“Tutto il paese è sotto shock: ovunque
distruzione, terra, massi, auto demolite, camion sepolti, speranze distrutte”. E’ la cronaca di una notte da incubo. Un disastroso alluvione ha
distrutto il beneventano, la vallata del Calore, la valle telesina e quella
caudina. La cronista parla di Ponte (Bn) ma chiunque ha vissuto quella notte si
può ritrovare nelle sue parole.
Foto MeteoWeb |
Teresa Simeone
16 ottobre 2015 - da IL
VAGLIO.IT
Un boato scuote una notte
già segnata da tuoni, fulmini, lampi; un rumore assordante dà la misura
dell’eccezionalità di ciò che sta accadendo: si scende in strada e l’apocalisse
sempre temuta è là, sotto casa tua, dentro casa tua (Vai
alla fotogallery). Il viale Stazione è un torrente in piena: dal
costone della ferrovia, attraverso i locali sottostanti, un’onda d’acqua ha
divelto le saracinesche riversando in strada tonnellate di acqua e fango. Più
in là un’intera parete su cui passano i binari della stazione, che ha retto a
terremoti, alluvioni e tempeste, ha ceduto per diversi metri, rovinando su una
casa adiacente e seppellendo in un colpo solo tutto ciò che vi era al di sotto,
comprese suppellettili e un’automobile, completamente distrutta. Massi enormi
sulla strada e grida disperate delle donne che vivono in quella casa.
Tutti gli abitanti del viale Stazione sono
fuori dalle case per soccorrere l’anziana malata che è ancora dentro. Un intero
quartiere è mobilitato a prestare aiuto: si corre in ogni direzione per
controllare se qualcuno è in pericolo, prendere in braccio chi non ce la fa,
calmare chi è nel panico. E tutt’intorno freddo, tuoni, fulmini e pioggia, una
pioggia torrenziale e inarrestabile. Ciò che fa più paura è il fiume.
La ferrovia
dissestata a monte e il fiume in piena a valle: le case tra due cataclismi.
Dopo un po’ ci si rende conto che non è né l’unico caso né il più grave; tutta
la strada che da via Ripagallo taglia il paese in due è un mare di fango e di
detriti. La via centrale è impraticabile, coperta da montagne di terra.
Ed ecco che
emerge con forza un’altra catastrofe: la collina a ridosso di uno dei palazzi
più abitati di Ponte è franata. Tonnellate di massi, fango, pietre, acqua hanno
seppellito tutto ciò che hanno trovato davanti: macchine, alberi, negozi. Impossibile
accedervi, impossibile farsi spazio per vedere cosa è successo. Una montagna
insormontabile su cui si può soltanto salire. Gli accessi ai negozi e alle
scale che portano agli appartamenti superiori completamenti ostruiti; i garage
con le auto dei condomini allagati e inaccessibili. Danni incalcolabili. Per
fortuna nessun disperso: è l’unica consolazione, la più importante sicuramente,
e quella che fa superare la disperazione.
Non c’è
tempo per pensare a niente se non a telefonare ai propri cari, agli amici, a
quelli che vivono in campagna, perché immagini con terrore che se in centro c’è
ovunque distruzione, nelle zone circostanti la situazione non sarà certamente
migliore. Ma i telefoni di casa sono spenti perché l’energia elettrica è
saltata e i cordless sono muti così come il tuo cellulare che si è ormai
scaricato per le telefonate fatte; non c’è acqua, non c’è corrente: un silenzio
assurdo e l’impotenza ad agire.
Allora
cerchi di farti strada tra i detriti e vedere se è possibile arrivare con la
macchina dove ci sono i tuoi cari, ma i ponti sono impraticabili, ostruiti
dalle montagne di rifiuti e di alberi che la forza della piena ha sradicato,
trascinandoseli dietro e ostruendo le vie sotto i ponti. L’Abbazia di
Sant’Anastasia dell’VIII secolo, il gioiello storico del paese, è completamente
isolata, lambita dall’acqua, che rischia di erodere anche le mura che la
proteggono e definiscono. È immersa in un lago marrone e torbido, inaccessibile
perché i due ponti che la delimitano sono entrambi ostruiti da alberi, detriti,
ammassi di arbusti e piante.
