Erano mesi che aprire la bacheca FB mi creava un malessere da
sovraccarico di informazioni. Abbiamo nella lista di amici centinaia di nomi perché
“così rimaniamo in contatto” ma
in realtà abbiamo poco o niente in comune, però fa brutto eliminare. Con molti ricordiamo
di essere stati amici ma non ci si fa sentire mai ma proprio mai, e noi ancora
meno con loro. Finivo sempre per vedere le stesse cose, lo stesso tipo di
argomenti, ogni volta che aprivo l’applicazione. Per non parlare del fatto che,
fra i quasi 500 amici che avevo in lista, continuavo sempre a vedere la stessa
cinquantina di persone. Ma dove stavano tutte le
altre 450?!
Tratto da
Quello che
Facebook fa con i nostri dati e che non mi piace per niente
(……omissis….) leggere
una dietro l’altra le azioni messe in atto da Facebook, spesso senza che noi
utenti ne siamo coscienti. Queste quelle che mi hanno impensierita di più:
1
Facebook usa i nostri like in maniera arbitraria e non autorizzata, per
raccomandare prodotti su cui non abbiamo mai cliccato, ma che compariranno
comunque nelle bacheche dei nostri amici.
2
Avevo avuto i primi dubbi più di un anno fa: mi ero accorta che molti
dei contenuti sponsorizzati che apparivano nella mia bacheca includevano i like
di alcuni miei amici. Niente di male, ma la cosa mi puzzava perché si trattava
di persone che erano solitamente molto caute nel mettere like nei post altrui. E
ancora di mi stupiva che avessero messo un like a multinazionali o prodotti
poco diffusi in Italia. C’erano delle incoerenze che mi puzzavano, e avevo
iniziato a chiedermi cosa vedessero di me i miei contatti, a mia insaputa. Non
c’è modo di controllarlo, ne di sapere quando Facebook decide di usare i nostri
like senza permesso.
3
Anche quando non siamo dentro Facebook, i nostri dati di navigazione sul
web vengono raccolti e utilizzati da Facebook per migliorare i loro algoritmi e
conoscerci meglio. Ogni volta che una pagina contiene un tasto Facebook, le
parole chiave della pagina che stiamo leggendo vengono associate a noi e
magicamente i contenuti che vedremo nella nostra bacheca Facebook riporteranno
si adatteranno a quanto leggiamo quando navighiamo il web. Ve ne siete già
accorti, no? Non vi siete mai chiesti come fa Facebook a sapere che volete
andare in vacanza in Grecia, o che state pensando a comprare un paio di stivali
nuovi? O peggio, come si permette Facebook di consigliarvi la vitrificazione di
ovuli, solo perché siete donne sui trenta e casualmente single? Anche in questo
caso, non ci sono opzioni della privacy che vi consentano di disabilitare
questo tracciamento del vostro comportamento online.
4
Facebook può usare il
riconoscimento facciale (lo stesso con cui riconosce gli amici che
non sono ancora taggati nelle vostre foto) per raccogliere dati circa il luogo
in cui vi trovavate in una certa data. Farlo è un gioco da ragazzi, voi gli
date la foto, e lui ci aggrega i dati GPS, data, ora, contenuti nel file
immagine.
5
Usando Facebook, facciamo inconsciamente la spia sulle vite
degli altri, anche di chi non è su Facebook o ha deciso di esserci
con un account fake (es. con nome e cognome modificati, come facevo io).
Se ad esempio avete fatto una sincronizzazione dei contatti con Facebook, cioè
la funzione “Trova Amici” che vi permette di vedere chi – delle persone che
conoscete – ha già un account, avete praticamente dato in pasto al robot tutta
la vostra rubrica telefonica/email. Il nostro beniamino social, quindi, ora sa
chi sono i vostri contatti, vi dirà chi di loro è già registrato, ma si terrà
ben strette le altre informazioni. È così che vengono creati i “profili-ombra“,
cioè un database con tutti i dati che voi personalmente non avete mai inserito
in Facebook, ma che lui conosce comunque, come il vostro numero di telefono o
magari il vostro indirizzo di casa. Fa lo stesso anche con i dati dei vostri
amici/conoscenti che sono nelle vostre rubriche ma che non hanno mai aperto un
profilo Facebook. Esempio vicino, mia madre che riceve un’email da parte di
Facebook, senza che nessuno l’abbia invitata a registrarsi: è Facebook che la
vuole e la informa che già diverse persone che lei conosce personalmente hanno
un account, perché lei ancora no?!
6
Ciò che scrivete su Whatsapp viene archiviato anche da Facebook. Si, ad
agosto 2016 WhatsApp ci ha avvisato che voleva usare “le informazioni
del vostro account WhatsApp per migliorare le pubblicità e la funzionalità dei
prodotti del vostro Facebook”. Abbiamo seguito le istruzioni per
bloccare questa comunicazione trasversale fra le due applicazioni, e ci siamo
tranquillizzati sul fatto che Facebook non pubblicherà le informazioni che
diamo tramite WhatsApp. Ok, non le pubblica, ma mica ci ha
garantito che non le archivierà. Quindi torniamo al punto
precedente, gli algoritmi di Facebook sono contenti anche se non pubblicano:
per loro è sufficiente archiviare e fare la gioia di terze parti che poi
compreranno quei dati e ci faranno un bel gruzzoletto sopra.
