Uno splendido articolo che Natalia Ginzburg pubblicò sull’Unità
il 22 marzo 1988 a proposito di un’insegnante di Cuneo che aveva tolto il
crocifisso dall’aula. La Ginzburg non era cattolica ma credo che nessun
cattolico avrebbe scritto qualcosa di più bello, vero e condivisibile sul
problema del crocifisso, quel piccolo segno muto e silenzioso che da oltre
duemila anni “fa parte della storia del mondo”.
Aldo Maturo - 9.11.2009
“Dicono che il
crocifisso deve essere tolto dalle aule della scuola. Il nostro è uno stato
laico che non ha diritto di imporre che nelle aule ci sia il crocifisso.
Però
a me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi
sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che conosco dicono che va
tolto. Altre dicono che è una cosa di nessuna importanza.
I
problemi sono tanti e drammatici, nella scuola e altrove, e questo è un
problema da nulla.
E’
vero. Pure, a me dispiace che il crocefisso scompaia.
Se
fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non venisse toccato. Ogni
imposizione delle autorità è orrenda, per quanto riguarda il crocefisso sulle
pareti. Non può essere obbligatorio appenderlo.
Però
secondo me non può nemmeno essere obbligatorio toglierlo. Un insegnante deve
poterlo appendere, se lo vuole, e toglierlo se non vuole.
Dovrebbe
essere una libera scelta. Sarebbe giusto anche consigliarsi con i bambini. Se
uno solo dei bambini lo volesse, dargli ascolto e ubbidire. A un bambino che
desidera un crocefisso appeso al muro, nella sua classe, bisogna ubbidire.
Il
crocifisso in classe non può essere altro che l'espressione di un desiderio. I
desideri, quando sono innocenti, vanno rispettati.
L'ora
di religione è una prepotenza politica. E' una lezione. Vi si spendono delle
parole. La scuola è di tutti, cattolici e non cattolici. Perchè vi si deve
insegnare la religione cattolica?
Ma
il crocifisso non insegna nulla. Tace. L'ora di religione genera una
discriminazione fra cattolici e non cattolici, fra quelli che restano nella
classe in quell'ora e quelli che si alzano e se ne vanno.
Ma
il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della
rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra
gli uomini fino allora assente.
La rivoluzione cristiana
ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono
quasi duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo
Cristo". O vogliamo forse smettere di dire così?
Il
crocifisso non genera nessuna discriminazione. E' muto e silenzioso. C'è stato
sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente,
una parte dei muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari
per un solo bambino, può essere qualcosa dì particolare, che suscita pensieri
contrastanti. I diritti delle minoranze vanno rispettati.
Dicono che da un
crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari
ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse
un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a
milioni di ebrei nei lager?
Il crocifisso è il
segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue
sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della
solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il
senso del nostro umano destino.
Il
crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù
Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente
l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla
croce per amore di Dio e dei prossimo. Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma
conserva l'idea dei prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e
martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e
di loro sui muri delle scuole non c'è immagine.
E' vero, ma il
crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di
Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti,
ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e
nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo
situare la solidarietà fra gli uomini.
E
di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella
vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo
sappiano fin dai banchi della scuola.
Gesù
Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle
spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di
croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è
impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici
portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e
cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo
ai cattolici.
Alcune
parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello
che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto
"ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte
nell'Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione
cristiana. Sono la chiave di tutto.
Sono
il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe
sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell'indifferenza che tanto
spesso circonda le donne violentate nelle strade.
Si parla tanto di
pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole?
Sono l'esatto contrario del modo in cui oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo
sempre, trovando esattamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più
difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo
che là è la chiave di tutto.
Il
crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel
piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte dei muro.
Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che
debba sparire dal muro quel piccolo segno.
Cristo
ha detto anche: "Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perchè
saranno saziati". Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i
credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole fanno,
chissà perché, sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e
più forti.
Cristo
ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare
mercanti. Per i veri cattolici, deve essere arduo e doloroso muoversi nel
cattolicesimo quale è oggi, muoversi in questa poltiglia schiumosa che è
diventato il cattolicesimo, dove politica e religione sono sinistramente
mischiate. Deve essere arduo e doloroso, per loro, districare da questa
poltiglia l'integrità e la sincerità della propria fede. lo credo che i laici
dovrebbero pensare più spesso ai veri cattolici. Semplicemente per ricordarsi
che esistono, e studiarsi di riconoscerli, nella schiumosa poltiglia che è oggi
il mondo cattolico e che essi giustamente odiano.
Il crocifisso fa
parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono,
come abbiamo detto, molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi
e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no.
Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono
come le onde dei mare. Hanno le idee, in genere, piuttosto confuse e incerte.
Soffrono di cose di cui nessuno soffre. Amano magari il crocifisso e non sanno
perché. Amano vederlo sulla parete. Certe volte non credono a nulla.
E'
tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più
incerti e contrastanti pensieri”.
Natalia Levi,
parlamentare del PCI nel 1983, era nata a Palermo il 14 luglio1916 da famiglia
ebraica. Aveva trascorso l’infanzia a Torino e aveva visti i fratelli
imprigionati e processati per antifascismo. Nel 1938 aveva sposato Leone
Ginzburg, docente universitario di letteratura russa. Dal '40 al '43 era
vissuta in Abruzzo dove il marito, dirigente della cospirazione antifascista
clandestina, era stato mandato al confino.
Dopo la morte del marito
— ucciso nel carcere di Regina Coeli dai fascisti nel febbraio del '44, pochi
mesi prima dell'arrivo degli alleati a Roma — era ritornata a Torino dove si
era risposata e dove aveva avuto inizio il suo splendido periodo
letterario. E’ morta a Roma nel 1991.