Ricattati dalla Libia con seimila migranti? È quel che ci meritiamo per i
disastri che abbiamo combinato. Il nodo della Libia è venuto al pettine:
ora Sarraj minaccia di far arrivare migliaia di profughi in Italia. È una
minaccia reale e fondata. Colpa delle politiche folli dell’Italia e
dell’Europa. Una gestione della crisi libica di cui dovremmo, francamente,
vergognarci.
Attenzione
a considerarlo un bluff. Piuttosto, cominciamo
ad abituarci all’idea che sia un antipasto. La
minaccia-ricatto di Sarraj - datemi soldi e protezione internazionale - o
chiudo i centri di detenzione dei migranti è l’inizio di una nuova deliberata
fase del conflitto libico.
Quella
dei migranti usati come scudi umani e strumento di pressione sull’Europa, e sull’Italia in
primis. Ha cominciato il generale Haftar, che con i suoi F16 ha bombardato uno
di questi centri di detenzione nell'area di Tajoura, ammazzando 53 persone (di
cui sei bambini) in un’area che ne conteneva 200 circa. Ha continuato Sarraj,
sparando ad altezza uomo ai migranti che provavano a scappare, e continuando a
riempire i centri, salvo poi minacciare di smobilitarli. Ha concluso Haftar,
dicendosi d’accordo con il rivale.
Intendiamoci: la chiusura dei centri di
detenzione libici non è una tragedia. La tragedia, semmai, è che quei centri
esistano, che la loro esistenza sia foraggiata con soldi
occidentali, che la civilissima europa abbia appaltato a gente del genere la
propria strategia politica sull’immigrazione e che ci sia un ministro
dell’interno italiano che definisca porto sicuro quell’inferno. Il problema semmai è
che ora come ora siamo legati mani e piedi ai leader libici e ai loro capricci. È
che non abbiamo uno straccio di strategia europea su come gestire la crisi
libica, divisi come siamo tra l’Italia che sostiene Sarraj, la Francia che
sostiene Haftar e il resto del continente che se ne frega. È che abbiamo
talmente soffiato sul fuoco della paura degli sbarchi e degli arrivi via mare
che adesso i nostri “amici” libici sanno come terrorizzarci.
Che
poi, ottomila sbarchi - quelli che minaccia Sarraj - non sarebbero nemmeno
l’ombra di un’emergenza per un Paese efficiente, nel contesto di un
continente solidale. In un mondo normale non troverebbero nemmeno spazio in una
prima pagina di giornale. Se da noi sono diventati una
tragedia è colpa di un sistema di accoglienza ridicolo, di una
guerra ideologica combattuta sulle paure delle persone, di una tragicomica
dialettica europea, con Paesi che da soli hanno il Pil di mezza Africa e che
piangono miseria se devono accogliere quattrocento persone e leader navigati che
non riescono a trovare mezzo accordo per riformare il Trattato di Dublino,
così come il Parlamento Europeo ha chiesto a larghissima maggioranza solo
qualche mese fa.
E
invece, eccoci qua. Con un elettorato terrorizzato a dovere da anni di propaganda anti-migranti. Con una
sovranità lasciata nelle mani di due signorotti della guerra libici, abbastanza
cinici da usare migliaia di disperati come scudo umano. Con una guerra civile
alle porte che rischia, questa sì, di fare della Libia un gigantesco serbatoio
di richiedenti asilo in
fuga dall’inferno, quando le truppe di Haftar marceranno su Tripoli e Misurata.
Il capolavoro è servito, insomma. Abbiamo abbattuto Gheddafi senza
avere uno straccio di strategia peri il dopo. Abbiamo creato un’emergenza migranti
dove non esisteva. L’abbiamo gestita in modo demenziale, sia a livello
italiano, sia a livello europeo. Abbiamo ingrassato leader politici africani
che ora ci ricattano per avere più soldi. Abbiamo raccontato la favoletta della
Libia porto sicuro, per sentirci a posto con la coscienza mentre rimandavamo
dei disperati all’inferno. Tutto, per un po’ di soldi, o per qualche voto in
più. Adesso raccogliamo
quel che abbiamo seminato. Essere ricattati dalla Libia è il minimo che ci può
capitare. Il minimo.