Nel giro di qualche anno
verranno dismesse le nostre piattaforme e il passaggio verso le rinnovabili è
ancora qualcosa di molto lento, la vita continua e noi dovremo pur accendere i
fornelli di casa e per farlo ci servirà ancora del metano. Metano che le compagnie
dovranno andare a cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi
più cari, ma questa è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per
il nucleare). E noi lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro ma
con la coscienza più pulita perché siamo ambientalisti e abbiamo detto che il
nostro mare “non si spirtusa”. Io sinceramente non mi sentirei a posto con
la coscienza a votare SI e poi accendere i fornelli con il gas che viene non
dall’Adriatico (no per carità, il nostro mare va tutelato) ma dal Mozambico che
accoglie le compagnie petrolifere che noi abbiamo cacciato, accollandosi il
rischio ambientale perché ha solo gli occhi per piangere e nessun potere
contrattuale per dire “no, noi le vostre trivelle qui non le vogliamo”.
Michela Costa – geologa – Redazione MeteoWeb – 19 marzo 2016
(...)
No, non sono un geologo che lavora in piattaforma, sono un geologo disoccupato
che manco ci pensa ad andare a lavorare in piattaforma, per carità. E non ho
nessuno in famiglia che lavora alla Eni. Insomma nessun interesse personale
nelle mie opinioni.
(...)
voglio discutere di seguito i motivi per cui non andare a votare nella speranza
che non venga raggiunto il quorum, mi sembra la soluzione “più sostenibile”:
2) La
vittoria del SI porterà comunque alla costruzione di altri impianti. La
costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006
(comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06) e su questo possiamo stare sereni. La
vittoria del SI non potrà, però, impedire alle compagnie di spostarsi e
costruire nuovi impianti poco oltre questo limite. Praticamente con il SI
quello che vogliamo dire alle compagnie è: “Sentite, anche se avete ancora un
botto di gas da estrarre in questo giacimento, chiudete tutti i rubinetti e
spostatevi più lontano oppure andatevene in un altro paese” Si, significa
questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia allora potrà scegliere se non
cambiare stessa spiaggia stesso mare, dismettere l’impianto entro le 12 miglia
e farne, per esempio, uno nuovo a 12,5 miglia (li dove nessuno potrà lamentarsi
di nulla) oppure andare a cercare giacimenti altrove, sulla terraferma o in
altri paesi. Ma inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e altri saranno
potenziati, per sopperire al fabbisogno energetico. Se vietiamo l’utilizzo
degli impianti esistenti, da qualche altra parte questo gas dovremo andarlo a
prendere, no?
3) La
vittoria del SI non scongiura un rischio ambientale, anzi, contribuisce ad
aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento. Ora,
immaginiamoci un disastro ambientale, un grave incidente a una piattaforma
petrolifera posizionata “correttamente” e cioè oltre il limite delle 12 miglia.
Pensate davvero che un miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano fare la
differenza? Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di Greenpeace
o panda del WWF potrà correre avanti e indietro e fare da barricata
all’avanzare del petrolio verso le coste. In più lo stop delle piattaforme
esistenti si tradurrebbe in un maggiore traffico di petroliere che vanno a
spasso per i nostri mari per portarci i combustibili che noi abbiamo deciso di
non estrarre più ma di cui avremo ancora bisogno. Petroliere alimentate a
petrolio, che trasportano petrolio e che possono esplodere o essere soggette a
perdite e sversamenti. Senza dimenticarci che, sempre in Adriatico, anche
la Croazia e la Grecia trivellano e, in futuro, potrebbero attingere ai
giacimenti che l’Italia abbandonerà in caso di vittoria del SI. Insomma, a
livello di rischio ambientale non cambia proprio nulla.
4) La
vittoria del SI non si traduce in una politica immediata a favore delle energie
rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare. Cosa vi
aspettate, che all’indomani della cessazione delle attività nelle piattaforme,
l’Italia magicamente si sosterrà solo con le rinnovabili? Siamo d’accordo
che l’utilizzo dei combustibili fossili non sia una pratica sostenibile. Ma
appunto per questo bisognerebbe puntare non alla costruzione di altri impianti,
bensì allo sfruttamento residuo di quelli già esistenti che devono fare da
supporto alle energie rinnovabili sempre più in crescita ma non ancora
autonome. In un futuro (credo ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo
esclusivo di energie rinnovabili ma ciò deve essere fatto un passo alla volta,
con la consapevolezza che un periodo di “transizione” è fisiologico e
l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del gas, ci dovrà accompagnare in
questo passaggio. In poche parole, se togliamo il gas e il petrolio dobbiamo
essere in grado di sostenere subito “la baracca” in un altro modo altrettanto
efficiente. Le stesse Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano
e WWF hanno
detto: “quello che serve per difendere una volta per tutte i nostri mari è
il rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti
nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria di tutte
le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito
un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei
territori e dei mari italiani”. Ok, siamo d’accordo, ma nel frattempo che
definiamo il Piano energetico, l’Italia come vivrà?
