Chi di noi non si è mai trovato impantanato in un ufficio
pubblico dirottato da uno sportello all’altro, da un piano all’altro - fra
lunghe attese e dopo aver fatto e rifatto la fila più volte - per avere un
chiarimento su un atto amministrativo incomprensibile o per ottenere una
certificazione assolutamente indispensabile.
Per anni, e non che oggi la cosa sia del tutto finita,
abbiamo visto naufragare i diritti del cittadino in un mare misterioso che ha
visto lo Stato-padrone riaffermare ogni volta la sua incondizionata supremazia,
utilizzando leggi e procedure note solo ai burocrati.
Con la legge sul diritto di accesso (la famosa 241/90) c’è
stata un’inversione di tendenza, un passaggio epocale, almeno in termini
virtuali. Si è passati da una concezione
autoritativa della Pubblica Amministrazione ad una gestione
partecipativa sempre più vicina al cittadino, più rispettosa dei suoi diritti e
delle sue aspettative.
Rivoluzionando ideologicamente una cultura ultrasecolare, lo
Stato ha dismesso mezze maniche e palandrane e si è data una nuova
organizzazione imponendola anche ai suoi impiegati e dirigenti, non più
titolari di un rapporto di supremazia speciale nei confronti del cittadino
utente.
Possiamo dire che la Pubblica Amministrazione ha messo un
vestito nuovo per offrire un’immagine di affidabilità, trasparenza e
pubblicità, per erogare un servizio di qualità al cittadino che da destinatario
passivo dell’attività amministrativa si è trasformato in cliente attivo, con
una propria visibilità e dignità.
Non è stato facile modificare una mentalità secolare ma
bisogna riconoscere che il legislatore ha voluto perseguire fermamente quest’obiettivo
determinando una vera e propria rivoluzione culturale che ha ribaltato la
regola del segreto con quella della trasparenza. Il “palazzo” ha perso la sua
secolare impermeabilità, il suo mistero ed è diventato una “casa di cristallo”.
Alla regola del segreto si è sostituita quella della conoscenza e della
trasparenza.
La pietra miliare del diritto di accesso è stata la legge 7
agosto 1990 n.241 – più volte integrata – che al suo articolo 22 stabilisce che chiunque abbia un interesse
giuridicamente rilevante ha diritto di accesso agli atti della pubblica
amministrazione “al fine di assicurare la trasparenza dell’attività
amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale”.
Per diritto di accesso si intende il diritto degli
interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi
che li riguardano.
Con il termine “chiunque” si intende un cittadino italiano,
uno straniero, un apolide, un’associazione, un gruppo di privati, i mass-media
purchè abbiano un interesse giuridicamente rilevante collegato al documento di
cui si chiede l’accesso, interesse che non deve significare evidentemente
semplice curiosità.
Dal diritto di accesso va distinto il diritto di prendere
visione degli atti del procedimento per partecipare alla sua definizione. Il
primo, previa richiesta motivata, si esercita dopo che il provvedimento è stato
emesso, ha per oggetto l’esame dei documenti ed è diretto a controllare che
tutto si sia svolto con trasparenza ed imparzialità. Il secondo può essere
esercitato solo dal soggetto direttamente interessato ed è finalizzato a
consentirgli addirittura di partecipare all’istruzione, alla preparazione e
alla elaborazione del provvedimento in maniera da garantirgli la massima tutela
giuridica contro eventuali abusi, dimenticanze ed omissioni dell’Ufficio che
sta istruendo e completando la redazione dell’atto.
La domanda di accesso, redatta in carta semplice, va
presentata all’ufficio che è in possesso – o che si ritiene sia in possesso -
dell’atto che si vuol vedere.
Se il cittadino sbaglia ad indirizzare la richiesta, è
compito dell’ufficio ricevente trasmetterlo all’ufficio competente. Se la
domanda è incompleta, l’ufficio deve invitare il cittadino a completarla
indicandogli le cose da regolarizzare.
