Quando
è stato dato l’annuncio ufficiale che l’utero della duchessa di Cambridge era
occupato, il primo ministro britannico David Cameron si è detto “entusiasta”. E
ci credo. La notizia non poteva arrivare in un momento migliore. L’informazione
sulla Gloriosa Gravidanza della Magica Vagina di successione monarchica ha
opportunamente scalzato dalle prime pagine lo stato pietoso della nostra
economia (inglese, n.d.r.). Adesso ci toccano mesi di ipotesi sul nome del
neonato e di studio del pancione.La Casa dei Windsor è diventata l’ennesima
telenovela, anziché un’istituzione che non smette di confiscare i pieni diritti
democratici agli altri 70 milioni di umani che abitano quest’isoletta piovosa.
Ma non fa niente, i bebè sono tanto carini e dobbiamo augurare ogni bene alla
Coppia reale. (…). Io mi sbilancio e dichiaro di far parte delle molte migliaia
di persone che non hanno provato particolari emozioni sentendo la notizia. Quei
due non li conosco e probabilmente non li conoscerò mai di persona. Al pari di
tanti di noi, so solo cosa rappresentano, e cioè il potere e il privilegio e i
mille modi in cui si autogiustificano a forza di parate e di bandiere.(…).
L’anno
prossimo nel Regno Unito nasceranno circa 750mila bambini. Almeno 250mila
nasceranno in famiglie povere. Cresceranno senza avere idea di come potersi
permettere un’istruzione, una casa e le altre cose che perfino i loro genitori
in una certa misura davano per scontate. Questi bambini e i loro genitori
passeranno i prossimi vent’anni a guardare, sulle pagine dei quotidiani, un
piccoletto come loro crescere fra lussi e privilegi inimmaginabili. La lezione è:
stattene al tuo posto, non dimenticare mai a che ceto sociale appartieni e
quali sono i suoi limiti, mettiti bene in testa chi è che comanda. Malgrado
tutto quello che potrete leggere sulla stampa internazionale, qui, oggi le
fiabe sono merce sempre più rara.
(Stralcio
da “La principessa incinta” – Internazionale – 14/20 dicembre 2012 - di Laurie Penny, giornalista britannica, Columnist del
settimanale New Statesman e collaboratrice del Guardian)