L’obbligo di soccorso in
mare è previsto dal diritto internazionale, dalla Convenzione delle Nazioni
Unite sul diritto del mare (CNUDM) e dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca
e il soccorso in mare (SAR) (entrambe ratificate dall’Italia e che nel nostro
ordinamento hanno valore di legge, anzi superiore alla legge per l’art. 117
Cost.). Per previsione espressa di quest’ultima Convenzione il soccorso si
conclude solo con lo sbarco delle persone in un porto sicuro, che è un porto in
cui la loro vita non è più in pericolo e i diritti umani fondamentali sono loro
garantiti.
Globalist
29
giugno 2019
Francesca De Vittor, Docente di Diritto
Internazionale e Diritti dell'Uomo all'Università Cattolica di Roma, su Cattolica News
"Nonostante la si accusi ora di aver violato
le leggi dello Stato italiano, e in particolare il divieto di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina previsto dall’art. 12 del d.lgs. 186/1998 e il
divieto di ingresso imposto dal Ministro dell’Interno sul fondamento del DL
53/2019, c.d. sicurezza-bis, la comandante Rackete, fin dall’inizio dei
soccorsi, non ha fatto altro che rispettare un obbligo imposto dal diritto
internazionale e dalle leggi sia italiane sia del suo stato di bandiera.
Ciò
che in tutta questa vicenda appare invece manifestamente illegittimo, sia dal
punto di vista del diritto costituzionale italiano sia del diritto
internazionale è proprio il c.d. decreto sicurezza bis" spiega la
docente.
"L’obbligo di soccorso in mare è previsto sia dal diritto internazionale consuetudinario (che nel nostro ordinamento ha valore di diritto costituzionale in base al rinvio operato dall’art. 10 Cost.), sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM) e dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR) (entrambe ratificate dall’Italia e che nel nostro ordinamento hanno valore di legge, anzi superiore alla legge per l’art. 117 Cost.). Per previsione espressa di quest’ultima Convenzione il soccorso si conclude solo con lo sbarco delle persone in un porto sicuro, che è un porto in cui la loro vita non è più in pericolo e i diritti umani fondamentali sono loro garantiti".
Com'è noto, l'unico porto che aveva dato la sua disponibilità era il porto di Tripoli in Libia, che - lo ripetiamo per la centesima volta - non è un porto sicuro: lo ha ripetuto l'Onu, Medici Senza Frontiere, Bruxelles, lo stesso ministro Moavero.
E infatti la docente ribadisce: "come deciso dal GIP di Trapani in una recente sentenza l’essere riportati in Libia avrebbe costituito un’offesa ingiusta alla quale i migranti stessi avrebbero potuto opporsi anche con la forza in legittima difesa (art. 52 c.p.).
"L’obbligo di soccorso in mare è previsto sia dal diritto internazionale consuetudinario (che nel nostro ordinamento ha valore di diritto costituzionale in base al rinvio operato dall’art. 10 Cost.), sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM) e dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR) (entrambe ratificate dall’Italia e che nel nostro ordinamento hanno valore di legge, anzi superiore alla legge per l’art. 117 Cost.). Per previsione espressa di quest’ultima Convenzione il soccorso si conclude solo con lo sbarco delle persone in un porto sicuro, che è un porto in cui la loro vita non è più in pericolo e i diritti umani fondamentali sono loro garantiti".
Com'è noto, l'unico porto che aveva dato la sua disponibilità era il porto di Tripoli in Libia, che - lo ripetiamo per la centesima volta - non è un porto sicuro: lo ha ripetuto l'Onu, Medici Senza Frontiere, Bruxelles, lo stesso ministro Moavero.
E infatti la docente ribadisce: "come deciso dal GIP di Trapani in una recente sentenza l’essere riportati in Libia avrebbe costituito un’offesa ingiusta alla quale i migranti stessi avrebbero potuto opporsi anche con la forza in legittima difesa (art. 52 c.p.).
Una
volta chiarito che verso Tripoli la Sea Watch non avrebbe in alcun caso potuto
dirigersi, la comandante si è lecitamente diretta verso il porto sicuro più
vicino, e quindi Lampedusa. Tutti gli stati membri della Convenzione SAR hanno
l’obbligo di cooperare affinché il comandante della nave che ha prestato
soccorso sia liberato dalla propria responsabilità (ovvero possa far sbarcare
le persone soccorse) nel minor tempo possibile e con la minor deviazione dalla
propria rotta".
Riguardo al destino della Comandante e dell'equipaggio, la De Vittor scrive: "Starà alla magistratura valutare eventuali responsabilità penali a carico della comandante e dell’equipaggio della nave, ma è presumibile che anche qualora eventuali comportamenti illeciti siano constatati venga comunque riconosciuta la scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.) o dell’aver commesso il fatto in adempimento di un dovere (art. 51 c.p.). Va in ogni caso ricordato che in nessuno dei casi in cui sono state aperte indagini a carico di Ong per i soccorsi in mare si è mai giunti a una condanna".
"Se di responsabilità si vuole parlare" conclude la docente, "sarebbe meglio parlare di quelle dell’Italia. Va infatti considerato che la nave, probabilmente già da prima, ma sicuramente da quando è entrata nelle acque territoriali italiane, si trova sotto la giurisdizione dell’Italia per l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo pertanto il prolungarsi del trattenimento a bordo della nave dei migranti, già estremamente provati, integra da parte dello Stato italiano una violazione dell’art. 3 e dell’art. 5 della Convenzione".
Riguardo al destino della Comandante e dell'equipaggio, la De Vittor scrive: "Starà alla magistratura valutare eventuali responsabilità penali a carico della comandante e dell’equipaggio della nave, ma è presumibile che anche qualora eventuali comportamenti illeciti siano constatati venga comunque riconosciuta la scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.) o dell’aver commesso il fatto in adempimento di un dovere (art. 51 c.p.). Va in ogni caso ricordato che in nessuno dei casi in cui sono state aperte indagini a carico di Ong per i soccorsi in mare si è mai giunti a una condanna".
"Se di responsabilità si vuole parlare" conclude la docente, "sarebbe meglio parlare di quelle dell’Italia. Va infatti considerato che la nave, probabilmente già da prima, ma sicuramente da quando è entrata nelle acque territoriali italiane, si trova sotto la giurisdizione dell’Italia per l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo pertanto il prolungarsi del trattenimento a bordo della nave dei migranti, già estremamente provati, integra da parte dello Stato italiano una violazione dell’art. 3 e dell’art. 5 della Convenzione".
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Nel condividere tutta l’elaborazione
dottrinaria in materia di diritto internazionale, non si può non evidenziare,
comunque, che la manovra di attracco della Sea Watch al molo del porto di
Lampedusa è stata avventata ed effettuata in spregio a qualunque norma del
Codice della Navigazione. Aver tentato di schiacciare la motovedetta della
Guardia di Finanza tra la sua nave e il molo è stata una manovra piratesca e
deve essere punita ( Aldo Maturo )