Sono
in molti a sentire nella vita politica italiana l’odore, o meglio la puzza, del
colpo di Stato. Ma se un generale andasse in tv a proclamare la legge marziale,
gli italiani cambierebbero canale. Le ipotesi del Gen. Fabio Mini, riportate sul
N. 4 di “Limes”, rivista italiana di geopolitica, nel 2013. Chissà quanti
italiani lo hanno pensato.
Il Gen. Corpo D'Armata Fabio Mini * |
Liberamente tratto dall'articolo sopracitato
“Da almeno trent'anni non si sentiva
l'accorato appello ai militari: «Ma perché non lo fate voi un bel colpo di
Stato, che così azzeriamo tutto e ripartiamo da capo». Trent'anni fa i
militari in genere rispondevano: «Noi non facciamo colpi di Stato. Siamo fedeli
alla costituzione, siamo sopra le parti, siamo sottomessi al potere politico,
siamo Forze armate democratiche». Sapevano di non essere convincenti, ma
percepivano il tranello. Chi li invitava al colpo di Stato voleva sentirsi dire
che non l'avrebbero mai fatto. Ed era vero, ma non per i motivi che venivano
dichiarati.”(…)
“Trent'anni fa c'erano
quasi trecentomila uomini alle armi, i carabinieri erano la prima arma
dell'Esercito, e i compiti di polizia militare erano di pari importanza a
quelli di polizia territoriale. (…) Ogni fetta di territorio italiano, tra
comandi dell'Esercito e dei carabinieri aveva un comandante militare che
rispondeva direttamente al vertice militare e politico.(…) I servizi
segreti si alimentavano dalle Forze armate e gli ufficiali «I» dei battaglioni
e reggimenti erano altrettante emanazioni sul territorio dell'occhio vigile
dello Stato. (…)
(…) “Nel 1982
l'Esercito di leva obbligatoria mandò i suoi soldati in Libano, con gli elmetti
e i mezzi da combattimento verniciati di bianco tanto per essere sicuri che i
cecchini non li mancassero. Fu un successo. Nel
1991 una brigata doveva andare nella guerra del Golfo: era già pronta e
addestrata, poi un ministro, cadendo dalle nuvole, disse che non sapeva che i
soldati fossero di leva e non se ne fece niente. Andarono soltanto un pugno di
forze speciali e dieci aerei Tornado di cui uno non tornò affatto. Nel 1992
dovemmo mandare i nostri contingenti in Somalia. Dovevano essere tutti
volontari. Era una pura idiozia che copriva l'ipocrisia di una classe politica
incapace di assumersi le proprie responsabilità”. (...)
(….) “trent'anni
fa i soldati erano classificati in affidabili e non affidabili in relazione
all'orientamento politico. Ma poi la notte, quando suonava l'allarme e
bisognava prepararsi in mezz'ora e uscire dalla caserma in assetto di guerra,
c'erano tutti.
Si facevano tre tipi di
esercitazioni d'allarme: di difesa, d'intervento per pubbliche calamità e per
emergenza interna. (…) La differenza era nello scopo e nel piano d'attuazione
che in genere era noto nei dettagli soltanto a pochi ufficiali e comandanti. Trent'anni
fa l'emergenza interna per disordini o sovvertimenti istituzionali prevedeva lo
schieramento delle unità operative in zone predisposte mentre un centinaio di
nuclei di collegamento formati da ufficiali armati si presentavano ai prefetti
e, a seconda della situazione, o si mettevano a disposizione o comunicavano
l'assunzione dei poteri civili da parte dell'autorità militare.
Legalmente era
l'intervento a salvaguardia dello Stato, tecnicamente era simile a un colpo di
Stato. Per i soldati e gli ufficiali era uno dei tanti esercizi di prontezza
operativa. Nessuno spiegava ai soldati la situazione da affrontare e come si
fosse arrivati a tale misura. Nessuno discuteva, nessuno sapeva se la decisione
fosse stata presa dal governo o dall'amica del generale o del presidente, se la
Cia fosse stata avvertita, se l'ambasciata americana fosse d'accordo e quali
condizioni avesse dettato Kissinger. Nessuno sapeva se gli altri capi di Stato
maggiore fossero parte del piano e se qualcuno fosse già andato in Spagna a
trovare Skorzeny per consigli sul da farsi, o se Gladio fosse della partita”.
