Foto prigione russa - Daily Mail |
Il problema carceri
ritorna puntualmente alla ribalta e ogni tanto, come i fuochi artificiali in
una festa, infiamma le pagine dei giornali e, dopo una rapida occhiata dei
politici, si spegne nel silenzio. Di certo le aspettative di una soluzione non
sono bipartisan né la vita dei detenuti e degli operatori penitenziari è
presente nelle ormai famose “agende” elettorali dei Segretari di partito. Il
carcere è sempre stato sacrificato ad altre priorità anche se bisogna prendere
atto che il Governo Monti nella seconda metà del 2012 ha stanziato 228
milioni di euro per costruire 11.500 nuovi posti detenuti, ricavati in
nuove strutture o previo ampliamento di quelle esistenti.
Non è la prima volta
che l’Italia viene condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,
che ha riconosciuto un risarcimento di 99.600 euro (14.000 euro a testa) a
favore di 7 detenuti fra cui 3 italiani. Già nel 2009 aveva fatto storia in
maniera clamorosa il caso “Sulejmanovic” cui era stato riconosciuto un
risarcimento simbolico di 1.000 euro. Davanti al Consiglio d’Europa
pendono altri 500 ricorsi provenienti da tutte le carceri italiane che sono
considerate da Strasburgo a livello di quelle della Russia, Ucraina, Moldavia e
Bulgaria. Tra l’altro c’è da chiedersi cosa succederebbe se 66.000 detenuti
presentassero analogo ricorso e a tutti venisse riconosciuto un risarcimento di
14.000 euro. Riporto l’articolo già scritto nel 2009 in occasione del ricorso
Sulejmanovic.
_____________________________
(da
Aldo Maturo – “ IL CASO SULEJMANOVIC – CARCERE FINO ALL’ULTIMO CENTIMETRO” – su
www.agoravox.it - 21
agosto 2009 )
http://www.agoravox.it/IL-CASO-SULEJMANOVIC.html
La Corte europea
dei diritti dell’uomo – creata a Strasburgo nel 1959 tra gli Stati membri
del Consiglio d’Europa - riunita in Camera di Consiglio ha emesso il 16 luglio
2009 la sentenza nella causa intentata dal 36enne Izet Sulejmanovic, cittadino
della Bosnia Erzegovina, contro l’Italia.
Con 5 voti
favorevoli su 7 il nostro Paese è stato condannato ad un risarcimento pari a
1000 euro per danni morali subiti dal Sulejmanovic durante il periodo di
carcerazione trascorso nel carcere di Roma Rebibbia tra il 2002 e il 2003,
carcerazione avvenuta in violazione della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali che all’art.3
stabilisce:
“Nessuno può essere
sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”
La sentenza
rappresenta un precedente gravissimo per l’Italia con conseguenze imprevedibili
per la casse dello Stato se l’esempio venisse seguito dagli oltre 63.000
detenuti ammassati nelle celle dei nostri penitenziari.
Sulejmanovic, già
condannato tra il 1992 e il 1998 a due anni, cinque mesi e cinque giorni di
reclusione per evasione, rapina aggravata, furto e falsificazione di documenti,
il 30 novembre 2002 si era presentato alla Questura di Roma per ottenere un
permesso di soggiorno ma era stato arrestato e condotto a Rebibbia per espiare
una pena residua di 9 mesi e 5 giorni.
Dal giorno
dell’arresto e fino al 15 aprile 2003, aveva sostenuto poi il detenuto nella
sue denunzia alla Corte, era passato in diverse celle aventi una
grandezza di mq 16,20, condivise con altri cinque compagni per cui a
ciascuno di essi rimaneva uno spazio di soli 2,70 mq. Dal 15 aprile al 20
ottobre era stato con quattro persone disponendo in tal caso di mq 3,40. Nella
denunzia aveva scritto che era stato in cella ogni giorno per più di 18 ore, da
dove era uscito solo per fruire di poco più di quattro ore e mezzo di “aria”,
regime vissuto fino alla scarcerazione, avvenuta il 20 ottobre 2003.
Già qualche mese
prima, però, il 4 luglio 2003, i suoi avvocati avevano denunziato la violazione
dell’art.3 alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando le condizioni
di detenzione, in particolare lo stato di sovraffollamento (1560 detenuti
invece che 1188) e il tempo ritenuto inadeguato trascorso fuori della cella.
Il Governo italiano,
a richiesta della Corte e con nota datata 4.7.2008, aveva trasmesso la
documentazione relativa alla carcerazione del Sulejmanovic, allegando gli
ordini di servizio della Direzione di Rebibbia circa l’organizzazione delle
sezioni detentive dove era stato ristretto il ricorrente ed un prospetto
cronologico delle celle dove era stato con indicazione del numero degli
occupanti.
