Aldo Maturo
18.6.2011
Foto di Marco Maturo |
Massimo M. è morto
solo in una triste tenda sulla sponda sinistra del fiume, sotto il ponte dove
da circa tre anni passava le sue notti, nell’ansia di poter essere travolto
dalle acque limacciose che arrivano impetuose dopo le piogge. Da quando le
ruspe avevano tirato giù il vecchio capannone dove aveva dormito per anni, si
era sistemato lì, in una piccola tenda azzurra, misero
giaciglio dove scolava le sue birre anche per dimenticare malattie ed amarezze.
Nel mondo
dell’emarginazione Massimo era un po’ l’icona del ragazzo senza fissa dimora.
Di giorno davanti al supermercato, gentile, affabile, conosciuto dai clienti,
immerso nella lettura dei suoi libri. Ai suoi piedi lo zaino rosso stinto e
Billy, la cagnetta nera, birichina, desiderosa di scorazzare libera per la
città per finire ogni volta ospite del canile municipale laggiù in periferia.
Mi telefonava per accompagnarlo a riprenderla, festante e sorda ai
rimproveri del padrone che non voleva mi sporcasse la tappezzeria dell’auto con
le sue effusioni.
Di notte era lì,
nella comunità del fiume, tra altri che come lui vivono l’altra faccia della
città, nascosti tra gli arbusti e i canneti, senza diritti e con il dovere di
non apparire.
Sono tanti in una
città quelli del mondo della notte ed è difficile scegliere il grano dal loglio.
Panchine, tende, misere roulotte, case abbandonate. Luoghi isolati, lontani
dalle luci della città, immersi nel buio per non apparire, per non esistere. La
notte scende e cento giacigli si aprono aspettando un altro giorno, attenti a
cogliere ogni piccolo rumore perché anche tra i poveri c’è chi lo è più degli
altri. Si attende l’alba e si spera in un giorno migliore, se la morte non
arriva improvvisa per portarsi via un fisico debilitato e spento, incapace
nella sua solitudine anche di chiedere aiuto.