asinara. Ce lo dicevano dallo spioncino". Da cui poi sbucavano frasi del tipo "non siamo bestie" e gli slogan dell’allora movimento proletari pigionieri, che inneggiavano alle conquiste su quel fronte e pure a non farla tanto lunga. Perché, se ce ne fosse stato bisogno, si sarebbe passati ai fatti. Così, mentre a Rocca Costanza si accontentavano di ribellarsi salendo sul tetto a prendere il sole, sulla Flaminia non si scherzava. L’alternativa era il plastico. E se saltava tutto, erano cavoli amari. "Ci dicevano che erano pronti a tutto e noi uscimmo nel frastuono di quelle scodelle. Nel frattempo il dottor Maturo e il procuratore stavano in contatto col Ministero. Noi siamo stati lì fino alle tre del pomeriggio. Verso le 16 è arrivata la risposta del Ministero. In pratica, venivano trasferiti tutti e quattro. Ma non all’Asinara". Ostaggi liberati, niente più armi. Il maggiolone nero con Enzo e Paolo che rincasa. E titoli a caratteri cubitali urbi et orbi. Era la stampa, bellezza.