venerdì 5 aprile 2013

ABBIAMO MESSO GLI SVIZZERI IN MUTANDE


Aldo Maturo
 
Prima ci hanno chiamato topi,   ci hanno rappresentato mentre sforacchiamo tutto il loro formaggio ed hanno lanciato una campagna di "derattizzazione" contro gli italiani frontalieri che tutte le mattine attraversano la frontiera per andare a lavorare nella terra del formaggio e del cioccolato.
Ora, con la nuova campagna antitaliana, organizzata dall’UDC – partito dell’ultradestra - ci accusano di averli messi in mutande ed attaccano di nuovo le migliaia e migliaia di lavoratori italiani che vanno a lavorare ogni giorno in Svizzera occupando posti nel terziario, invece di dedicarsi alle  mansioni meno gratificanti e più umilianti che gli svizzeri gli lascerebbero volentieri.




“SIAMO IN MUTANDE” per colpa degli italiani – dicono i loro slogan -  ed anzi ampliano il campo e contestano l’accordo di Schengen che ha consentito la libera circolazione anche in Svizzera. La parola d’ordine è : “I criminali stranieri devono immediatamente lasciare il nostro Paese”, e spero che anche stavolta non si riferiscano a noi.
La storia amara dei nostri lavoratori in Svizzera viene da lontano. Un loro scrittore, Max  Frisch, parlando di noi aveva scritto “aspettavamo delle braccia sono arrivati degli uomini”.

E’ forse anche per questo che sono ancora indesiderabili quei  nostri “frontalieri” che ogni giorno vanno nella  terra promessa con gli stipendi che si dice essere i più alti del mondo.
Chissà se  questi italiani  hanno avuto un brivido quando si sono sentiti chiamare "topi"o quando si sono sentiti "indesiderati". Chissà se avranno prese le distanze dai tanti slogan sentiti la sera prima nei bar sotto casa contro i terroni del sud e gli stranieri accusati di delinquere e di rubare il lavoro agli altri. E’ proprio vero che siamo tutti a sud di qualcun altro.
Cara, vecchia Svizzera. Il suo “amore” per l’Italia non cambia mai. E pensare che secondo i dati del 2009 circa un terzo della loro popolazione residente risultava immigrata o discendente di immigrati, con una presenza di 298.000 italiani. I soli frontalieri sono un quinto della loro popolazione attiva.
Da ricordare che nei “vicini” anni ’70 in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai  genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che  raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.
Sono passati alcuni anni ma evidentemente è ancora attuale il discorso di chi scriveva da quelle parti :  “…mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».