Sull’aereo che lo porta oggi in Cile, Papa Francesco ha
fatto consegnare ai giornalisti la foto del bambino di Nagasaky, fotografato
nel 1945 da Joe O’Donnel. Sulle spalle ha il fratellino morto ed è il simbolo
della guerra nucleare che anche il Papa teme possa scoppiare all’improvviso.
Renato Paone
La testa
inclinata, il volto sereno, rilassato. Il bimbo sembra dormire sulle spalle del
fratello, che rimane immobile. Sembra quasi non voglia disturbare il sonno del
piccolo. Ma il fratellino è morto, e il bambino, che ha appena 10 anni, sta
aspettando che venga cremato. Una storia immortalata nel 1945 dalla macchina
fotografica di Joe O’Donnell, giornalista e fotografo americano che lavorò per
la United States Information Agency, inviato in Giappone per documentare gli
effetti delle due bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki.
Uno
scatto che vale più di mille parole. Una foto che racconta in un silenzio
assordante, come solo una foto può fare, la tragicità della guerra, descritta
negli occhi spenti di un ragazzino orfano di dieci anni. Un’immagine che scosse
profondamente il fotografo, che raccontò la scena nel corso di un’intervista a
un’emittente giapponese: “Vidi questo bambino che camminava, avrà avuto
all’incirca 10 anni. Notai che trasportava un bimbo sulle spalle. In quei
giorni, era una scena abbastanza comune da vedere in Giappone, spesso
incrociavamo bambini che giocavano con i loro fratellini e sorelline portandoli
sulle spalle. Ma quel bambino aveva qualcosa di diverso”.
Lui,
infatti, non sta giocando, è lì per una ragione. Scalzo, i vestiti rovinati, lo
sguardo fisso, stoico. Nessuna emozione traspare da quel bambino, che rimane così,
immobile, per circa 10 minuti, con il piccolo cadavere sulle spalle. Poi gli
uomini con le mascherine bianche addetti alla cremazione si avvicinano: con
estrema delicatezza sciolgono le fasce che legano il bimbo alla schiena del
fratello. Lo prendono per le mani e i piedi e lo posano sulle fiamme.
Il
fratello osserva la scena, non batte ciglio. Un unico movimento impercettibile
delle labbra, che sanguinano. Si sta mordendo il labbro inferiore. Ma non versa
una lacrima. La fiamma cala di intensità, come il sole al tramonto. Il bambino
si volta e se ne va in silenzio, così com’è arrivato.
La
storia di questo bambino sconvolse profondamente O’Donnell. Dopo aver passato
sette mesi a raccontare le vite e le morti di un Giappone martoriato, si
convinse che fu un errore usare l’atomica. Una volta tornato in America, provò
a dimenticare tutto quello che vide. Poi, circa 20 anni fa, decise di
condividere con il mondo le sue foto, nella speranza che gli errori del passato
non si ripetessero in futuro.
In
un’intervista del 1995 all’emittente giapponese Nhk Tv, nel 50esimo
anniversario dell’attacco americano, Joe si scusò con il popolo giapponese, in
particolare con i famigliari delle vittime dei bombardamenti: “Voglio
esprimervi questa sera il mio dolore e rammarico per il dolore e la sofferenza
causata dai crudeli e inutili bombardamenti atomici delle vostre città … Mai
più Pearl Harbor! Mai più Hiroshima! Mai più Nagasaki!”.
http://www.huffingtonpost.it/