mercoledì 5 aprile 2017

LEGITTIMA DIFESA : COSA CHIEDE LA LEGA?

Non si capisce bene cosa voglia la Lega sulla legittima difesa. I casi più recenti e noti, come quello del benzinaio Stacchio, sono finiti quasi tutti con un'archiviazione. L’Italia ha sottoscritto una serie di convenzioni internazionali per i diritti umani secondo cui è lecito uccidere una persona soltanto per proteggere la propria incolumità, non per tutelare dei beni materiali. In altre parole, a meno di grandi cambiamenti che oggi sembrano proprio improbabili, anche in futuro i giudici potranno continuare a condannare chi non è minacciato e uccide un ladro che sta scappando.

 

da IL POST – 13 marzo 2017
 
Nella notte tra giovedì e venerdì un uomo residente in provincia di Lodi, Mario Cattaneo, titolare di un bar tabaccheria, ha sparato e ucciso uno dei quattro ladri che erano entrati nel suo negozio. Cattaneo ha detto di non aver sparato per uccidere, e che anzi il colpo è partito accidentalmente durante una colluttazione con il ladro. I dettagli su quanto è successo non sono ancora chiari; è stata aperta intanto un’indagine per omicidio volontario.
Il caso ha riaperto il vecchio dibattito sulla legittima difesa, con tutto il centrodestra schierato a favore di Cattaneo. 


Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, è tornato a chiedere che la difesa venga «sempre considerata legittima». Secondo Salvini, infatti, la legge in vigore sulla legittima difesa non tutela abbastanza chi cerca di difendersi. In realtà però gli ultimi e più noti casi di cronaca simili a quello di Cattaneo sembrano mostrare che chi si difende ha buone possibilità di vedersi riconosciuto dai giudici il proprio diritto a proteggersi con le armi.

Il caso Stacchio
La sera del 3 febbraio 2015 in provincia di Vicenza un gruppo di rapinatori assaltò una gioielleria vicino alla pompa di benzina gestita da Graziano Stacchio, 66 anni. «Sono scesi da due macchine verso le sette di sera con i passamontagna», aveva raccontato Stacchio. «Erano armati e hanno iniziato a picchiare sulla porta della gioielleria come barbari. Le macchine suonavano i clacson, “è una rapina”, dicevano, ma nessuno poteva fare nulla e ai banditi non importava: spaccavano tutto». All’interno della gioielleria c’era una delle commesse, così Stacchio decise di andare a prendere la sua arma: «Sono entrato in casa, ho preso la chiave dell’armadietto dove tengo il fucile e sono uscito. Erano ancora lì. Ho sparato un colpo in aria. L’uomo che faceva da palo ha risposto al fuoco e io ho tirato altre due volte sulla macchina vuota. Poi lui si è avvicinato a me, puntandomi con l’arma e gli ho tirato alle gambe e sono andati via». L’uomo, Alban Cassol, 41 anni, morì dissanguato poco dopo; il suo corpo fu ritrovato dentro l’auto poi abbandonata dai rapinatori.

Il caso Stacchio è probabilmente il più celebre di questo genere degli ultimi anni, è stato affrontato in decine di talk show e articoli, attirando molta attenzione. Diversi politici di centrodestra hanno cavalcato la storia, sia per sottolineare un ipotetico aumento dei reati (le statistiche mostrano che le rapine sono in calo in Italia, anche se in alcune zone possono essere in aumento) e, soprattutto, per sostenere la necessità di modificare la legge sulla legittima difesa. Come disse all’epoca il segretario della Lega Salvini: «La proposta della Lega è cambiare l’eccesso di legittima difesa: in Italia persone come Stacchio fanno quello che ogni cittadino libero e responsabile deve fare, cioè difendere la propria vita e quella altrui».
In realtà fin dall’inizio avvocati ed esperti avevano pochi dubbi su come si sarebbero concluse le indagini su Stacchio. Il suo sembrava un caso da manuale di legittima difesa: i rapinatori erano armati e stavano minacciando la vita di una persona, la commessa. Stacchio ha cercato di farli desistere prima sparando in aria, e poi aveva sparato ad altezza d’uomo soltanto per rispondere al fuoco. Nel giugno del 2016, dopo la richiesta della procura, il suo caso è stato archiviato prima ancora di arrivare alla fase processuale.