Questa sembra essere
l’obiezione più diffusa che ci auto-ripetiamo quando leggiamo questo tipo di
informazioni; l’ho fatto anche io, diverse volte.
Il motivo per cui,
secondo me, dovremmo rifiutare di condividere la nostra vita su Facebook,
sapendo oltretutto che non si tratta di sola anagrafica ma anche di dettagli
privati, immagini, letture e via dicendo, è che perdiamo il controllo dei
nostri dati.
Facebook ci conosce
meglio di nostra madre, meglio del nostro partner.
Sa dove viviamo, chi
sono i nostri amici, quelli attuali ma anche quelli che risalgono ai tempi
dell’asilo. Sa cosa mangiamo, dove andiamo in vacanza, sa quando cambiamo
lavoro, quando ci tagliamo i capelli. Sa che libro stiamo leggendo, sa se
stiamo frequentando un ragazzo nuovo prima che lo sappia il nostro giro di
amici più stretto, sa se abbiamo intenzione di sposarci o se stiamo pensando ad
avere un figlio. Sa se siamo malati e se siamo solo degli ipocondriaci. Sa se
vogliamo dimagrire, sa con buona probabilità cosa voteremo alle prossime
elezioni, sa se abbiamo tradito o se siamo stati traditi.
Non so, vi sembra poco?
Io direi che tutti,
nessuno escluso, abbiamo qualcosa da nascondere a Facebook: e questo qualcosa si chiama
semplicemente privacy.
Senza ricorrere ai
massimi sistemi, pensate a quello che fate, immaginate, leggete, nella vostra
vita quotidiana e che cercate poi sul web.
Ok, ora pensate a quante
di queste cose condividereste tranquillamente con il vostro compagno o con i
vostri migliori amici o con la vostra famiglia.
Magari il 70-80%, se vi va
bene?
E che dire di quel
20-30% che vorreste tenervi per voi, perché si tratta appunto di pensieri
intimi o fantasie o progetti che per il momento non siete pronti a condividere
con l’esterno?
Indovinato, Facebook lo
sa già, e non si farà scrupoli a venderlo al migliore offerente.
(Conoscete già il
caso di scuola della tessera fedeltà
del supermercato e dell’adolescente la cui gravidanza viene scoperta dalla
famiglia prima che lei avesse modo di confessarlo, no?).
E poi c’è
la questione del sovraccarico di informazioni e dello spegnimento del cervello
mentre il pollice scorre sull’homepage
A tutta questa filippica
incentrata sulla privacy, aggiungo poi una motivazione sentimentale, di pancia.
Ve lo confesso: erano
mesi che aprire la bacheca Facebook mi creava un malessere da sovraccarico di
informazioni.
Che fossero la guerra e
le vittime in Siria, i gattini che rotolano su un pavimento in parquet, le foto
di viaggi, di colazioni, le discussioni politiche, le riflessioni profonde e le
frivolezze.
Era tutto lì, a portata
di pollice e di curiosità morbosa.
Diverse volte durante la
giornata, sentivo il bisogno di entrare su Facebook.
Avevo bisogno di
staccare il cervello e scorrere l’homepage senza un motivo preciso, solo
per il gusto di farlo.
Eppure la mia vita può
continuare tranquillamente anche senza sapere che la mia ex compagna di liceo
che non vedo da circa quindici anni, ha un nuovo compagno; o che amici di amici
sono andati in viaggio di nozze in Papua Nuova Guinea; o che un tizio con cui
non parlo da secoli ha tendenze razziste.
La maggior parte delle
cose che leggevo sulla mia homepage Facebook aveva un impatto quasi
nullo nella mia vita.
Però era un placebo per
i momenti di noia. Era anche un placebo per quelle relazioni che si stirano
stancamente da un anno all’altro senza reale interesse: avete presente,
immagino.
Gente che è nella lista
dei vostri amici Facebook perché “così rimaniamo in contatto” ma con cui
avete poco o niente in comune, però fa brutto eliminare.
Gente con cui ricordate
di essere stati amici ma che non si fa sentire mai ma proprio mai, e voi ancora
meno con loro.
Gente. Parole. Rumore di
fondo.
Per anni ho cercato di educare
Facebook, chiedendogli di nascondere gli aggiornamenti sulle persone che
non mi interessano veramente, o i cui pensieri mi offendono.
Ho sempre rifuggito il
pensiero che valga la pena usare Facebook per rimanere in contatto solo con chi
la pensa come me. Per me sarebbe equivalso a chiudermi in una bolla di
pensiero: la stessa che, per esempio, pare aver fregato quella gran parte di
statunitensi che credeva che Trump non avrebbe mai vinto le elezioni (a questo
proposito, consiglio l’articolo: How We Broke
Democracy, [Come abbiamo rotto la democrazia, ndr]).
