Prima ci hanno chiamato topi, ci hanno rappresentato mentre sforacchiamo tutto il loro formaggio ed hanno lanciato una campagna di "derattizzazione" contro gli italiani frontalieri che tutte le mattine attraversano la frontiera per andare a lavorare nella terra del formaggio e del cioccolato.
Ora, con la nuova
campagna antitaliana, organizzata dall’UDC – partito dell’ultradestra - ci
accusano di averli messi in mutande ed attaccano di nuovo le migliaia e
migliaia di lavoratori italiani che vanno a lavorare ogni giorno in Svizzera
occupando posti nel terziario, invece di dedicarsi alle mansioni meno
gratificanti e più umilianti che gli svizzeri gli lascerebbero volentieri.
“SIAMO IN MUTANDE” per colpa degli
italiani – dicono i loro slogan - ed anzi ampliano il campo e contestano
l’accordo di Schengen che ha consentito la libera circolazione anche in
Svizzera. La parola d’ordine è : “I criminali stranieri devono immediatamente
lasciare il nostro Paese”, e spero che anche stavolta non si riferiscano a noi.
La storia amara dei
nostri lavoratori in Svizzera viene da lontano. Un loro scrittore, Max
Frisch, parlando di noi aveva scritto “aspettavamo delle braccia sono
arrivati degli uomini”.
E’ forse anche per
questo che sono ancora indesiderabili quei nostri “frontalieri” che ogni
giorno vanno nella terra promessa con gli stipendi che si dice essere i
più alti del mondo.
Chissà se
questi italiani hanno avuto un brivido quando si sono sentiti chiamare
"topi"o quando si sono sentiti "indesiderati". Chissà se
avranno prese le distanze dai tanti slogan sentiti la sera prima nei bar sotto
casa contro i terroni del sud e gli stranieri accusati di delinquere e di
rubare il lavoro agli altri. E’ proprio vero che siamo tutti a sud di qualcun
altro.
Cara, vecchia
Svizzera. Il suo “amore” per l’Italia non cambia mai. E pensare che secondo i
dati del 2009 circa un terzo della loro popolazione residente risultava
immigrata o discendente di immigrati, con una presenza di 298.000 italiani. I
soli frontalieri sono un quinto della loro popolazione attiva.
Da ricordare che nei
“vicini” anni ’70 in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani
clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti,
calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i
ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini
che raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere,
non giocare, non piangere.
Sono passati alcuni
anni ma evidentemente è ancora attuale il discorso di chi scriveva da
quelle parti : “…mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte
che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura
lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo
respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i
lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il
primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale.
Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi
la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo
sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».