Nella domanda devono essere indicati le generalità di chi fa
la richiesta, gli estremi più precisi possibili dell’atto che si vuol
vedere, la motivazione dell’interesse
per il quale si fa la domanda. Se ci si limita solo a richiedere di voler
visionare l’atto non si deve pagare nulla. Se si chiedono fotocopie, si
pagheranno le spese relative alla fotoriproduzione nonché gli eventuali diritti
di ricerca e visura.
Finito il tempo in cui le pratiche si perdevano,
s’insabbiavano o finivano in un meccanismo perverso che delegittimava le attese
del cittadino, oggi si ha il diritto di conoscere in termini molto brevi non
solo l’esito di ogni istanza presentata ma anche il nominativo del responsabile
del procedimento cioè dell’impiegato che tratta la pratica.
Per quanto riguarda i termini, l’amministrazione deve
pronunciarsi sulla domanda di accesso entro 30 giorni dal ricevimento della
richiesta.
Se la domanda è accolta, l’ufficio ricevente comunicherà al
cittadino che entro 15 giorni potrà esercitare il diritto di accesso
indicandogli dove deve recarsi per prendere visione dell’atto o estrarre le
fotocopie. Decorsi inutilmente i 30 giorni senza che l’amministrazione si sia
pronunciata, il silenzio ha il valore di rifiuto. Se invece l’ufficio decide di
comunicare per iscritto che l’istanza è stata rigettata, deve motivare
adeguatamente tale decisione.
Contro il rigetto, entro 30 giorni, si può fare ricorso al
T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale) che dovrà (dovrebbe) pronunciarsi
entro i successivi 30 giorni.
Se il giudice amministrativo accoglierà il ricorso, ordinerà
alla pubblica amministrazione di mettere gli atti richiesti a disposizione del
cittadino che ne aveva fatto richiesta. Contro le decisione del T.A.R. si può
proporre appello al Consiglio di Stato entro 30 giorni che si pronuncerà con la
stessa procedura del T.A.R.
Nei giudizi in materia di accesso le parti possono agire
senza l’assistenza di un difensore mentre l’Amministrazione può essere
rappresentata da un suo dipendente, purchè con la qualifica di Dirigente.
Il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti dal
segreto di Stato e negli altri casi individuati ed elencati dalle singole
Amministrazioni.
Senza entrare nella elencazione della casistica sottratta al
diritto di accesso, (indicata nell’art.24 della legge) possiamo dire in linea
generale che il Governo può sottrarre a tale diritto gli atti relativi alla
sicurezza e alla difesa nazionale, alla politica monetaria del Paese, alla
tutela dell’ordine pubblico ed alla repressione della criminalità, all’attività
di polizia giudiziaria, alla vita privata di persone fisiche, giuridiche, enti,
associazioni, imprese, etc…
Il diritto di accesso – o comunque la semplice visione degli
atti che interessano - deve essere comunque garantito quando la conoscenza sia necessaria
per curare o per difendere i propri interessi giuridici. La pubblica
amministrazione non può negare l’accesso ove sia sufficiente adottare un
provvedimento di differimento, cioè di rinvio ad altra data della facoltà di
accesso presentata dal cittadino. Differimento significa rinviare per il
momento la possibilità di vedere gli atti, stante che l’interesse pubblico in
quel momento è prevalente rispetto all’interesse del privato cittadino.
L’applicazione della normativa è in diretta relazione con l’organizzazione
dei singoli uffici e con l’impegno dei dirigenti di rimuovere tutti gli
ostacoli per favorirne la piena applicazione. Il cittadino deve però sapere che
questo suo diritto gli è dovuto, è tutelato ed è stato voluto per abbattere la
cortina del mistero che ha caratterizzato l’esercizio del potere da parte di
tanti uffici pubblici che non sempre hanno operato nel rispetto della legalità
e della trasparenza.