Il cittadino pretende sempre più che i rappresentanti della cosa
pubblica vivano la loro funzione come
servizio e non come privilegio di una casta.
Aldo Maturo, per
Chi è al di là della scrivania o chi ricopre cariche elettive
è sempre più sottoposto al vaglio del cittadino che giustamente non gli
riconosce più alcuna supremazia speciale. D’altra parte una magistratura
sempre più attenta, e meno arroccata nelle sale d’ermellino, ha contribuito a
smitizzare la stanza dei bottoni, luogo simbolo del potere ma con le pareti
sempre meno blindate.
Riappropriatosi dei propri diritti, il cittadino pretende sempre
più che i rappresentanti della cosa pubblica – dal parlamentare all’usciere –
vivano la loro funzione come servizio e non come privilegio di una casta.
Questo processo, partito lentamente dagli anni ’80, ci ha fatto
assistere al passaggio epocale di uno Stato che ha perso sempre più
le sue caratteristiche autoritative per passare ad una fase di
trasparenza più vicina al cittadino. Prima i diritti naufragavano nel mare
misterioso di leggi fatte da uno Stato-padrone pronto a riaffermare la
sua incondizionata supremazia. Ora, grazie a norme innovative (es. leggi
Bassanini, la legge 241/90, l’autocertificazione, etc.), il cittadino è sempre
più protagonista e può rimettere in discussione anche la consolidata posizione
di chi lo rappresenta o amministra.
Gli italiani hanno imparato a conoscere non solo l’esistenza dei
loro diritti ma sono diventati consapevoli che chi rappresenta la pubblica
amministrazione, nelle sue varie articolazioni, può incorrere nelle sanzioni previste
per i delitti contro la P.A.(Pubblica Amministrazione), intendendosi per tali
quei fatti, atti e comportamenti attribuibili a pubblici ufficiali o incaricati
di pubblico servizio, che impediscono il regolare svolgimento dell’attività
amministrativa, legislativa e giudiziaria dello Stato, delle Regioni, dei
Comuni, degli Enti pubblici, etc.
I principali reati
contro la P.A.
Esaminiamo i principali reati, con i limiti dettati
dall’ampiezza del panorama e dalla necessità di essere brevi e chiari.
Peculato (Art.314
comma 1 c.p., reclusione da tre a dieci anni). Con questa norma lo Stato si tutela contro la condotta
disonesta di quei dipendenti che si appropriano di denaro o di beni della
P.A., di cui hanno il possesso o la disponibilità per motivi di
servizio. Per possesso deve intendersi la possibilità di disporre del denaro o
del bene per ragioni connesse al servizio svolto.
Appropriarsi significa utilizzare il denaro o il bene per un uso
proprio, personale, diverso da quello per il quale lo Stato lo ha destinato e
comunque diverso dai motivi per i quali se ne ha la disponibilità. Si ha
appropriazione, quindi, quando il denaro è tenuto per sé o il bene è portato a
casa, venduto, regalato.
Il reato si perfeziona nel momento in cui avviene
l’appropriazione e non è necessario che la P.A. abbia ricevuto un danno perché
la consumazione del reato è di per sé stessa un danno, in quanto segno della
disonestà del suo dipendente.
Es. Uso del denaro di cassa per spese proprie, sottrazione di
denaro da parte di impiegati incaricati di riscuotere somme di denaro per
marche da bolli, ticket, tasse, contravvenzioni, etc.
Peculato d’uso (Art.
314 comma 2 c.p. – reclusione da sei mesi a tre anni). E’ Ipotesi più lieve
e si ha quando il pubblico ufficiale fa un uso temporaneo, per motivi
personali, della cosa di cui abbia il possesso, pronto a restituirla
all’ufficio appena terminata la sua necessità.
Es. uso per fini
personali del telefono d’ufficio, del cellulare di servizio, dell’auto di
servizio, della fotocopiatrice o altri oggetti e beni della P.A. di cui si ha
la disponibilità per motivi di servizio.