(...)
(…) “Intere unità si spostavano da una parte all'altra
del paese, si presidiavano i punti nevralgici della rete elettrica, della
produzione e delle comunicazioni. Ad ogni emergenza si prendevano armi e
bagagli e si partiva. Si sapeva soltanto che durante la notte un messaggio
cifrato in codice Manfredi aveva buttato giù dal letto l'ufficiale I del
reggimento. Il messaggio decifrato era altrettanto sibillino: attuare piano X,
stato Y, misura Z. Poi i comandanti aprivano le casseforti, rompevano i sigilli
ad altrettante buste ed eseguivano gli ordini contenuti. Era una sorta di rito
religioso. Bisognava fare attenzione a prendere le buste giuste. Una
manomissione della busta sbagliata comportava guai infiniti”. (...)
Il generale guarda anche
al presente e azzarda qualche previsione sul futuro(…) “Le occasioni e le
capacità tecniche per una dimostrazione di forza non mancherebbero. Con le
operazioni di difesa dei punti sensibili come quella denominata Testuggine ogni
reparto militare ha una conoscenza diretta dei punti vulnerabili del proprio
territorio. Ogni giorno il cambio della guardia al Quirinale e la
turnazione dei servizi di guardia alle ambasciate affidati all'Esercito
mobilitano per Roma centinaia di mezzi militari. La parata del 2 giugno
mobilita migliaia di soldati e mezzi di ogni tipo. La festa dell'Arma dei
carabinieri raccoglie tutte le più importanti cariche dello Stato che
volontariamente si ficcano nel recinto di piazza di Siena. I soldati sono
addestrati più ai posti di blocco e al cordon and search che all'assalto
contro una posizione nemica. Un reparto ben addestrato potrebbe facilmente
isolare e perquisire un intero quartiere. Ma non è detto che i punti sensibili
conosciuti coincidano con quelli d'importanza strategica ai fini di un colpo di
Stato” (…)
(…)“non è detto
neppure che ci siano comandanti disposti ad assumere la responsabilità di tali
operazioni. Non perché siano tutti convinti guardiani della costituzione, ma
perché molti sarebbero incerti dell'esito e diffidenti gli uni degli altri.
Perché, per quanto autorevoli, non ci sono capi credibili per un'azione di
forza, né leader carismatici in grado di coagulare un nucleo sia pur ristretto
di gente capace. Perché nessun militare oggi saprebbe cosa fare appena assunto
il potere militare anche in una forma semilegale di emergenza. Nessuno
possiede le conoscenze per esercitare i poteri civili e nessun civile di buon
senso si affiderebbe a un militare. (...) Ci sarebbero però tre casi possibili
per un intervento delle Forze armate: la risposta a un tentativo di golpe,
un contro-golpe e un auto-golpe. In tutti questi casi le Forze armate
dovrebbero essere chiamate da un'autorità legittima a intervenire e assumere
l'onere dell'ordine pubblico e di alcuni servizi essenziali come i tribunali
speciali, i campi di confino o le epurazioni.
Ma ognuno di questi casi
comporta il forte rischio di guerra civile e deve avere una preparazione di
base che nessuno ha finora ricevuto. Ad ogni modo, per un colpo di Stato
militare di qualsiasi tipo nell'attuale situazione italiana è forse troppo
tardi. Forse altri ci hanno già pensato senza scomodare i fucili. Sono in
troppi a sentirne la puzza e il colpo di Stato è come la scorreggia: quando
senti la puzza è già fatta e chi la sente per primo è chi l'ha fatta”.
*
Il Generale di Corpo d'Armata
Fabio Mini è stato Capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e
a partire dal gennaio
2001
ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall'ottobre 2002 all'ottobre 2003 è stato comandante delle
operazioni di pace in Kosovo
a guida NATO,
nell'ambito della missione KFOR. (Wikipedia)