lunedì 15 gennaio 2018

IL BAMBINO DI NAGASAKY


Sull’aereo che lo porta oggi in Cile, Papa Francesco ha fatto consegnare ai giornalisti la foto del bambino di Nagasaky, fotografato nel 1945 da Joe O’Donnel. Sulle spalle ha il fratellino morto ed è il simbolo della guerra nucleare che anche il Papa teme possa scoppiare all’improvviso.

 
Renato Paone

La testa inclinata, il volto sereno, rilassato. Il bimbo sembra dormire sulle spalle del fratello, che rimane immobile. Sembra quasi non voglia disturbare il sonno del piccolo. Ma il fratellino è morto, e il bambino, che ha appena 10 anni, sta aspettando che venga cremato. Una storia immortalata nel 1945 dalla macchina fotografica di Joe O’Donnell, giornalista e fotografo americano che lavorò per la United States Information Agency, inviato in Giappone per documentare gli effetti delle due bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki.



Uno scatto che vale più di mille parole. Una foto che racconta in un silenzio assordante, come solo una foto può fare, la tragicità della guerra, descritta negli occhi spenti di un ragazzino orfano di dieci anni. Un’immagine che scosse profondamente il fotografo, che raccontò la scena nel corso di un’intervista a un’emittente giapponese: “Vidi questo bambino che camminava, avrà avuto all’incirca 10 anni. Notai che trasportava un bimbo sulle spalle. In quei giorni, era una scena abbastanza comune da vedere in Giappone, spesso incrociavamo bambini che giocavano con i loro fratellini e sorelline portandoli sulle spalle. Ma quel bambino aveva qualcosa di diverso”.

Lui, infatti, non sta giocando, è lì per una ragione. Scalzo, i vestiti rovinati, lo sguardo fisso, stoico. Nessuna emozione traspare da quel bambino, che rimane così, immobile, per circa 10 minuti, con il piccolo cadavere sulle spalle. Poi gli uomini con le mascherine bianche addetti alla cremazione si avvicinano: con estrema delicatezza sciolgono le fasce che legano il bimbo alla schiena del fratello. Lo prendono per le mani e i piedi e lo posano sulle fiamme.

Il fratello osserva la scena, non batte ciglio. Un unico movimento impercettibile delle labbra, che sanguinano. Si sta mordendo il labbro inferiore. Ma non versa una lacrima. La fiamma cala di intensità, come il sole al tramonto. Il bambino si volta e se ne va in silenzio, così com’è arrivato.

La storia di questo bambino sconvolse profondamente O’Donnell. Dopo aver passato sette mesi a raccontare le vite e le morti di un Giappone martoriato, si convinse che fu un errore usare l’atomica. Una volta tornato in America, provò a dimenticare tutto quello che vide. Poi, circa 20 anni fa, decise di condividere con il mondo le sue foto, nella speranza che gli errori del passato non si ripetessero in futuro.

In un’intervista del 1995 all’emittente giapponese Nhk Tv, nel 50esimo anniversario dell’attacco americano, Joe si scusò con il popolo giapponese, in particolare con i famigliari delle vittime dei bombardamenti: “Voglio esprimervi questa sera il mio dolore e rammarico per il dolore e la sofferenza causata dai crudeli e inutili bombardamenti atomici delle vostre città … Mai più Pearl Harbor! Mai più Hiroshima! Mai più Nagasaki!”.
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