Abuso d’ufficio (Art.323 c.p. – reclusione da sei mesi a tre anni). Ricorre tale ipotesi quando il pubblico
ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, in violazione di norme di
legge e regolamenti, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse
proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti,
intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale
ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
La norma serve a tutelare la P.A. ed i privati da quei
comportamenti abnormi dei dipendenti e dei rappresentanti dello Stato
che, abusando del grado e delle funzioni ricoperte, eccedono dalle loro
competenze, utilizzando il potere per fini e motivi diversi da quelli per
i quali gli è stato conferito. Per esserci abuso è necessario quindi aver posto
in essere un atto illegittimo (ed è tale perché contrario alla legge o perché
eccede dalle funzioni ricoperte) con la consapevolezza di averlo posto in essere
sfruttando la propria posizione pubblica al fine di raggiungere un vantaggio
per sé o per danneggiare ingiustamente altri.
Es. licenza edilizia
concessa in deroga al piano urbanistico o Capo Ufficio che respinge
immotivatamente la richiesta di ferie di un dipendente o promuove a suo carico
un procedimento disciplinare in maniera immotivata
Rifiuto o omissione di atti di ufficio (Art.328 c.p. – reclusione da sei mesi a due anni) . La norma tende a tutelare il regolare
svolgimento dell’azione della P.A. ed a punire il dipendente che, con scarso
scrupolo, rifiuta senza giustificazione di adempiere ad un atto del suo
ufficio, atto che andava eseguito con tempestività per garantire esigenze di
giustizia, di sicurezza, ordine pubblico, igiene e sanità.
Es. L’ufficiale di P.G. che, incaricato
di svolgere un’indagine dall’A.G., si rifiuti di adempiervi rallentando
l’attività investigativa e provocando ripercussioni dannose per l’inchiesta
penale. L’addetto alla Sala Operativa che, ricevuta la segnalazione di allarme,
si rifiuti di inviare una pattuglia sul posto. Il vigile sanitario che omette
di segnalare all’A.G. le risultanze negative di una verifica igienico sanitaria
fatta in una pasticceria.
Di particolare interesse, per il cittadino, è la seconda parte
dell’articolo che prevede:
“il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro
trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse, non compie l’atto del
suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la
reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad euro 1.032. Tale richiesta
deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre
dalla ricezione della richiesta stessa”
Si punisce così l’inerzia del funzionario responsabile del
procedimento che, pur invitato da chi vi abbia interesse ad emanare l’atto,
omette di adempiervi entro 30 giorni, senza fornire giustificazioni sul
ritardo. Il termine dei 30 giorni va subordinato agli altri termini previsti
dalla L.241/1990 (trasparenza e diritto di accesso agli atti amministrativi) e
dai regolamenti delle singole amministrazioni. Nel silenzio della legge, i
termini sono quelli di 30 giorni previsti dal presente articolo. Secondo
alcune sentenze, si ha ritardo sanzionabile anche quando il funzionario
fornisce risposte volutamente pretestuose ed interlocutorie.
Malversazione ai danni
dello Stato (Art.316 bis c.p. – reclusione da sei mesi a
quattro anni). E’ l’ipotesi tipica di privati che ottengono dallo Stato o
da un Ente o dalla Comunità Europea contributi e finanziamenti per realizzare
opere di pubblico interesse e invece li dirottano per altri usi o li utilizzano
solo in parte appropriandosi della differenza.
Diversamente dalla truffa ai danni dello Stato, in questo caso
la somma non è stata ottenuta con artifici e raggiri, ma legittimamente, solo
che è stata poi utilizzata per fini diversi o distorti.
Concussione (Art. 317 c.p. – reclusione da sei a dodici
anni) Si ha quando con il suo comportamento il
pubblico ufficiale utilizza in maniera illegittima la sua carica e
il suo ruolo, per chiedere a terze persone, che vengono in contatto con lui per
motivi di servizio, denaro o altre utilità - che non gli spettano -
per aderire direttamente, o per interposta persona, alla richiesta fatta
dal privato. Il cittadino deve essere indotto a ritenere che se non paga o se
non accetta la proposta, non potrà ottenere quanto da lui richiesto (che deve
essere comunque un suo diritto). Il reato sussiste anche quando il pubblico
dipendente, con tali forme di proposte illegittime, si propone quale
intermediario con altri colleghi, uffici o Enti pubblici.