È un
incubo, un incubo da cui si cerca di svegliarsi, ma inutilmente.
Improvvisamente ritorna acuto il pensiero che ha costantemente chi vive nelle
vicinanza di un fiume. Corri dietro casa tua e vedi che il livello sta
aumentando in maniera incontrollabile: la piena travolge ogni cosa. Hai sempre
temuto il fuoco, come il peggiore degli elementi che potrebbero scatenarsi, ma
l’acqua è incontenibile. Avanza minacciosamente e inizia a straripare. Casa tua
è a pochi metri: tra qualche ora entrerà nei locali, sommergendo ogni cosa,
senza più freni, distruggendo ancora. E sarà davvero la fine per Ponte e per
ogni collegamento con l’esterno.
Ti fermi
sul ciglio dell’alveo e misuri con gli occhi, impotente, il livello che si alza
e che sta sommergendo le auto, i cortili, i garage. Ti sposti sul lungo fiume e
lo percorri, ma puoi farlo fino a un certo punto: l’acqua ha sommerso un altro
ponte, interrompendo la strada per il cimitero. Anche qui un nuovo lago di melma
e rifiuti. Ritorni come un disperato dietro casa tua e vedi che il livello è
salito ancora: tra poco quel mare di fango e acqua invaderà le strade.
Tutto il
paese è sotto shock: ovunque distruzione, terra, massi, auto demolite, camion
sepolti, speranze distrutte. E pensi a tutti i sacrifici che Giovanna ha fatto
per aprire il negozio che è stato seppellito, all’entusiasmo con cui ha curato
tutte le pratiche, pure fastidiose e interminabili, per aprire l’attività; al
mutuo che Francesco ha acceso per poter gettare al figlio le basi di un futuro
meno drammatico; alla finanziaria che Domenico è riuscito, dopo tanto penare,
ad attivare per il suo negozio. Pensi alle rate dell’auto che Alfonso ha dovuto
comprare, alle privazioni che Annamaria ha chiesto non solo a se stessa, che è
adulta e in grado di sopportare, ma ai suoi figli ai quali, con la morte nel
cuore, ha negato magari il giubbino e la borsa che avevano chiesto per il
compleanno. Pensi alle promesse che tanti tuoi compaesani hanno fatto a loro
stessi per sopportare le difficoltà del quotidiano; alla vacanza di Natale cui
già molti a ottobre hanno rinunciato perché le tasse li hanno costretti a
tagliare tutto ciò che non fosse strettamente indispensabile per la
sopravvivenza; pensi alla casa che con tanti sacrifici tuo fratello ha appena
completato, a quella che tua sorella ha da poco tinteggiato di nuovo, ai mobili
che tuo cognato ha finalmente acquistato.
Pensi alle
tante vite di stenti e di sacrifici e ti verrebbe da piangere, da disperarti,
ma non devi, non te lo puoi permettere. Nessuno se lo può permettere: ci sono i
massi da rimuovere e i danni da riparare. E vedi il paese che si dà da fare,
cerca carriole, vanghe, stivaloni per non scivolare nel fango e spala, spala
senza chiedersi quanto tempo e forze ci vorranno e senza chiedere aiuto perché
sa e vede che tutti, tutti sono nelle stesse condizioni e lavorano senza sosta
per le proprie case.
C’è uno
sbigottimento doloroso palpabile, che si legge negli sguardi di ogni donna, di
ogni uomo, di ogni ragazzo che incroci; una disperazione dignitosa, che non
accusa né recrimina. Non c’è tempo né voglia per le critiche: bisogna agire,
poi si vedranno se ci sono colpe o responsabilità. Ora conta soltanto essere
uniti e lavorare. Una sola certezza in tanto smarrimento: ci vorrà tempo, ma ce
la faremo. Ne siamo sicuri, vogliamo esserne sicuri.