Aldo Maturo
Viene il dubbio che la riforma sia stata fatta per risolvere il
problema del sovraffollamento delle carceri nella maniera più semplice:
evitiamo il sovraffollamento limitando le possibilità di andare in carcere. Al
sistema delle “porte girevoli” (si entrava in carcere e, in molti casi, dopo
massimo 5 giorni si poteva essere rimessi in libertà) è subentrato il sistema
delle “porte chiuse”. Tecnicamente si dice deflazionare i carichi di giustizia.
In che modo? Escludendo la punibilità di un bel numero di reati, quelli più
ricorrenti, quelli che nell’ambiente dei tribunali si chiamano “bagatellari”.
Chissà se le vittime di tali reati (i più frequenti) condividono tale giudizio.
Mi riferisco al decreto legislativo n.28/2015 che ha introdotto
nel codice penale l’art.131 bis che prevede la non punibilità per i reati per i
quali è prevista “la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni ovvero
la pena pecuniaria, sola o congiunta, laddove l’offesa, per le modalità della
condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi
dell’art.133/1, sia di particolare tenuità e il comportamento risulta non
abituale.”
I presupposti sono quindi tre: pena prevista non
superiore a 5 anni, l’offesa deve essere ritenuta tenue e il comportamento del
soggetto che lo ha commesso non deve essere abituale. I reati interessati sono
112 ( http://aldomaturo.blogspot.it/2014/12/governo-renzi-follia-di-stato-e-licenza.html).
Qualche esempio? Abuso d’ufficio, oltraggio a pubblico ufficiale, atti osceni,
ingiuria, percosse, diffamazione, violazione di domicilio, furto semplice,
lesioni colpose, rissa, etc..
Di certo non sono ritenuti “tenui” (anche se rientrano nei 5
anni di pena) alcuni reati, quali maltrattamenti in famiglia, violazione
degli obblighi di assistenza familiare, abuso di mezzi di correzione, atti
persecutori (Stalking), furto in abitazione, scippo, maltrattamento di animali.
Il “beneficio” non è applicabile a chi ha precedenti penali o è
recidivo. Infatti l’archiviazione non esclude l’iscrizione nel casellario
giudiziario, per cui per 10 anni il reato costituirà comunque un “precedente”.
Sarà compito del giudice valutare la scarsa gravità dell’offesa
e la non abitualità del comportamento. Insomma dovrà valutare non solo il
comportamento di chi ha commesso il reato, ma anche il pericolo che ha
procurato ad altri, il grado di colpa o dolo, la capacità a delinquere desunta
dai motivi, dai precedenti, dalle condizioni di vita familiare e personale.
Una tale valutazione potrà essere fatta già dal pubblico
ministero a chiusura delle indagini o dal giudice, in fase successiva.
Ma alla sostanziale non punibilità di circa 112 reati, il
Governo ha ritenuto di aggiungere altri paletti al rischio di finire in
carcere. In che modo? Con la riforma delle misure cautelari, entrata
in vigore l’8 maggio scorso.
La custodia cautelare in carcere deve essere l’ultima soluzione
da adottare e può essere disposta soltanto quando appaiono inadeguate altre
misure coercitive ed interdittive (Es. divieto di esercitare una professione,
ritiro del passaporto, obbligo di dimora)
La custodia cautelare era adottata, prima della riforma, quando
il giudice riteneva che, lasciando in libertà chi aveva commesso il reato, ci
poteva essere concreto pericolo di fuga, rischio di inquinamento delle prove o
pericolo che il soggetto potesse reiterare il reato. Con la nuova riforma
questi presupposti non sono più sufficienti o legati solo alla gravità del
reato. E’ necessario valutare caso per caso che il pericolo sia non solo
“concreto” ma anche “attuale”. Oltre alla gravità ed alle modalità del
delitto si dovranno prendere in considerazione anche altri parametri quali i
precedenti, i comportamenti, la personalità dell'imputato, etc. Ed ancora, il
giudice non potrà motivare l'applicazione della misura cautelare per
relationem, cioè riportandosi agli atti del pubblico ministero, ma
dovrà corredare la sua decisione con una adeguata, autonoma ed approfondita
motivazione che dovrà tenere in dovuta considerazione anche gli argomenti dei
difensori dell’imputato. Dovrà cioè spiegare perché, disponendo la custodia
cautelare, non ha accolto i motivi della difesa.
Per fortuna, rimangono esclusi da queste limitazioni i reati
particolarmente gravi quali i delitti di mafia, di associazione terroristica
(anche internazionale) ed associazione sovversiva. Per questi reati
rimane la presunzione di assoluta idoneità della custodia cautelare in carcere.
Per altri importanti reati (ad es. omicidio, violenza sessuale e sequestro di
persona a scopo di estorsione) la misura della custodia cautelare non trova
applicazione qualora si riesca a dimostrare che le esigenze cautelari possono
essere soddisfatte con il ricorso ad altre misure.
E’ stata modificata anche la normativa relativa agli arresti
domiciliari. Prima chi violava le prescrizioni allontanandosi dall’abitazione
sapeva che automaticamente ritornava in carcere. Adesso il giudice può decidere
di continuare ad applicare gli arresti domiciliari se la violazione è stata da
lui considerata di lieve entità.
Non dimentichiamo che nemmeno un anno fa la legge 117/2014 ha previsto
il diritto per un detenuto ad ottenere la riduzione di un giorno di pena per
ogni dieci espiati in violazione del suo diritto a uno spazio e a condizioni
adeguate (almeno 3 metri quadri a persona). Per i detenuti già usciti in
libertà, invece, è stato previsto un risarcimento di otto euro per ciascun
giorno di carcere espiato in stato di sovraffollamento.
Dopo le riforme che abbiamo riportato brevemente, di certo la
Corte di Giustizia Europea non potrà più farci rimproveri e diffide.
Per i risvolti della nuova normativa sull’ordine pubblico, invece, dovremo
aspettare le prossime statistiche del crimine.