Es. Chiedere somme di
denaro per rilasciare autorizzazioni amministrative, per assegnare o far
assegnare appalti, per rilasciare N.O. al pagamento di somme dovute per stati
di avanzamento di lavori pubblici, per far ottenere finanziamenti dallo
Stato.
Sussiste il reato anche nel caso del poliziotto che, minacciando
di arresto il cittadino che ha commesso un reato, gli chiede denaro o altri
beni per tacitare la cosa.
Corruzione (Art. 318 c.p.) La corruzione prevede diverse ipotesi e consiste nell’accordo tra il privato ed il pubblico
dipendente che: a) riceve, per sé o per un terzo un compenso che
non gli è dovuto per adempiere ad un atto del proprio ufficio
(reclusione da uno a sei anni); b) riceve tale compenso dopo avervi già
adempiuto (reclusione da due a cinque anni); c) ancora peggio, per
emettere un atto contrario ai doveri di ufficio (reclusione da due a cinque
anni).
E’
necessario che la “retribuzione” ricevuta sia proporzionata al favore fatto,
essendo evidente che non costituisce corruzione la modesta mancia data
all’usciere o i modesti regali di cortesia, di trascurabile entità, in uso per
le festività natalizie. Per retribuzione deve essere intesa qualsiasi vantaggio
materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, che abbia un valore per il
pubblico dipendente, sia che lo abbia ricevuto sia che ne abbia accettato la
promessa. La legge
punisce il privato corruttore ed il dipendente corrotto allo stesso modo (Art.
321 c.p.).
Es. Il funzionario che
accetta denaro o doni di valore per rilasciare un autorizzazione, comunque
dovuta. Il poliziotto che accetta denaro per non elevare una contravvenzione
commessa dal camionista.
Es. Il commissario di
esami in pubblico concorso che, in cambio di denaro o di regali di rilevante
valore economico, fa vincere un candidato non meritevole. Il funzionario
che, in cambio di denaro o altra utilità, fa avere la pensione ad un cittadino
privo di tutti i requisiti di legge.
Rivelazione ed utilizzazione del segreto d’ufficio (art.326 c.p.) La legge punisce il pubblico
ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio che rivela notizie di
ufficio a persone non autorizzate a conoscerle, che ne facilita la conoscenza a
terzi (reclusione da sei mesi a tre anni) che
divulga ed utilizza la notizia di ufficio per conseguire un ingiusto profitto
(reclusione da due a cinque anni) o per danneggiare altri tramite la
divulgazione della notizia (reclusione fino a due anni).
Notizie di ufficio di cui è proibita la divulgazione sono tutte
quelle di cui si è venuti a conoscenza nell’ambiente di lavoro e non assume
rilevanza le modalità con cui si sono apprese. Il divieto di divulgazione
deriva dallo statuto degli impiegati civili dello Stato, dai contratti,
regolamenti, ordini di servizio, circolari, altre norme di legge.
Es. L’impiegato che
comunica ad un giornalista, perché lo pubblichi, l’avvio di un procedimento
disciplinare a carico di un collega o l’avvio di un’inchiesta amministrativa a
carico del proprio Capo Ufficio. Il cancelliere che rivela l’avvio di una
inchiesta penale a carico di un uomo politico per danneggiarne la credibilità
in prossimità delle elezioni. Il funzionario che lascia in evidenza sulla scrivania
le informazioni negative su un dipendente, così da agevolarne la lettura alla
donna delle pulizie o ad altri impiegati. Il Vice Direttore che rivela in
pubblico fatti ed atti di cui è venuto a conoscenza anche per sminuire
l’autorevolezza del proprio Direttore, di cui ambisce prendere il posto.
Interesse privato in atti di ufficio: Articolo
abrogato dalla Legge 26.4.1990 n. 86.