“Lo Stato italiano era una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti” (Antonio Gramsci). Cialdini dava queste cifre per i primi mesi del 1861 e per la sola zona del napoletano: 8968 fucilati fra i quali 64 preti e 22 frati, 10604 feriti, 7112 prigionieri, 918 case bruciate, 6 paesi interamente arsi, 2905 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 13629 deportati, 1428 comuni posti in stato di assedio (Vittorio Messori, Le cifre del gen.Cialdini).Al Gen. Cialdini, che ordinò la strage, è intestata stranamente una delle strade principali della città di Pesaro.
14 agosto 2016 – Antonio Gaito
All’indomani della proclamazione
del Regno d’Italia, in molti territori appartenenti all’ormai ex Regno delle
Due Sicilie, si verificarono non
pochi casi di resistenza di matrice filoborbonica contro il neonato Stato
sabaudo. Rivolte e tumulti, spesso capeggiati da semplici
cittadini o da militari dell’ex esercito duosiciliano, erano all’ordine del
giorno. Uno di questi episodi si verificò
il 7 agosto 1861 quando i componenti della brigata Fra Diavolo,
capeggiati da Cosimo Giordano ex
sergente di Sua Maestà Francesco II di Borbone, occuparono i
paesi di Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento, ed issata la
bandiera borbonica vi proclamarono un governo provvisorio.
L’11 agosto del 1861 un commando composto da quaranta
soldati e quattro carabinieri ebbe l’incarico, da parte del governo centrale,
di effettuare una ricognizione per appurare la portata della sommossa. Giunti
alle porte dei due paesi, questi uomini vennero catturati dai briganti coadiuvati dalle popolazioni del posto.
Il destino che li attese fu quello della morte.
Appresa la notizia il
generale Enrico Cialdini non esitò a ricambiare il favore,
pretendendo una celere vendetta che
ripagasse il sangue col sangue. Accecato dalla rabbia tuonò: «Li voglio tutti morti! Sono tutti contadini e
nemici dei Savoia, nemici del Piemonte, dei bersaglieri e del mondo. Morte ai
cafoni, morte a questi terroni figli di puttana, non voglio testimoni, diremo
che sono stati i briganti». A queste parole intrise di odio e
vendetta verso quelle popolazioni che avevano osato assassinare i soldati del
Regno d’Italia e che avevano avuto l’ardire di ribellarsi ai nuovi detentori
del potere politico, seguì un vero e
proprio eccidio, dimenticato troppo facilmente dal governo italiano
e subito ridimensionato dalla storiografia del vincitore.
«Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra».
Questo fu l’ordine del generale
Enrico Cialdini rivolto al colonnello Pier Eleonoro Negri ed al maggiore
Melegari, che erano a capo di due reparti dell’esercito rispettivamente diretti
a Casalduni e Pontelandolfo. Il primo
comune fu trovato quasi deserto poiché i cittadini vennero
avvertiti della rappresaglia. A
Pontelandolfo invece la sorte fu meno benevola ed il destino di
quelle genti fu segnato da una morte abominevole e violenta. I cittadini
vennero infatti sorpresi e colpiti nel sonno. Le case distrutte ed incendiate,
le chiese profanate, gli uomini brutalmente fucilati. Le donne prima subirono percosse e violenze
sessuali e poi vennero uccise. Nemmeno i bambini vennero
salvati dalla furia distruttrice del commando di bersaglieri che li arse vivi
nelle loro abitazioni. La punizione inflitta alle popolazioni di Pontelandolfo
e Casalduni doveva essere e fu, di fatto, esemplare. Le due città vennero rase
al suolo così come il generale Cialdini aveva ordinato.
Monumento ai Caduti |
Queste le modalità del massacro
riportate dal militare Carlo Margolfo nelle sue memorie:
«Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a
Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte
donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato
a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava,
ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno
per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte
era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante
l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente
mancava…Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano
rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli,
sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi
scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano
portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco
crepitava.»
Purtroppo non conosciamo il numero esatto dei caduti e le
cifre che si rincorrono sono discordanti, c’è chi ha parlato di
400 vittime, chi di 1000 addirittura. C’è, ancora, chi nega l’eccidio. In
questo scenario di verità storiche celate e di passato alterato abbiamo una
sola certezza. Quella verificatasi
dopo l’Unità d’Italia è stata una vera e propria guerra civile,
tra i nuovi dominatori che avevano negli emblemi di casa Savoia la fonte del
loro potere e tra i vinti della storia, quelli che la storiografia ha definito
in maniera dispregiativa “briganti”. Una
lotta impari e sanguinaria, tra un esercito addestrato ed
armato fino ai denti contro contadini, artigiani, commercianti o più
semplicemente uomini che non hanno voluto piegarsi agli interessi ed
all’arroganza dei “fratelli Piemontesi”, ma che rimanendo fedeli ai loro
ideali, non hanno avuto paura di immolare le loro stesse vite in nome della
propria libertà ed identità.
Nel 2011, tardive ed intempestive,
sono arrivate le scuse ufficiali dello Stato Italiano che orripilato dal terribile
eccidio ha posto una lapide nei luoghi della strage, impiegando la bellezza di
150 anni per ammettere che massacro fu! Meglio tardi che mai.
Fonti:
– Gigi Di Fiore, I vinti del
Risorgimento, Torino, UTET, 2004.
– Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento, Napoli, Guida, 2000.
– Aldo De Jaco, Il brigantaggio meridionale, Editori Riuniti, 2005.
– Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud.
– Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento, Napoli, Guida, 2000.
– Aldo De Jaco, Il brigantaggio meridionale, Editori Riuniti, 2005.
– Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud.