Perché
è culturalmente mostruoso (e giuridicamente lo è in tutto il mondo) il caso di
Alberto Stasi, assolto due volte e ora condannato da chi non ha visto le prove.
Un’analisi del caso Stasi scritta da Piero Tony, già sostituto
procuratore generale di Firenze, presidente del tribunale per i minorenni della
Toscana e procuratore capo di Prato, oggi in pensione.
Tristezza e rabbia, oggi 12 dicembre 2015, per me e
per tanti altri, fortunatamente non sono solo. Perché, a seguito di un processo
durato circa 8 anni, Alberto Stasi stamani si è costituito dopo aver riportato
una condanna a 16 anni di reclusione resa definitiva dalla sentenza emessa
dalla Cassazione. Per carità, nessuna polemica – ci mancherebbe altro – nei
confronti dei magistrati. Ma tanta rabbia per un sistema giudiziario che non
può non fare paura per quanto è lento e contraddittorio. E tanta vergogna visto
che Voltaire si rivolta nella fossa da ormai quasi 250 anni con la stessa
rabbia.
Alberto Stasi venne assolto in primo e secondo grado,
evidentemente perché quantomeno la maggioranza dei magistrati intervenuti aveva
giudicato insufficienti le prove a suo carico. Magistrati regolarmente in
servizio, di normale esperienza, mai interdetti per imbecillità, mai accusati
di condotte dolose o colpose fuorvianti la Giustizia. Ma dalla procura venne
proposta impugnazione e la Suprema Corte annullò l’assoluzione con rinvio alla
corte d’Appello che questa volta, naturalmente in diversa composizione come
vuole la legge, ritenne sufficienti le prove a carico. Nuovo ricorso da parte
di tutte le parti, e oggi la Suprema Corte ha respinto i ricorsi: così confermando
la condanna a 16 anni di reclusione.