Il caso Corazzo
Un altro caso il cui esito è sembrato abbastanza scontato da subito è quello del gioielliere Rodolfo Corazzo, che dopo essere stato aggredito e minacciato insieme alla sua famiglia uccise uno dei tre rapinatori che lo avevano sequestrato. Corazzo venne aggredito da tre persone il 24 novembre del 2015, mentre stava rientrando a casa. Venne sequestrato con la sua famiglia, picchiato e obbligato a rivelare dove nascondeva i gioielli. Durante la rapina, che durò in tutto due ore, i ladri minacciarono anche sua figlia di dieci anni. Alla fine Corazzo riuscì a raggiungere la sua pistola. Dopo aver sparato un colpo in aria per spaventare i rapinatori, iniziò un breve scontro a fuoco. I rapinatori spararono sette colpi, Corazzo tre, due dei quali ferirono a morte Valentin Frrokaj, un cittadino albanese già condannato all’ergastolo e all’epoca latitante.

Corazzo fu indagato per eccesso di legittima difesa, ma i magistrati da subito dissero ai giornalisti che era un “atto di garanzia” per lo stesso Corazzo. Il quotidiano Il Giorno scrisse pochi giorni dopo il sequestro che i magistrati ritenevano che si trattasse di un autentico caso di “legittima difesa”. Anche Corazzo mostrò sin dall’inizio una certa tranquillità: «Il mio assistito non è turbato dal fatto di essere indagato», disse il suo avvocato. Lo scorso settembre il caso è stato archiviato.

Il caso Sicignano
Il caso di Francesco Sicignano, un pensionato di Vaprio in provincia di Milano, che il 20 ottobre del 2015 uccise un ladro all’interno della sua villetta, non fu altrettanto lineare. Sicignano raccontò ai magistrati di aver trovato il ladro dentro casa sua e di avergli sparato da vicino, credendo di essere aggredito. Dopo le prime indagini, però, la ricostruzione di Sicignano non sembrò credibile ai magistrati. Il corpo del ladro venne ritrovato infatti fuori dalla villetta, su una scala. All’interno dell’appartamento non vennero trovate tracce di sangue, mentre il colpo che aveva ucciso il ladro sembrava aver attraversato suo corpo dall’alto verso il basso. La procura ipotizzò che Sicignano si fosse accorto dell’intrusione prima che il ladro avesse il tempo di entrare in casa, che si fosse appostato sul pianerottolo e che gli avesse sparato da lì.

Sicignano fu indagato per omicidio volontario, ma gli accertamenti successivi confermarono la sua versione. In un proiettile trovato nella cucina della casa fu rivenuto il DNA del ladro, mentre una perizia medica stabilì che era possibile che il ladro fosse riuscito a trascinarsi fuori dall’appartamento dopo essere stato ferito. I medici spiegarono l’assenza di tracce di sangue in casa con il fatto che la ferita che aveva subìto non causa necessariamente un copioso sanguinamento immediato. Lo scorso primo giugno la procura ha chiesto l’archiviazione per Sicignano.

Il caso Birolo
Le cose andarono diversamente nel caso di Franco Birolo, che nella notte tra il 25 e il 26 aprile 2012 uccise uno dei tre ladri che erano entrati nella sua tabaccheria. Birolo è stato condannato per eccesso di legittima difesa in primo grado, ed è stato condannato 2 anni e 8 mesi di carcere e a un risarcimento di 325 mila euro. La sentenza d’appello, pronunciata lunedì 13 marzo, ha ribaltato l’esito di primo grado, portando alla sua assoluzione. La particolarità nel caso di Birolo sta nel fatto che, a differenza degli altri episodi, il giudice di primo grado ha ritenuto che il tabaccaio non si stesse difendendo da un aggressione ma stesse cercando di recuperare la refurtiva.

