domenica 9 novembre 2014

BERLINO: L'ITALIANO CHE FECE CROLLARE IL MURO


Ma che cosa è accaduto esattamente 25 anni fa? E’ possibile che da un momento all’altro è cambiato il mondo? Quale è stato il ruolo di Riccardo Ehrman,  giornalista italiano, corrispondente dell’Ansa da Berlino?

La Porta di Brandeburgo
 

Dopo la 2^ Guerra Mondiale la Germania fu divisa in quattro aree, ciascuna controllata da una potenza diversa, Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Russia cui spettò il controllo della parte Est della Germania.
Fino al 1953 la situazione rimase abbastanza calma. A poco a poco, però, i tedeschi - e i berlinesi in particolare - cominciarono a protestare per le disastrose condizioni economiche del Paese. Le proteste furono soffocate con l’arrivo dei carri armati russi e lo scontro tra Russia e America si concentrò soprattutto a Berlino, diventata epicentro di due mondi.


Per evitare fughe di massa sempre più numerose, il governo della DDR, nel 1961, costruì un muro alto tre metri circa nel centro di Berlino per impedire “attacchi americani”. In realtà il muro serviva a bloccare le fughe dei berlinesi verso la parte Ovest della città.
Le fughe continuarono e la conta dei berlinesi uccisi nell’atto di fuggire aumentarono di anno in anno.
L’arrivo di Gorbaciov a Capo dell’Unione Sovietica (1985) segnò l’avvio  della stagione del rinnovamento dell’Unione Sovietica, caratterizzata dalle parole d’ordine “Glàsnost” (trasparenza) e “Perestròika” (ristrutturazione). La Russia era sfinita dalle conseguenze della Guerra Fredda e l’economia era allo sbando.
Quel 1989 Gorbaciov – durante una visita a Berlino Est – aveva detto ai berlinesi dell’Est: “Chi non cambia, muore”.  Aveva preso atto, infatti, che da molte settimane in Germania c’erano proteste contro il governo della DDR. La gente voleva più libertà, era stanca di essere controllata dalla Stasi (la polizia segreta), aveva voglia di spostarsi e di viaggiare. Con quella frase, Gorbaciov è come se avesse detto ai tedeschi dell’ Est : svegliatevi, fate tutto da soli.






Qualche giorno dopo, il 9 novembre 1989, durante una conferenza stampa, il Ministro della Propaganda della Germania Est, Schabowski, seguendo la linea politica di Gorbaciov, annunciò che sarebbero stati aperti i posti di blocco per i Paesi occidentali.
I giornalisti, increduli, non capirono se la notizia era da prendere sul serio o se era una bufala politica detta per compiacere Gorbaciov.
Tra i giornalisti presenti c’era un italiano, Riccardo Ehrman, corrispondente dell’ANSA da Berlino. Quando Schabowski disse in modo vago dell’apertura delle frontiere, Ehrman gli chiese: «sì, ma da quando?». Schabowski cadde in confusione, cercò la risposta sul foglio che aveva davanti ma il Politburò non lo aveva specificato. Allora, disarmato, rispose: «per quel che ne so io, anche da adesso, subito».
Pochi minuti dopo cinquanta cittadini di Berlino Est si presentarono al passaggio di frontiera di Bornholmer straße chiedendo di attraversarla. Le guardie di frontiera dissero che non era possibile, ma la gente protestava, dicendo che lo aveva detto Schabowski in televisione. E poi iniziarono a gridare una frase che è diventata celebre e che ripetevano già nelle manifestazioni in piazza nelle settimane precedenti: «Noi siamo il popolo».
Gridavano anche «Torneremo», perché il timore delle guardie era che andassero all’Ovest e non tornassero più. Ma la maggior parte della gente voleva andare solo di là a vedere com’era fatto questo Ovest, riabbracciare i parenti che non incontravano dal ’61.
I cinquanta diventarono presto cinquecento e le guardie di frontiere, che non erano preparate a contenere tutta questa gente – mai tutta questa gente aveva trovato il coraggio per presentarsi alla frontiera, – li lasciarono andare con l’ordine della Stasi di segnarsi  i nomi di tutti quelli che varcavano la frontiera. Ma quando diventarono troppi, le guardie non ebbero più il tempo e la forza di controllare i documenti. I tentativi di passare la frontiera seguirono intanto anche in altri punti della città, per esempio alla Porta di Brandeburgo, che è dove sono state scattate tutte le fotografie famose della caduta del Muro. Per i primi i cittadini dell’Ovest, e poi quelli dell’Est, si arrampicarono sul Muro per passare da una parte all’altra. Tutto sotto gli occhi attoniti, increduli, disarmati, delle guardie di frontiera, che realizzarono, sotto i loro occhi, che la storia stava cambiando e che loro erano diventati improvvisamente inutili, come quel Muro che per mesi venne picconato fino ad essere distrutto.
(Liberamente tratto da un articolo di Roberto Moliterni – Giorni Moderni – 6.11.2014, “Se il Muro di Berlino è caduto grazie a un italiano”)