Le
ragazze del ’68 rivendicavano con forza il loro ruolo anche nell’ambito dei
movimenti studenteschi, pronte a passare da “angelo del focolare” ad
“angelo del ciclostile”. Ma di tutto questo, le ragazze di Telese, oggi nonne felici, cosa pensavano?
Una breve carrellata tra le risposte di una ricerca fatta in quegli anni anche perchè non siamo sicuri che sono ancora datate.
“Abbiamo finalmente trovato la libertà di
pensare, dire, fare ed essere ciò che noi decidiamo. Compresa la libertà di
sbagliare”. Era questo uno degli slogan delle ragazze del ’68 che rivendicavano
con forza il loro ruolo anche nell’ambito dei movimenti studenteschi,
pronte a passare da “angelo del focolare” ad “angelo del ciclostile”.
Dal "femminismo", infatti, veniva la
proposta liberatoria di abbattere le tradizionali disuguaglianze tra uomini e donne
e di non sentirsi più soggiogate dalle opinioni degli altri. Il conflitto non
era soltanto generazionale ma investiva il sistema culturale, sociale e
politico globalmente inteso.
Ma di tutto questo le ragazze di
Telese cosa pensavano, erano contente del grado di emancipazione raggiunto? In
occasione dell’8 marzo, abbiamo rispolverato una vecchia ricerca.
Quelle che avevamo sentito non
sembravano molto soddisfatte. Per Antonietta, poter viaggiare in autobus o in
treno per raggiungere le sedi universitarie o la possibilità di studiare in
altre città, lontano dalla cerchia familiare, poteva sembrare emancipazione, ma
solo se lo si paragonava alla condizione delle coetanee di 40 o 50 anni prima.
In realtà frequentare l’università era una emancipazione concessa dai genitori
in vista di un bene superiore, il loro futuro professionale. Di certo non si
sentiva emancipata dai pregiudizi e dai tabù paesani. La libertà di cui godeva
non era una sua conquista o l’affermazione e il riconoscimento della sua
capacità di agire con responsabilità.
Il pensiero di Antonietta era
condiviso da Enza. A lei sarebbe piaciuto se i genitori si fossero convinti che
le figlie erano essere coscienti, responsabili e ragionanti. Avrebbe voluto
che, di fronte a un divieto, ci fosse stata la spiegazione della ragione del
rifiuto, una spiegazione adeguata e convincente e non limitata a vaghi
riferimenti alla moralità tradizionale.
Ma cosa è la moralità? si era chiesto Giuseppina.
Forse adesione formale ai principi sanciti dalle autorità? Per lei la moralità era prima di tutto libertà e
si rilevava nell’agire con senso di responsabilità e coerentemente ai propri
principi. Solo se avesse raggiunto un tale obiettivo avrebbe potuto ritenersi
soddisfatta, consapevole di aver conquistato una propria emancipazione e una
propria libertà psicologica. Che emancipazione poteva essere quella che viveva,
quasi sempre impedita di fare ciò che voleva?
Annamaria, a tal proposito, aveva
lamentato che il padre per nessuna ragione le concedeva di rientrare dopo le
otto di sera. Di fronte alla sua richiesta di spiegazioni riceveva risposte
sfuggenti o un ribadito e categorico “No”. Soffriva per questa situazione
perché c’era solo un rapporto di forza e lei, parte debole, doveva soccombere
di fronte al rifiuto di ogni ragionamento.
Michela aveva detto che il padre
accettava di discuterne, le riconosceva il diritto di godere di una certa
libertà, assicurava di aver fiducia in lei ma…ma gli schemi mentali e i
pregiudizi del paese facevano opinione e
l’opinione, in paese, era
arbitro incontrastato del buon nome di una ragazza.
Teresa aveva riconosciuto che i
genitori avevano ragione perché condizionati dall’ambiente, determinante in
quel contesto sociale, un ambiente che come tutti i luoghi chiusi aveva
pregiudizi e tabù di cui non si poteva non tener conto.
Tutte avevano auspicate l’apertura
di circoli giovanili, visti non solo come centri di aggregazione culturale ma
anche come motori di evoluzione e di liberazione dai condizionamenti
ambientali.
Queste alcune confessioni
raccolte, a riconferma di una realtà comunque nota, sia pur già contagiata dal
vento del rinnovamento che soffiava impetuoso nelle città ma aleggiava anche
nei nostri paesi dell’entroterra. Riviste a distanza di tanti anni forse ci
fanno sorridere e ci fanno pensare che sono idee di cinquanta anni fa scambiate
con ragazze, oggi nonne felici, che hanno dovuto lottare per riaffermare la
loro identità.
Ma è sicuro che se l’indagine si facesse oggi,
i risultati sarebbero molto molto diversi?