5) Il
referendum è illegittimo, fa leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla
cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune. Non è un referendum
lo strumento più adatto per risolvere un tema così complesso e così tecnico. O
meglio, potrebbe esserlo se fossimo tutti degli esperti di coltivazione
d’idrocarburi, ma non lo siamo. Trivellare non vuol dire necessariamente essere
contro le politiche green, anzi, la normativa di settore è piuttosto severa e
restrittiva nei confronti delle concessioni e degli adempimenti a cui le
compagnie devono prestare attenzione.
6) Non è
vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo… Se così fosse,
il litorale romagnolo (dove ci sono il maggior numero di impianti) non
registrerebbe ogni stagione i flussi turistici che sono invece ben noti. Così
anche la Basilicata. In poche parole il turista dà peso ad altre cose, e non
alla presenza delle piattaforme.
7) …e
non è vero neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può
innescare terremoti come quello avvenuto anni fa in Emilia. Questa è
un’argomentazione piuttosto tecnica di cui non auguro la lettura integrale
nemmeno al mio peggior nemico, ma se volete trovate le conclusioni del rapporto
a pagina 56 e successive di questo
documento.
8) La
vittoria del SI contribuirà allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo. Dal
momento che nel giro di qualche anno verranno dismesse le nostre piattaforme
e che il passaggio verso le rinnovabili è ancora qualcosa di molto lento, la
vita continua e noi dovremo pur accendere i fornelli di casa e per farlo ci
servirà ancora del metano. Metano che le compagnie si dovranno andare a
cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa
è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il nucleare). E noi
lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro ma con la coscienza più
pulita perché siamo ambientalisti e abbiamo detto che il nostro mare “non si
spirtusa”. Il nostro mare, appunto.
Per
fortuna arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni che, a braccetto
di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava
soddisfatto: “In Mozambico l’Eni ha fatto la più importante scoperta di gas
della sua storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di
soddisfare il bisogno degli italiani per trent’anni “. Inutile dire quanto poco
gliene possa fregare del gas agli abitanti del Mozambico, loro che non hanno nè
fornelli né automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e petrolio e loro
si prendono solo gli eventuali rischi più qualche spicciolo che andrà nelle casse
del governo locale. Molto comodo essere ambientalisti così, evvero?
Io
sinceramente non mi sentirei a posto con la coscienza a votare SI e poi
accendere i fornelli con il gas che viene non dall’Adriatico (no per carità, il
nostro mare va tutelato) ma dal Mozambico che accoglie le compagnie petrolifere
che noi abbiamo cacciato, accollandosi il rischio ambientale perché ha solo gli
occhi per piangere e nessun potere contrattuale per dire “no, noi le vostre
trivelle qui non le vogliamo”.
Quindi
mi auguro semplicemente che chi deciderà di votare SI abbia un comportamento
ineccepibile dal punto di vista energetico. Questo non significa solo fare la
differenziata e andare in bicicletta. Significa essere pronti, per coerenza
personale, a rinunciare all’indomani del referendum a qualsiasi forma di
utilizzo dei combustibili fossili. Significa non possedere né auto né moto che
non siano elettriche; significa non viaggiare né in aereo né in nave; significa
avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili, con stufe a pellet o i
raggi infrarossi; significa non comprare tantissimi prodotti che fanno parte
della nostra vita quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati
combustibili fossili. Insomma, significa essere degli integralisti energetici,
avere uno stile di vita molto più che green. Ma quanti, tra quelli che
voteranno SI hanno una condotta del genere?
Per chi
volesse leggere le altre ragioni del NO e altri articoli, qui troverà anche troppo.
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Tratto da: Referendum Trivelle, una geologa: “ecco perché io non andrò
a votare e se proprio fossi costretta, voterei NO” – di Michela Costa – Geologa
– Meteoweb - 19 marzo 2016