Eppure Facebook non
sembrava collaborativo: finivo sempre per vedere le stesse cose, lo stesso tipo
di argomenti, ogni volta che aprivo l’applicazione. Per non parlare del fatto
che, fra i quasi 500 amici che avevo in lista, continuavo sempre a vedere la
stessa cinquantina di persone.
Ma dove stavano tutte le
altre 450?!
Anche questo è uno dei
trucchetti di Facebook che vale la pena tenere a mente, ma di cui non voglio
parlare qui (questo post sta diventando già troppo lungo).
È così che Facebook ha
iniziato ad annoiarmi, e a darmi questa sensazione di bolla informativa (sì, la
stessa che avevo voluto evitare) e malessere. Allo stesso tempo, una parte
recondita del mio cervello aveva bisogno della dose di Facebook ogni tot ore,
una specie di iniezione di endorfine.
Una dipendenza che non
mi piaceva per niente.
Inizialmente ho disattivato
Facebook dal cellulare, per evitare l’effetto-automa con il pollice che scorre
sullo schermo alla ricerca di qualcosa che valga la pena leggere.
Questo mi ha permesso di
non aprire Facebook come prima attività della giornata (ancora prima di alzarmi
dal letto), e pian piano mi sono accorta che l’impulso ad aprire la mia bacheca
durante il giorno si attenuava.
Fino ad arrivare al
viaggio in bus di cui sopra, e alla consapevolezza che ero pronta a lasciare
definitivamente il mio mondo Facebook.
[Ammetto che ha avuto
una certa influenza anche una puntata di Black Mirror, intitolata Nosedive
e che vi consiglio di vedere. Guardatela, pensate a come usiamo i social media
ora e quanto siamo lontani-eppure-così-vicini alla storia di Nosedive.]
E poi ho
eliminato anche la pagina Facebook di Trent’Anni e Qualcosa
Avendo deciso di
annullare i miei due account (quello di Giulia Calli, che è lo pseudonimo che
uso per il blog, e il mio account “vero”), ho dovuto propendere anche per
chiudere la pagina Facebook del blog.
In realtà, anche qui c’è
stata una motivazione di pancia. Avrei potuto mantenere un account finto, senza
amici, solo per mantenere in piedi la pagina.
Ma il punto è che anche
la pagina Facebook di Trent’Anni e Qualcosa iniziava a crearmi
malessere: assomigliava sempre più a un’alternativa al blog, un sostituto più
immediato in cui scrivere.
Molto più facile
pubblicare una foto sulla pagina Facebook con un commento, che non prendermi
un’ora per scriverci un post qui su WordPress.
Molto più gratificante
vedere i like aumentare sotto a un post Facebook, che fioccano più
numerosi dei commenti a un post qui sul blog.
Semplicemente perché non
solo per me, ma per tutti, usare il pollice per mettere un like da smartphone
è molto più rapido che entrare in una pagina web, leggere un contenuto lungo e
decidere di interagire.
Mi sono quindi resa
conto che scrivevo per due pubblici diversi, quello più reattivo di Facebook e
quello più riflessivo qui sul blog. Un doppio dispendio di energie che non mi
piaceva più.
Chiudere
la pagina Facebook del blog mi penalizzerà nella diffusione del mio contenuto?
Probabilmente sì. Niente
come Facebook aiuta a diffondere i propri contenuti online.
Il vantaggio, però, è che
non devo più preoccuparmi anche della pagina Facebook, e posso dedicarmi solo
ed esclusivamente al blog.
Chi arriverà qui e
deciderà di fermarsi, lo farà perché veramente interessato a quello che scrivo,
e non perché ho scelto un’immagine accattivante per catturare l’attenzione del
pollice-automa che scorre una bacheca Facebook.
Naïf? Forse. Ma se uno
dei miei obiettivi è quello di recuperare più tempo libero per me stessa e per
le cose che mi fanno stare bene, liberarmi anche dei fardelli social è quasi un
obbligo.
C’è solo stata un
piccolo compromesso da mantenere.
Per motivi lavorativi
che eludono da questo blog, non avere uno straccio di account Facebook non è
possibile.
Ne ho dovuto aprire un
altro, completamente falso e con un’email nuova di zecca (non Gmail).
Un nome inventato, una
data di nascita falsa, nessuna foto, solo pochi contatti che mi servono per
continuare delle collaborazioni che non voglio tagliare.
Praticamente sono
diventata un troll.
Però ci tengo fuori la
mia vita reale, non accedo dal cellulare, e mi disconnetto ogni volta che ho
finito di lavorarci sopra.
Lo so, non è sufficiente
per combattere la spia di Facebook, la fuga di dati personali non è evitabile,
ma almeno ne ho maggiore controllo.
E ora tocca a voi! Qual
è la vostra relazione con Facebook? Avete mai pensato di chiudere il vostro
account storico? Oppure non lo fareste mai, a prescindere da tutto?