venerdì 23 maggio 2025

LAVORARE SEMPRE, GUADAGNARE POCO

 Un italiano su tre lavora anche nel fine settimana, ma questo non basta a evitare la povertà. Orari lunghi e salari bassi stanno trasformando il lavoro in una trappola, non in una via d’uscita. Una società sempre più diseguale, dove si lavora troppo, si guadagna poco e si vive peggio.

In Italia, lavorare durante il fine settimana è ormai quasi la norma. Secondo gli ultimi dati Eurostat, ben un lavoratore su tre (30,9%) è attivo anche il sabato e la domenica, una percentuale che ci colloca tra i Paesi con le peggiori condizioni lavorative in Europa. Solo la Grecia fa peggio (32,3%), mentre la media europea si ferma al 19,2%. Un divario che evidenzia una cultura del lavoro in cui il riposo settimanale sta diventando un privilegio, anziché un diritto.

 

La situazione è ancora più gravosa per i lavoratori autonomi: in Italia, quasi il 60% di loro lavora anche nei weekend, contro una media europea del 46,7%. Anche in questo caso, siamo secondi solo alla Grecia.

Non sorprende, allora, che l’Italia risulti tra i Paesi con gli orari lavorativi più lunghi. Il 9,6% dei dipendenti lavora oltre le 49 ore settimanali, ben al di sopra della media europea del 7,1%. La cosiddetta “settimana corta”, di cui si discute sempre più spesso in altri Paesi e che alcune aziende stanno iniziando timidamente a sperimentare anche in Italia, rimane un’utopia per la stragrande maggioranza dei lavoratori.

Ma il vero paradosso è che tutto questo sforzo non basta a uscire dalla povertà. Secondo Eurostat, oltre 11 milioni di italiani vivono in condizioni di indigenza e 5 milioni sono «a rischio di povertà o esclusione sociale». Ciò significa, in base agli indicatori del report, che circa il 10% della popolazione non riesce nemmeno a riscaldare adeguatamente la propria casa, a concedersi una settimana di vacanza all’anno o a fronteggiare spese impreviste.

La povertà colpisce anche chi un lavoro ce l’ha. Nel 2024, il 9% dei lavoratori a tempo pieno guadagna meno del 60% del reddito medio nazionale — un dato ben più alto rispetto alla Germania (3,7%) e quattro volte superiore a quello della Finlandia (2,2%). I più colpiti sono i giovani: l’11,8% dei lavoratori tra i 16 e i 29 anni è considerato povero, così come il 9,3% degli occupati tra i 55 e i 64 anni. Il livello d’istruzione fa una grande differenza: tra i laureati, solo il 4,5% rientra in questa fascia, ma anche questo dato è in crescita rispetto al 3,6% del 2023.

Un altro segnale allarmante è il continuo ampliarsi del divario tra ricchi e poveri. In Italia, il 10% più ricco della popolazione detiene il 24,8% del reddito nazionale, mentre al 10% più povero spetta appena il 2,5%. Un’asimmetria che peggiora anno dopo anno. Non stupisce, dunque, che la povertà sia diventata una condizione “normale” per molti lavoratori italiani. Oggi il lavoro non garantisce più né dignità né sicurezza: a orari più lunghi e maggiore flessibilità non corrispondono retribuzioni adeguate. Si lavora nei fine settimana, si superano le 49 ore settimanali, eppure si resta poveri.

In una recente intervista, la presidente del Consiglio ha affermato che, dall’Unità d’Italia, non ci sono mai stati così tanti occupati come oggi. Ma se quel lavoro è sottopagato, precario, privo di tutele, e non permette neanche di riscaldare la propria casa o fare la spesa senza contare i centesimi, allora è evidente che qualcosa non va.

L’Italia è diventata un Paese dove il lavoro non basta più a garantire una vita dignitosa. La povertà lavorativa cresce, le disuguaglianze si ampliano, e l’introduzione di un salario minimo — richiesta da sindacati e da parte dell’opposizione — resta ancora un tabù per il governo. Eppure, potrebbe essere un primo passo per ridare valore al lavoro e contrastare una deriva che ci sta portando verso una società sempre più diseguale, dove si lavora troppo, si guadagna poco e si vive peggio.

 

https://www.vdnews.it/lavoro/2025/05/12/news/lavorare-sempre-guadagnare-poco-19181745/