Matteo Donati - 11 gennaio 2013 -
"Il Nuovo Amico" Pesaro -
Cos’avrà pensato Jemima
Segal prima di arrivare sulla spiaggia? Perché ha scelto di coricarsi proprio
lì, in riva al mare, dove il vento e il freddo di queste gelide notti invernali
mordono ancora più forti?
I quotidiani locali
hanno ripreso la notizia più volte per mettere in luce i risvolti di una
tragedia che sembra dare poche spiegazioni. Nei titoli riecheggiavano parole
come “morte assurda, uccisa dal freddo, dramma della solitudine”, quasi a
lasciare intendere che è inutile cercare responsabilità, non ci sono colpevoli,
nessuno poteva evitarlo, è accaduto e basta.
Jemima, uno zaino e
una coperta si addormentano sotto l’inclemente gelo di gennaio. Immaginare il
freddo, i brividi, il tormento è quasi impossibile. Dicono che a un certo
punto, gradualmente, si smetta di soffrire. Il corpo si assidera un po’ alla
volta, si entra in uno stato confusionale e ci si addormenta. E’ una morte
calma, silenziosa. Se non ti vengono a salvare è la fine. All’alba del 6
gennaio, qualcuno ha notato un corpo disteso sulla spiaggia, ha dato l’allarme,
ma ormai era troppo tardi. Inutili i tentativi di rianimazione. Jemima è morta.
Con calma, in silenzio.
Stando ai dati Istat in Italia ci sono quasi 50
mila persone che vivono senza casa, a Pesaro se ne contano alcune decine, ma la
maggior parte trovano riparo nelle varie strutture d’accoglienza. Chi non trova
posto nella nostra città chiede aiuto altrove, oppure si rifugia all’ospedale,
presso la stazione ferroviaria, in edifici abbandonati. In ogni caso cerca un
riparo. La morte di questa signora di 42
anni lascia a bocca aperta perché è avvenuta in circostanze inspiegabili. Chi
la conosceva bene, ne parla come di una persona schiva, che preferiva starsene
da sola. E in effetti posso testimoniare che negli ultimi quattro anni, da
quando sono responsabile del Centro di Ascolto della Caritas diocesana, non si
è mai rivolta ai nostri servizi. Ogni tanto frequentava i luoghi di ritrovo dei
nostri ospiti, ma non ha mai chiesto neppure un buono pasto per mangiare alla
mensa dei poveri. L’ultima volta in cui a
Pesaro è morta una persona per strada era il 19 settembre 2010, quando ci
lasciò Massimo Mirigelli che viveva in una baracca lungo il fiume Foglia. Da
quel giorno tutti si accorsero di quanto fosse grave il problema dei
senza-tetto e il suo “sacrificio” ha dato il via a tante iniziative e ha
commosso l’opinione pubblica. Ma il caso di Jemima è diverso: chi poteva
intervenire e impedirle di abbandonarsi in quel modo? Se si riflette bene fa
ancora più paura: la solitudine, la depressione, il disorientamento, sono mali
che esistono e sono ben radicati nella nostra società, ma si nascondono in
luoghi un tempo impensabili, che sono le nostre case, i nostri cuori. Luoghi
fragili, continuamente esposti alle intemperie della vita e che a volte,
paradossalmente, sono ancora più invisibili di una tenda, sull’argine di un
fiume.
Matteo Donati –
Responsabile Centro di Ascolto Caritas Diocesana di Pesaro