Non c'è stata nessuna sentenza in materia,
contrariamente a quanto dice una notizia falsa che circola online da giorni: il
canone va pagato.
Stralcio da IL
POST - 8 gennaio 2014
Negli ultimi giorni è circolata molto online e sui
social network la notizia per cui una sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo avrebbe portato all’abolizione del canone RAI.
La storia è stata
ripresa da diversi quotidiani online (e anche da qualche politico, come Laura Puppato, che poi si è corretta) ed è completamente inventata.
Il sito ufficiale della Corte dei Diritti dell’Uomo riporta che non sono state depositate sentenze
fra il 17 dicembre 2013 e il 7 gennaio 2014. Né esiste una sentenza recente che
riguardi la questione del canone RAI.
Il cosiddetto “canone RAI” è una tassa sul possesso di
apparecchi «atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive», si
paga annualmente ed è in vigore dal 1938. Per capirci meglio: è una tassa sul
possesso, e non sull’uso, di qualsiasi mezzo in grado di ricevere il segnale
radiotelevisivo. Quindi va pagata da chiunque possieda anche solo uno
smartphone o un computer, anche se non ha la tv. La notizia della sua
abolizione non ha alcun fondamento, sebbene da anni circolino
periodicamente richieste per abolirlo (nel 1995 fu anche approvato un referendum per avviare
il processo di privatizzazione della RAI, mai attuato).
La Corte in passato si è occupata del canone RAI, ma
per dire che va pagato: nel 2009 dichiarò “palesemente infondato” il ricorso
presentato da un cittadino italiano contro le misure prese nei suoi confronti
dalla Guardia di Finanza per il mancato pagamento del canone (coprire il
televisore con un telo di nylon affinché non potesse utilizzarlo). L’uomo si
rivolse alla Corte, spiegò il Sole 24 Ore, «sostenendo che la
misura adottata dalle forze dell’ordine era una violazione del suo diritto a
ricevere informazioni attraverso altri canali televisivi, ma anche del suo
diritto al rispetto della vita privata e alla protezione della proprietà
privata». La Corte decise che nonostante i modi utilizzati dalla Guardia di
Finanza fossero ”un’ingerenza nei diritti del ricorrente”, lo Stato aveva
perseguito “un obiettivo legittimo: persuadere gli individui a pagare una tassa”,
relativa al solo possesso di un televisore.