Il 4.3.2005, 9 anni
fa, Nicola Calipari, dirigente dei nostri Servizi Segreti, corre verso
l’aeroporto di Baghdad dove un aereo lo attende sulla pista con i motori accesi.
Deve riportare in Italia la giornalista Giuliana Sgrena, che ha appena fatto
rilasciare dai terroristi iracheni dopo lunghe trattative. La Toyota Corolla
corre nella notte sulla Irish Route quando viene illuminata dai fari di un
chek-point americano. Non si ferma, seguono attimi di esitazione, troppi, dal
blindato parte una pioggia di proiettili che centra l’auto. Cala un
interminabile silenzio e ai soldati che si avvicinano con le armi spianate
appare uno spettacolo di morte. A bordo non ci sono terroristi ma tre italiani.
C’è Giuliana Sgrena, ferita insieme all’autista. Accanto a lei, ferito a morte,
Nicola Calipari. L’inchiesta accerterà che dal chek-point che sbarrava la
strada per l’aeroporto aveva sparato Mario Lozano, 36 anni, soldato italo americano
originario del Bronx, New York. L’auto di Calipari, secondo la versione
americana, non si era fermata alle segnalazioni luminose fatte dai soldati, che
quindi l’avevano scambiata per un’auto di terroristi-kamikaze. Incriminato in
Italia per omicidio volontario, Lozano non è mai stato processato perché gli
Stati Uniti hanno respinto la richiesta di estradizione.
Buona Pasqua soldato Ryan
di Aldo Maturo
Soldato Ryan,
scusami se ti chiamo
così, ma non conosco il tuo nome ed ho pensato di dartene uno, uno diventato
famoso in quell’altro mattatoio della storia chiamato Normandia.
Forse hai perso il conto,
ma sono due anni che sei lì, anche se qualcuno ti aveva assicurato che sarebbe
stata una guerra lampo. Quante volte a bordo del tuo gigantesco tank,
sferragliando in quel truce teatro di distruzione e di morte, ti sono tornate
in mente le tue verdi e sconfinate praterie o quelle squallide ma amichevoli
periferie dove sei cresciuto?
Quante volte hai
ripensato al giorno in cui hai accettato di arruolarti, ammaliato dal mito
della “lotta al terrorismo internazionale”, della nobile missione di “esportare
la democrazia”, mentre in cuor tuo pensavi solo a quel mucchio di dollari che
nel tuo paese mai avresti messo insieme in tempi così brevi?
Ora sei lì, da 735
interminabili giorni, impantanato in una lurida guerra senza fine, perennemente
in allerta, con il dito sul grilletto in ogni ora del giorno e pochi secondi
per pensare se premerlo o no. Se ti va bene, puoi vivere e guadagnarti una
medaglia al valore, la Purple Heart, quella che Washington dà ai feriti.
Se ti va male, torni a casa avvolto in una bandiera, com’è già successo ai tuoi
amici Walter, John, Vanessa, Genevieve, Michael e mille altri ancora.
Ed è così che spari a
qualunque cosa tu pensi possa esploderti addosso. Ti hanno detto di farlo, ti
hanno detto che è un tuo diritto sparare ogni volta che ti senti minacciato,
ogni volta che senti la tua vita in pericolo. Le “regole d’ ingaggio”, le
chiamano.
E spari, spari, chissà
quanti uomini sono morti e quanti altri ne moriranno, e quante altre donne,
quanti bambini innocenti piangeranno i loro cari, colpevoli solo di essere nati
in quella terra dove vissero i Sumeri - tra il Tigri e l’Eufrate - culla, mille
e mille anni fa, della prima civiltà.
Hai sparato anche qualche
giorno fa, ricordi sì, era il 4 marzo? Eri lì da ore, l’occhio nel mirino, il
dito sul grilletto come sempre, in quel check-point sulla Irish Route,
la maledetta strada dell’aeroporto. Hai sentito da lontano il rumore di
un’auto, l’hai sentita avvicinarsi, hai visto i fari ingrandirsi poco a poco
nel buio della notte e puntare verso di te. Questi mi fanno saltare in aria,
hai pensato. Hai avuto paura, ti sei irrigidito e hai sparato, sparato,
sparato, finché non hai visto l’auto fermarsi. Pochi secondi e nel silenzio di
morte che è calato tra te e loro ti è venuto il dubbio che potevi aver
sbagliato. E avevi sbagliato, perché avevi ucciso un innocente, un italiano per
bene, e ferito chi era con lui, tutti colpevoli solo di voler scappare al più
presto da quell’inferno.
Prima o poi qualcuno ci
dirà perché è successo, forse ti processeranno, forse riconfermeranno che è
stato un “cortocircuito informativo” tra noi e voi, ma la cosa non cambia.
È la guerra, la tua
sporca guerra, soldato Ryan, una guerra costata finora, solo al tuo Paese, 160
miliardi di dollari. Sono tanti, sai, sono 4 miliardi di dollari al mese, 177
milioni di dollari al giorno, 122.820 dollari al minuto, più di 2000 dollari al
secondo. Il tuo stipendio ogni due o tre secondi. Quello di un italiano medio,
ogni secondo.
Una montagna di dollari
destinati alla morte e sottratti alla vita.
Ora ti lascio, Ryan, qui
da noi è Pasqua, giorno di pace, ma per te sarà un’altra Pasqua di guerra.
Forse in queste ore sei di pattuglia, forse ti muovi “a grappolo”, “a copertura
totale”, e non sai se arriverai vivo fino a stasera.
Però almeno oggi non
sparare. Lo so, capisco il tuo dramma, dipende dalla fortuna. E allora buona
fortuna e buona Pasqua anche a te.