La Corte, dopo aver
analizzato la normativa penitenziaria italiana e internazionale, si era
pronunziata in maniera positiva circa la ricevibilità del Ricorso, valutando le
contrapposte tesi del detenuto e della difesa formulate dal Governo
italiano.
n ogni caso, anche
sulla base dei documenti dell’Italia, era risultato che il detenuto per più di
due mesi e mezzo aveva condiviso una cella con altri disponendo per sé di soli
mq.2,70 - cosa che era stata fonte di disturbo e di disagio quotidiano - ben al
di sotto della superficie minima prevista dal CPT (Comitato per la Prevenzione
della Tortura).
Tale fatto poteva
configurare gli estremi del trattamento disumano e degradante in violazione
dell’art.3 della Convenzione.
Per quanto attiene invece al periodo trascorso fuori della cella, la Corte aveva accertato – attraverso la documentazione esibita dall’Italia - che il detenuto poteva trascorrere 8 ore e 50’ fuori della stessa, calcolando le ore del cortile di passeggio, quelle della sala ping pong e del tempo trascorso per consumare il pasto nella cella di altri detenuti.
Per quanto attiene invece al periodo trascorso fuori della cella, la Corte aveva accertato – attraverso la documentazione esibita dall’Italia - che il detenuto poteva trascorrere 8 ore e 50’ fuori della stessa, calcolando le ore del cortile di passeggio, quelle della sala ping pong e del tempo trascorso per consumare il pasto nella cella di altri detenuti.
Valutate le
contrapposte posizioni in fatto e in diritto, si era passati ad esaminare la
richiesta risarcimento per danni fisici e psichici che il Sulejmanovic aveva
quantificato in 15.000 euro, somma considerata esorbitante dal governo italiano
che aveva messo in evidenza come il detenuto avesse beneficiato di una legge
proprio finalizzata ad attenuare il problema del sovraffollamento e che già
lo stesso riconoscimento della avvenuta violazione avrebbe potuto
costituire una soddisfazione equa. In via subordinata si dichiarava disposto a
riconoscere un risarcimento non superiore a 3.000 euro.
La Corte,
visto l’art.41 della Convenzione secondo cui in caso di accertata
violazione va riconosciuta alla parte lesa un risarcimento equo, il 16.7.2009
ha stabilito - con il voto contrario e motivato del giudice Vladimiro
Zagrebelsky, rappresentante per l’Italia, cui si è associato un altro giudice
- che il Sulejmanovic ha subito un torto morale certo, riconoscendogli un
risarcimento per danni, ritenuto equo per una somma pari a 1.000 euro.
Di particolare
interesse la approfondita dissertazione tecnico giuridica del Dr.
Zagrebelsky. Ha ricordato, tra l’altro, che quando il Comitato per la
Prevenzione della Tortura prevede per una cella una grandezza
“auspicabile” – e non “minima” – di mq.7, si riferisce alle celle dei Comandi
di polizia e non alle celle di reclusione dei penitenziari, dove soggiornano
normalmente più persone, escludendosi qualunque automatismo nel rapporto tra
cella e detenuti ristretti.
Ha ricordato
poi alla Corte – richiamando la pregressa giurisprudenza di quello stesso
organo - che nei casi in cui essa si è pronunciata sulla violazione
dell’art.3, il numero eccessivo di detenuti rispetto alla dimensione della
cella non è stato mai un criterio esclusivo. Nei casi precedenti, infatti, si
sono presi in considerazione altri fattori, quale un accesso insufficiente del
detenuto all’aria e alla luce naturale, un’ igiene carente, un calore eccessivo
associato alla mancanza di ventilazione, il rischio di diffusione di malattie,
la mancanza di acqua potabile o corrente, la condivisione dei letti tra i
detenuti, una limitazione del periodo d’aria, il fatto che i servizi sanitari
fossero in cella e visibili, la mancanza di cure adeguate a detenuti affetti da
patologie. In altri casi si era decretata la mancata violazione dell’art.3
quando lo spazio personale era compreso tra 2,70 e 3,20 mq.
Nel caso di
Sulejmanovic nessuno di questi elementi era stato denunziato, se non la
mancanza di spazio.
Il Giudice ha
analizzato poi approfonditamente altri elementi per motivare il suo dissenso,
con valutazioni che non è possibile riportare compiutamente non essendo questa
la sede più opportuna.
Certo è che
non vanno sottovalutate le conseguenze della sentenza in Italia e negli altri
Paesi europei dove il problema del sovraffollamento è altrettanto drammatico.
Va di certo condivisa la conclusione dello stesso Zagrebelsky quando dice che
questo affare avrebbe dovuto trovare una conclusione differente e che il
problema che pone va ben al di là del singolo caso di specie.