Secondo la ricostruzione emersa dalla sentenza di primo grado, nella notte tra il 25 e il 26 aprile 2012 Birolo sentì dei rumori provenire dalla tabaccheria situata sotto il suo appartamento. Presa la sua pistola, Birolo scese per controllare cosa stava accadendo. Una volta arrivato si trovò davanti a tre ladri e sparò ferendo Igor Ursu, un cittadino moldavo di 23 anni, che morì poco dopo. Poi Birolo immobilizzò un altro ladro, legandolo e incappucciandolo. Secondo il giudice che lo ha condannato, quando sparò Birolo non aveva alcuna necessità di difendersi.
Quando sentì i rumori al piano di sotto, la sua incolumità non era minacciata e avrebbe potuto appostarsi sulla porta di casa sua per difendere la sua famiglia. Birolo però – legittimamente, sottolinea il giudice – decise di scendere nel negozio per tutelare i suoi beni, esponendosi così al rischio di un’aggressione. Secondo la difesa a quel punto Birolo avrebbe visto delle ombre, si sarebbe spaventato e, preso dal panico, avrebbe sparato contro i ladri. Il giudice sostiene invece che Birolo abbia sparato mentre il ladro si trovava già sulla porta e stava fuggendo con la refurtiva. Il pm aveva chiesto l’assoluzione, sostenendo che in quei momenti concitati Birolo si era creduto aggredito anche se i ladri stavano fuggendo, ma la giudice ha respinto questa interpretazione sostenendo invece che Birolo abbia sparato proprio con l’intento di bloccare il ladro in fuga, non per proteggersi e nemmeno per errore. Il giudice d’appello ha invece deciso di assolvere Birolo. Non sono state ancora pubblicate le motivazioni della sentenza, quindi non sono ancora chiare le ragioni che lo hanno spinto a questa decisione.

Le proposte di modifica alla legge
Nei principali casi di cronaca del genere degli ultimi anni, la posizione giudiziaria di chi ha ucciso un ladro è stata spesso archiviata ancora prima del processo. In almeno un caso si è arrivati al processo e alla condanna di primo grado, ma sembra improbabile che la proposta per cambiare la legge sostenuta dalla Lega possa cambiare gli esiti di processi come quelli che hanno riguardato Birolo.

Nel 2015, infatti, la lega proposte di introdurre un nuovo comma all’articolo 52 del codice penale:
«Si presume, altresì, che abbia agito per difesa legittima colui che compie un atto per respingere l’ingresso, mediante effrazione o contro la volontà del proprietario, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di persona travisata o di più persone riunite, in un’abitazione privata, o in ogni altro luogo ove sia esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale»
In base a questo comma sarebbe automaticamente da considerare legittima difesa qualsiasi gesto compiuto per impedire l’entrata di persone non autorizzate nella propria abitazione o posto di lavoro. Questa disposizione non sembra però riguardare i casi come quello di Birolo, in cui secondo il giudice il tabaccaio sparò solo dopo che i ladri erano già entrati e mentre stavano scappando. La proposta della Lega, peraltro, è stata poi abbandonata dopo le critiche di vari esperti. Al momento il partito di Salvini ha detto di aver intenzione di tornare sul tema ma non ha una nuova proposta.
Inoltre, bisogna considerare che le capacità della politica di intervenire con nuove leggi sulla legittima difesa è comunque limitata. L’Italia ha sottoscritto una serie di convenzioni internazionali per i diritti umani secondo cui è lecito uccidere una persona soltanto per proteggere la propria incolumità, non per tutelare dei beni materiali. In altre parole, a meno di grandi cambiamenti che oggi sembrano proprio improbabili, anche in futuro i giudici potranno continuare a condannare chi non è minacciato e uccide un ladro che sta scappando.