di Francesco Grignetti
La Stampa, 19 gennaio 2015
Rispetto e attenzione. In
due parole, è qui riassunto il trattamento speciale che la Direzione delle
carceri riserva ai detenuti musulmani.
Rispetto: da anni il
vitto è differenziato e si permette la preghiera ai fedeli islamici in moschee
autogestite nelle carceri; in qualche caso ciò avviene con l'ingresso di imam
dall'esterno, in altri casi con il riconoscimento ad alcuni detenuti del ruolo
di imam, che notoriamente nella tradizione sunnita sono i più valenti tra i
fedeli.
Attenzione: il
pericolo del proselitismo da parte dei fondamentalisti è molto considerato dal
2001 in poi.
Di qui un occhiuto
controllo sulle comunicazioni interne ed esterne e sulle rimesse di denaro. Non
per caso, i responsabili delle carceri partecipano dal 2008 alle riunioni settimanali
del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo al ministero dell'Interno.
Esattamente dieci anni fa, il Dap ordinò il primo screening sui detenuti
musulmani.
Ne
venne fuori un elenco di 58 nomi che scontavano pene per reati in qualche modo
legati al terrorismo internazionale. I 58, peraltro, erano confinati in un
circuito di 4 carceri speciali, ad Asti, Benevento, Macomer e Rossano. Dal
monitoraggio emerse che, proprio perché chiusi in un circuito ad alta
sicurezza, questi elementi più pericolosi non avevano contatti con la malavita
comune e le occasioni di proselitismo erano eliminate.
Non
tutti i pericoli, però. "Era evidente - scriveva Francesco Cascini,
vicedirettore delle carceri fino a qualche mese fa - come taluni dei soggetti
interessati si fossero ben integrati con gli altri reclusi, tanto da mantenere
contatti anche quando non si trovavano nella stessa sede". Nel frattempo,
il programma di monitoraggio si è esteso e affinato. Si è temuto che il
proselitismo potesse venire dal basso. Perciò sono stati schedati tutti i
soggetti che rivestivano la figura di imam. Tra i tanti, uno era davvero fuori
dal comune: Domenico Quaranta, convertito all'Islam nel penitenziario di
Trapani, arrestato nel 2002 per due attentati falliti, nella Valle dei Templi
ad Agrigento e nella metrò di Milano, dove lasciò striscioni con scritte
inneggianti ad Allah ed ai mujaheddin in Afghanistan, nel carcere
dell'Ucciardone ha condotto la preghiera dei detenuti ristretti per il reato di
terrorismo internazionale.
L'incubo
dei direttori di carcere è la lingua. Infatti, non ci si può illudere pensando
che i colloqui dei detenuti arabi, in arabo, possano essere decifrati dal
personale. Vengono però frenati in ogni modo i contatti dall'esterno. Il
regolamento carcerario prevede la possibilità per i detenuti di usare una
radiolina personale. Gli apparecchi che essi usano per tale collegamento sono
le radio a "banda larga", le uniche che consentono di captare il
segnale di loro interesse. Il Dap, però, con una circolare del 2010 ne ha
vietato l'uso per sicurezza.
Anche i
libri possono essere uno strumento di proselitismo. La polizia penitenziaria è
abituata a esaminare bene i testi. Ma lo scontro diventa incandescente, quando
oggetto di perquisizione è il Corano, "libro che i detenuti portano sempre
con sé: spesso rifiutano la perquisizione e rinunciano anche ad uscire dalla
stanza detentiva pur di non permettere a nessuno di toccare il Libro
Sacro"
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