martedì 17 settembre 2013

DIRITTO DI ACCESSO AI PALAZZI DEL POTERE


Aldo Maturo

 


Chi di noi non si è mai trovato impantanato in un ufficio pubblico dirottato da uno sportello all’altro, da un piano all’altro - fra lunghe attese e dopo aver fatto e rifatto la fila più volte - per avere un chiarimento su un atto amministrativo incomprensibile o per ottenere una certificazione assolutamente indispensabile.

Per anni, e non che oggi la cosa sia del tutto finita, abbiamo visto naufragare i diritti del cittadino in un mare misterioso che ha visto lo Stato-padrone riaffermare ogni volta la sua incondizionata supremazia, utilizzando leggi e procedure note solo ai burocrati.


Con la legge sul diritto di accesso (la famosa 241/90) c’è stata un’inversione di tendenza, un passaggio epocale, almeno in termini virtuali. Si è passati da una concezione  autoritativa della Pubblica Amministrazione ad una gestione partecipativa sempre più vicina al cittadino, più rispettosa dei suoi diritti e delle sue aspettative.

Rivoluzionando ideologicamente una cultura ultrasecolare, lo Stato ha dismesso mezze maniche e palandrane e si è data una nuova organizzazione imponendola anche ai suoi impiegati e dirigenti, non più titolari di un rapporto di supremazia speciale nei confronti del cittadino utente.

Possiamo dire che la Pubblica Amministrazione ha messo un vestito nuovo per offrire un’immagine di affidabilità, trasparenza e pubblicità, per erogare un servizio di qualità al cittadino che da destinatario passivo dell’attività amministrativa si è trasformato in cliente attivo, con una propria visibilità e dignità.

Non è stato facile modificare una mentalità secolare ma bisogna riconoscere che il legislatore ha voluto perseguire fermamente quest’obiettivo determinando una vera e propria rivoluzione culturale che ha ribaltato la regola del segreto con quella della trasparenza. Il “palazzo” ha perso la sua secolare impermeabilità, il suo mistero ed è diventato una “casa di cristallo”. Alla regola del segreto si è sostituita quella della conoscenza e della trasparenza.

La pietra miliare del diritto di accesso è stata la legge 7 agosto 1990 n.241 – più volte integrata – che al suo articolo 22  stabilisce che chiunque abbia un interesse giuridicamente rilevante ha diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione “al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale”.

Per diritto di accesso si intende il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi che li riguardano.

Con il termine “chiunque” si intende un cittadino italiano, uno straniero, un apolide, un’associazione, un gruppo di privati, i mass-media purchè abbiano un interesse giuridicamente rilevante collegato al documento di cui si chiede l’accesso, interesse che non deve significare evidentemente semplice curiosità.

Dal diritto di accesso va distinto il diritto di prendere visione degli atti del procedimento per partecipare alla sua definizione. Il primo, previa richiesta motivata, si esercita dopo che il provvedimento è stato emesso, ha per oggetto l’esame dei documenti ed è diretto a controllare che tutto si sia svolto con trasparenza ed imparzialità. Il secondo può essere esercitato solo dal soggetto direttamente interessato ed è finalizzato a consentirgli addirittura di partecipare all’istruzione, alla preparazione e alla elaborazione del provvedimento in maniera da garantirgli la massima tutela giuridica contro eventuali abusi, dimenticanze ed omissioni dell’Ufficio che sta istruendo e completando la redazione dell’atto.

La domanda di accesso, redatta in carta semplice, va presentata all’ufficio che è in possesso – o che si ritiene sia in possesso - dell’atto che si vuol vedere.

Se il cittadino sbaglia ad indirizzare la richiesta, è compito dell’ufficio ricevente trasmetterlo all’ufficio competente. Se la domanda è incompleta, l’ufficio deve invitare il cittadino a completarla indicandogli le cose da regolarizzare.

Nella domanda devono essere indicati le generalità di chi fa la richiesta, gli estremi più precisi possibili dell’atto che si vuol vedere,  la motivazione dell’interesse per il quale si fa la domanda. Se ci si limita solo a richiedere di voler visionare l’atto non si deve pagare nulla. Se si chiedono fotocopie, si pagheranno le spese relative alla fotoriproduzione nonché gli eventuali diritti di ricerca e visura.

Finito il tempo in cui le pratiche si perdevano, s’insabbiavano o finivano in un meccanismo perverso che delegittimava le attese del cittadino, oggi si ha il diritto di conoscere in termini molto brevi non solo l’esito di ogni istanza presentata ma anche il nominativo del responsabile del procedimento cioè dell’impiegato che tratta la pratica.

Per quanto riguarda i termini, l’amministrazione deve pronunciarsi sulla domanda di accesso entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta.

Se la domanda è accolta, l’ufficio ricevente comunicherà al cittadino che entro 15 giorni potrà esercitare il diritto di accesso indicandogli dove deve recarsi per prendere visione dell’atto o estrarre le fotocopie. Decorsi inutilmente i 30 giorni senza che l’amministrazione si sia pronunciata, il silenzio ha il valore di rifiuto. Se invece l’ufficio decide di comunicare per iscritto che l’istanza è stata rigettata, deve motivare adeguatamente tale decisione.

Contro il rigetto, entro 30 giorni, si può fare ricorso al T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale) che dovrà (dovrebbe) pronunciarsi entro i successivi 30 giorni.

Se il giudice amministrativo accoglierà il ricorso, ordinerà alla pubblica amministrazione di mettere gli atti richiesti a disposizione del cittadino che ne aveva fatto richiesta. Contro le decisione del T.A.R. si può proporre appello al Consiglio di Stato entro 30 giorni che si pronuncerà con la stessa procedura del T.A.R.

Nei giudizi in materia di accesso le parti possono agire senza l’assistenza di un difensore mentre l’Amministrazione può essere rappresentata da un suo dipendente, purchè con la qualifica di Dirigente.

Il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti dal segreto di Stato e negli altri casi individuati ed elencati dalle singole Amministrazioni.

Senza entrare nella elencazione della casistica sottratta al diritto di accesso, (indicata nell’art.24 della legge) possiamo dire in linea generale che il Governo può sottrarre a tale diritto gli atti relativi alla sicurezza e alla difesa nazionale, alla politica monetaria del Paese, alla tutela dell’ordine pubblico ed alla repressione della criminalità, all’attività di polizia giudiziaria, alla vita privata di persone fisiche, giuridiche, enti, associazioni, imprese, etc…

Il diritto di accesso – o comunque la semplice visione degli atti che interessano - deve essere comunque garantito quando la conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. La pubblica amministrazione non può negare l’accesso ove sia sufficiente adottare un provvedimento di differimento, cioè di rinvio ad altra data della facoltà di accesso presentata dal cittadino. Differimento significa rinviare per il momento la possibilità di vedere gli atti, stante che l’interesse pubblico in quel momento è prevalente rispetto all’interesse del privato cittadino.

L’applicazione della normativa è in diretta relazione con l’organizzazione dei singoli uffici e con l’impegno dei dirigenti di rimuovere tutti gli ostacoli per favorirne la piena applicazione. Il cittadino deve però sapere che questo suo diritto gli è dovuto, è tutelato ed è stato voluto per abbattere la cortina del mistero che ha caratterizzato l’esercizio del potere da parte di tanti uffici pubblici che non sempre hanno operato nel rispetto della legalità e della trasparenza.