Aldo Maturo
La pizzeria di “Pietro il
pizzaiuolo” in Via Chiaia a Napoli, angolo S.Anna di Palazzo (oggi Pizzeria
Brandi), è la più celebre pizzeria napoletana. Inaugurata nel 1780, è
forse anche la più antica. Il proprietario, Pietro il pizzaiuolo, si chiamava
in realtà Pietro Colicchio. Era tanto famoso che dopo la sua morte, in omaggio
a lui, tutti quelli che si sono succeduti nella pizzeria – qualunque sia stato
il loro nome - si sono sempre chiamati “Pietro”, anzi “Don Piè”, perché a
Napoli il Don è d'obbligo e perchè non era possibile che il vecchio cliente,
abituatosi a chiamare il pizzaiuolo “Don Piè”, dovesse all'improvviso cambiare
abitudine e dire “Don Rafè” o “Don Pasquà”. Nel corso degli anni la pizzeria è
diventata “Brandi” dal nome della famiglia che l’ha gestita per decenni e oggi,
pur avendo cambiato proprietario, è rimasta con quel nome noto ai napoletani
sparsi per il mondo. E qui, centoventisette anni fa, nacque la pizza
margherita.
Tremila anni e non li dimostra
Prima di arrivare
alla pizza margherita sono passati secoli di storia. Tutte le civiltà, si può
dire, hanno conosciuto forme differenti di focacce che vedevano nell'impasto
tra farina, acqua e vari condimenti una fonte di nutrimento fondamentale nell’
alimentazione umana.
Nelle civiltà che si
affacciavano sul Mar Mediterraneo (Egitto, Grecia classica) ci sono vari esempi
di impasti che, per composizione e cottura, possono considerarsi gli antenati
della nostra pizza.
Nell'antico Egitto
era usanza celebrare il compleanno del Faraone consumando una schiacciata
condita da erbe aromatiche mentre ad Atene e a Sparta la focaccia impastata era
l'alimento principale del soldato. La maza, consumata in tutto il mondo
ellenico, era l'alimento nazionale. Era fatta da farina d'orzo addizionata ad
acqua, miele o latte e veniva consumata sia fresca, come pappina, sia secca,
sia sotto forma di galletta, o come piatto di portata (pizza). Nell’antica Roma
ritroviamo altre versioni, lievitate e non, preparate con acqua e orzo, il
cereale alla base dell'alimentazione dei popoli latini.
Questo strano
impasto si è tramandato, sotto varie forme e cottura, per secoli e secoli
diventando un alimento tipico dei popoli rivieraschi dei nostri mari, sempre
benvenuta sulle tavole dei re e sulle mense dei poveri.
La variante della
pizza con la mozzarella di bufala la dobbiamo ai Longobardi che, calati in
Italia meridionale, portarono con loro le bufale, ne fecero allevamenti in
Lazio e Campania e fornirono il latte per la mozzarella di bufala che
scoprirono essere ottima a condimento della pizza. Mancava un altro componente
principe, il pomodoro, che arriverà in Europa molto tempo dopo, con la scoperta
dell’America. Il pomodoro trionferà presto nella cucina italiana e finirà
inevitabilmente per arricchire, con la mozzarella, quell’impasto tanto diffuso
e popolare, da secoli formato solo da acqua e farina.
Dall’abbinamento con
la mozzarella di bufala e il pomodoro nacque l’antenata della nostra pizza che
nell’800 diventò uno dei piatti più diffusi a Napoli, tanto che si
moltiplicarono i luoghi per fare e vendere la pizza, le pizzerie, tutte con le
stesse caratteristiche, arrivate fino alle pizzerie storiche di Napoli: il
forno a legna, il bancone di marmo dove viene “stesa” e lavorata la pizza, le
ciotole con i vari ingredienti, i tavoli per i clienti, la vetrinetta esterna
dove la pizza, esposta ai passanti, veniva ( e viene) servita in carta paglia
piegata a libretto e mangiata calda calda, all’istante, sul marciapiede, chini
in avanti per evitare di sporcarsi con il pomodoro o con la mozzarella filante
che scivola fuori dal cartoccio. La pizza diventò il piatto quotidiano dei
napoletani, entrò nel folklore della città e punto di riferimento obbligato per
qualunque turista.
La pizza margherita
Secondo la leggenda,
la regina delle pizze nacque nel 1889 nella Pizzeria di Pietro il pizzaiolo, a
Via Chiaia (oggi Pizzeria Brandi), quella di cui parlavo all’inizio di questa
breve ricerca. Morto Don Pietro, la pizzeria era diventata di proprietà di
Raffaele Esposito. Un giorno Don Raffaele ricevette la visita di un funzionario
della Casa Reale, che aveva sede nella reggia di Capodimonte. La bontà
della pizza che si vendeva in città era arrivata anche nelle stanze del re,
marito della regina Margherita. Un giorno di giugno 1889 chiese a un suo
collaboratore di andare nella più famosa pizzeria di Napoli per acquistare
delle pizze da gustare con la regina. L’uomo andò alla Pizzeria di Via Chiaia,
quella di “Pietro il pizzaiolo”, ereditata intanto da Raffaele Esposito. Don
Rafele rimase lusingato dalla richiesta e mise tutto il suo ingegno e la
sua capacità per preparare le pizze più buone che avesse mai fatto. Una la fece
con mozzarella, basilico e pomodoro che erano i tre colori della bandiera
italiana. Fu questa la pizza che sbancò perché piacque moltissimo alla regina
Margherita che non solo ogni tanto mandò a chiamare Don Rafaele alla reggia per
gustarsi quella favolosa pizza ma decise di gratificarlo con un attestato
ufficiale. Su carta intestata della casa reale gli fece scrivere: “
Pregiatissimo Sig. Raffaele Esposito (Brandi), Le confermo che le tre qualità
di Pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate
buonissime. Mi creda di Lei devotissimo, Galli Camillo, capo dei Servizi di
tavola della Real Casa”. Don Rafaele, in omaggio alla Regina Margherita di
Savoia, decise così di chiamare “Margherita” la pizza con mozzarella, pomodoro e
basilico.
In realtà pare
che la pizza con gli ingredienti della margherita risalgono ad almeno 30 anni
prima. Il filologo Emanuele Rocco ne parla già nel 1858 nel suo libro
“Usi e costumi di Napoli e contorni”. La pizza, a suo dire, era già una combinazione
di condimenti con vari ingredienti tra i quali basilico, “pomidoro” e “sottili
fette di muzzarella”. La mozzarella veniva tagliata a fette sottili,
disposte sulla salsa di pomodoro proprio a forma di margherita, con la
successiva aggiunta delle foglie di basilico.
Quale che sia
l’epoca di origine, nulla toglie alla bontà, universalmente riconosciuta, di
quest’alimento.
La pizza è ormai
un’icona di Napoli nel mondo e in città si stanno raccogliendo un milione di
firme per farla riconoscere patrimonio dell’Unesco.