150 anni di questione meridionale sono abbastanza.
Il Sud è
il primo nemico di se stesso. Che fa spallucce alle negligenze, che dimentica
gli scandali, che subisce e sopporta, che non crede in sé, che “così è sempre
stato”, che chiude un occhio e anche due, che odia i furbi tranne quando si
crede furbo.
BLOG
di Fabio Manenti – Il Fatto quotidiano – 9 gennaio
2018
Per invecchiare di un’intera generazione, il Sud impiegherà una settimana, forse meno. Una muta al rovescio che, finite le feste, scuoia via la pelle più giovane e la fa raggrinzita come sulle braccia di chi è sempre rimasto. Dopo ogni Natale, migliaia di ragazzi portatori sani di idee, energie, entusiasmi salgono su treni stanchi e vanno via.
Ciao mare ciao,ciao madre ciao,
ciao futuro ciao.
Tra banchine di ruggine, studenti
fuorisede spezzano le famiglie salutandole con abbracci fitti fitti.
Di colpo,
mezza Italia si svuota della sua parte
migliore, si fa più povera. In tutti i sensi. Dal fondo delle
classifiche economiche, dove è inchiodato e lo sarà sempre, il Sud finanzia aerei coi prezzi
decollati nei giorni della diaspora,
vagoni senza posto e senza scampo per chi non prenota con mesi di anticipo,
traversate su gomma lunghe da mezzogiorno all’alba. Ma è solo l’inizio: per
tutto l’anno, il Meridione pagherà
affitti a mano armata, stipendierà atenei che ringrazieranno
con stage non retribuiti, verserà rimesse all’incontrario, perché chi emigra
nelle università non manda denaro ma ne consuma.
La spesa vera e gigante, però, è
incalcolabile. Chi studia, ed è bravo,
non torna. Semmai muta da studente a lavoratore, ma sempre
fuorisede. Se l’Italia piange i cervelli in fuga, il Sud ha di che disperarsi
mentre perde contemporaneamente l’innovazione e la tradizione, da tramandare
più a nessuno. Le
previsioni demografiche dell’Istat fanno andar via anche le speranze: da oggi al 2065, da Roma in giù
calerà del 13% la
popolazione in età da lavoro soppiantata da un +15% di anziani; così quella che adesso è la macroarea
più giovane, con un’età media di 43 anni, sarà la più attempata. Statica e coi
figli lontani, dovrà badare a se stessa o lasciarsi accudire da gioventù
straniere venute dal mare.
“Colpa dello Stato” si dice, ed è vero. Basta uno
sguardo alle infrastrutture di Sicilia ed Emilia per capire che il gap è mostruoso e ingiusto. Si dice, ma
non è tutto. Perché anche le madri e i padri e i nonni che
salutano con occhi grondanti d’affetto i figli che rivedranno (forse) la
domenica di Pasqua e in villeggiatura ad agosto, sono colpevoli. Il Sud è il primo nemico
di se stesso. Che fa spallucce alle negligenze, che dimentica gli scandali, che
subisce e sopporta, che non crede in sé, che “così è sempre stato”, che chiude
un occhio e anche due, che odia i furbi tranne quando si crede furbo. Ognuno è
artefice del suo destino, ognuno ha il compito di lasciare un mondo migliore ai
propri figli, pulito dove prima era sporco. Invece, secondo il
Check-up Mezzogiorno di Confindustria
dello scorso dicembre “l’indice di progresso sociale elaborato dalla
Commissione europea vede tutte le regioni meridionali nella parte bassa della
classifica, penalizzate soprattutto dagli indicatori della categoria
Opportunità”. E allora, ragazzi, non ci resta che tornare.
Dobbiamo tornare. Creare noi quelle
opportunità che latitano più delle mafie, invertire il flusso incanalando verso
il basso ciò che abbiamo imparato nei libri, sul campo, appreso nella
mentalità. Progettare ciascuno il piano con cui ricompensare la nostra terra
con le competenze, le abilità, l’intraprendenza, la voglia, il coraggio, anche
di fallire. Copiare il meglio del
Nord e incollarlo al Sud, adattandolo e migliorandolo ancora.
Il Nord è stato una necessità, è stato un’opportunità, ma oggi per il Sud è un vizio. Centocinquant’anni di questione meridionale, francamente, bastano. Chi salverà il Sud se non i suoi figli?
Il Nord è stato una necessità, è stato un’opportunità, ma oggi per il Sud è un vizio. Centocinquant’anni di questione meridionale, francamente, bastano. Chi salverà il Sud se non i suoi figli?