Più ne arrivano, più
guadagnano. Quel business da 2 milioni al giorno consumato sulla pelle dei
migranti. È una torta luculliana quella che in Italia si spartiscono ormai da
dieci anni veri e propri “colossi” del business dell’accoglienza: dalla
Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione. L'accoglienza è un'affare.
di Alessandra Ziniti
Più ne stipano in una camerata meglio è, più a lungo restano
meglio è, e se sono minorenni
ancora meglio, lo Stato paga di più. Ad ogni barcone che arriva, i
“professionisti dell’accoglienza” mettono mano alla calcolatrice e le cifre
hanno sempre molti zeri. Più di 1.800.000 euro al giorno: tanto, nel 2013, ha
speso l’Italia per garantire l’accoglienza ai 40.244 migranti sbarcati sulle
nostre coste. Un letto, i pasti, il vestiario, i farmaci necessari e un minimo
di pocket money: 45 euro al giorno è la spesa media per ogni immigrato che
mette piede in uno dei 27 tra centri di accoglienza, centri di identificazione
ed espulsione e centri per richiedenti asilo. Una cifra che aumenta fino a 70
euro se si tratta di minori (8.000 quelli arrivati quest’anno) in
considerazione della particolare assistenza che dovrebbe essere loro garantita.
È una torta
luculliana quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e
propri “colossi” del business dell’accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di
Comunione e Liberazione, dalle aziende vicine alla Lega alle multinazionali. Le
gare bandite dal Viminale, in genere, vengono aggiudicate con un ribasso medio
del 30 per cento sulla base d’asta.
Peccato che, in ogni
centro, si tengano stipati per mesi almeno il doppio o il triplo degli ospiti.
A danno delle condizioni di vivibilità di questi centri, da molti definiti
lager, ma a tutto vantaggio delle tasche dei gestori. «La ragione per cui
questo avviene è che in Italia molti servizi per l’immigrazione vengono
affidati sulla base di un solo principio: quello dell’offerta economica più
vantaggiosa. C’è un business dell’immigrazione inaccettabile, parliamo di
commesse da milioni di euro su cui molti si stanno arricchendo, dove i diritti
delle persone scompaiono, denuncia Christopher Hein, direttore del Consiglio
italiano per i rifugiati.
Gli aspiranti allo
status di rifugiato costituiscono la fetta più ghiotta della torta. Ecco perché
quella che è diventata una vera e propria città di richiedenti asilo, il Cara
di Mineo, ospitato nel “Villaggio degli aranci” prima abitato dagli ufficiali
americani di stanza a Sigonella, è diventato il motore dell’economia di questa
parte della provincia di Catania. Quattromila persone di 50 etnie diverse, il
doppio della capienza, fruttano al “Consorzio Calatino Terre di accoglienza” la
cifra di 50 milioni di euro all’anno. Dentro ci sono tutti, da Sisifo
(Legacoop) che gestisce il centro di Lampedusa, alla Senis hospes e alla
Cascina Global Service (vicina a Cl), la Croce Rossa, il Consorzio Casa
Solidale (vicino all’ex Pdl). E non hanno voluto rimanere fuori dall’affare
i Pizzarotti di Parma, i proprietari del complesso edilizio requisito nel 2011
ai tempi dell’emergenza Nordafrica dietro pagamento di un canone di 6 milioni
di euro annui. Ora che l’emergenza Nordafrica è finita, sono entrati anche loro
nel Consorzio gestore. Quello che Berlusconi nel 2011 presentò come un modello
di accoglienza europea, adesso — stando alle denunce delle associazioni
umanitarie — si è trasformato in una sorta di lager dove, solo qualche giorno
fa, si è suicidato un giovane siriano in attesa del permesso di soggiorno da
mesi.
Trattenere gli
ospiti molto più a lungo del previsto è uno dei “trucchi” utilizzati dai
gestori
di molti Cara. A Sant’Angelo di Brolo, la procura ha accertato che alcuni
ospiti rimasero anche 300 giorni dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno,
portando illegittimamente 468.000 euro nelle casse del consorzio Sisifo, lo
stesso che si è aggiudicato l’appalto di Elmas Cagliari, del Cara di Foggia e
del centro di Lampedusa da dove si calcola siano passati più di 100 mila
migranti. Due milioni e mezzo di euro è la cifra dell’appalto per la capienza
ufficiale di 250 posti. Per gli ospiti in più, il Viminale paga l’extra. E
questo vale per tutti: così l’Auxilium di Potenza degli imprenditori Pietro e
Angelo Chiorazzo per il centro di Bari Palese, per Ponte Galeria a Roma o per
Pian del Lago a Caltanissetta incassano molto di più dei 40 milioni di euro
previsti dai bandi di gara.
Da tempo hanno
fiutato l’affare anche i francesi della Gepsa, specialisti delle carceri, e la
multinazionale Cofely Italia, che non disdegnano l’associazione con l’Acuarinto
di Agrigento o la Synergasia di Roma per gestire il Cara di Castelnuovo di
Porto a Roma o al Cie di Gradisca d’Isonzo. E a reclamare la sua fetta di
torta c’è anche la Misericordia del prete-manager di Isola Capo Rizzuto che
da dieci anni, per 28 milioni di euro all’anno, gestisce un Cara in cui la
maggior parte degli ospiti dormono anche in dieci in vecchi container.
* Articolo apparso
su “La Repubblica” con il titolo “Più ne arrivano, più guadagnano. Quel
business da 2 milioni al giorno consumato sulla pelle dei migranti. Dalle coop
alle aziende vicine a Cl, l’accoglienza è un affare”.
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