sabato 17 ottobre 2015

PONTE: UN PAESE IN GINOCCHIO, L’ACQUA HA TRAVOLTO E DISTRUTTO TUTTO




“Tutto il paese è sotto shock: ovunque distruzione, terra, massi, auto demolite, camion sepolti, speranze distrutte”. E’ la cronaca di una notte da incubo. Un disastroso alluvione ha distrutto il beneventano, la vallata del Calore, la valle telesina e quella caudina. La cronista parla di Ponte (Bn) ma chiunque ha vissuto quella notte si può ritrovare nelle sue parole.

Foto MeteoWeb
 
Teresa Simeone
16 ottobre 2015 - da IL VAGLIO.IT 


Un boato scuote una notte già segnata da tuoni, fulmini, lampi; un rumore assordante dà la misura dell’eccezionalità di ciò che sta accadendo: si scende in strada e l’apocalisse sempre temuta è là, sotto casa tua, dentro casa tua (Vai alla fotogallery). Il viale Stazione è un torrente in piena: dal costone della ferrovia, attraverso i locali sottostanti, un’onda d’acqua ha divelto le saracinesche riversando in strada tonnellate di acqua e fango. Più in là un’intera parete su cui passano i binari della stazione, che ha retto a terremoti, alluvioni e tempeste, ha ceduto per diversi metri, rovinando su una casa adiacente e seppellendo in un colpo solo tutto ciò che vi era al di sotto, comprese suppellettili e un’automobile, completamente distrutta. Massi enormi sulla strada e grida disperate delle donne che vivono in quella casa.

Tutti gli abitanti del viale Stazione sono fuori dalle case per soccorrere l’anziana malata che è ancora dentro. Un intero quartiere è mobilitato a prestare aiuto: si corre in ogni direzione per controllare se qualcuno è in pericolo, prendere in braccio chi non ce la fa, calmare chi è nel panico. E tutt’intorno freddo, tuoni, fulmini e pioggia, una pioggia torrenziale e inarrestabile. Ciò che fa più paura è il fiume.
Foto IlVaglio.it
Foto IlVaglio.it
La ferrovia dissestata a monte e il fiume in piena a valle: le case tra due cataclismi. Dopo un po’ ci si rende conto che non è né l’unico caso né il più grave; tutta la strada che da via Ripagallo taglia il paese in due è un mare di fango e di detriti. La via centrale è impraticabile, coperta da montagne di terra.
Ed ecco che emerge con forza un’altra catastrofe: la collina a ridosso di uno dei palazzi più abitati di Ponte è franata. Tonnellate di massi, fango, pietre, acqua hanno seppellito tutto ciò che hanno trovato davanti: macchine, alberi, negozi. Impossibile accedervi, impossibile farsi spazio per vedere cosa è successo. Una montagna insormontabile su cui si può soltanto salire. Gli accessi ai negozi e alle scale che portano agli appartamenti superiori completamenti ostruiti; i garage con le auto dei condomini allagati e inaccessibili. Danni incalcolabili. Per fortuna nessun disperso: è l’unica consolazione, la più importante sicuramente, e quella che fa superare la disperazione.
Non c’è tempo per pensare a niente se non a telefonare ai propri cari, agli amici, a quelli che vivono in campagna, perché immagini con terrore che se in centro c’è ovunque distruzione, nelle zone circostanti la situazione non sarà certamente migliore. Ma i telefoni di casa sono spenti perché l’energia elettrica è saltata e i cordless sono muti così come il tuo cellulare che si è ormai scaricato per le telefonate fatte; non c’è acqua, non c’è corrente: un silenzio assurdo e l’impotenza ad agire.
 
Allora cerchi di farti strada tra i detriti e vedere se è possibile arrivare con la macchina dove ci sono i tuoi cari, ma i ponti sono impraticabili, ostruiti dalle montagne di rifiuti e di alberi che la forza della piena ha sradicato, trascinandoseli dietro e ostruendo le vie sotto i ponti. L’Abbazia di Sant’Anastasia dell’VIII secolo, il gioiello storico del paese, è completamente isolata, lambita dall’acqua, che rischia di erodere anche le mura che la proteggono e definiscono. È immersa in un lago marrone e torbido, inaccessibile perché i due ponti che la delimitano sono entrambi ostruiti da alberi, detriti, ammassi di arbusti e piante.
È un incubo, un incubo da cui si cerca di svegliarsi, ma inutilmente. Improvvisamente ritorna acuto il pensiero che ha costantemente chi vive nelle vicinanza di un fiume. Corri dietro casa tua e vedi che il livello sta aumentando in maniera incontrollabile: la piena travolge ogni cosa. Hai sempre temuto il fuoco, come il peggiore degli elementi che potrebbero scatenarsi, ma l’acqua è incontenibile. Avanza minacciosamente e inizia a straripare. Casa tua è a pochi metri: tra qualche ora entrerà nei locali, sommergendo ogni cosa, senza più freni, distruggendo ancora. E sarà davvero la fine per Ponte e per ogni collegamento con l’esterno.
Ti fermi sul ciglio dell’alveo e misuri con gli occhi, impotente, il livello che si alza e che sta sommergendo le auto, i cortili, i garage. Ti sposti sul lungo fiume e lo percorri, ma puoi farlo fino a un certo punto: l’acqua ha sommerso un altro ponte, interrompendo la strada per il cimitero. Anche qui un nuovo lago di melma e rifiuti. Ritorni come un disperato dietro casa tua e vedi che il livello è salito ancora: tra poco quel mare di fango e acqua invaderà le strade.
Tutto il paese è sotto shock: ovunque distruzione, terra, massi, auto demolite, camion sepolti, speranze distrutte. E pensi a tutti i sacrifici che Giovanna ha fatto per aprire il negozio che è stato seppellito, all’entusiasmo con cui ha curato tutte le pratiche, pure fastidiose e interminabili, per aprire l’attività; al mutuo che Francesco ha acceso per poter gettare al figlio le basi di un futuro meno drammatico; alla finanziaria che Domenico è riuscito, dopo tanto penare, ad attivare per il suo negozio. Pensi alle rate dell’auto che Alfonso ha dovuto comprare, alle privazioni che Annamaria ha chiesto non solo a se stessa, che è adulta e in grado di sopportare, ma ai suoi figli ai quali, con la morte nel cuore, ha negato magari il giubbino e la borsa che avevano chiesto per il compleanno. Pensi alle promesse che tanti tuoi compaesani hanno fatto a loro stessi per sopportare le difficoltà del quotidiano; alla vacanza di Natale cui già molti a ottobre hanno rinunciato perché le tasse li hanno costretti a tagliare tutto ciò che non fosse strettamente indispensabile per la sopravvivenza; pensi alla casa che con tanti sacrifici tuo fratello ha appena completato, a quella che tua sorella ha da poco tinteggiato di nuovo, ai mobili che tuo cognato ha finalmente acquistato.
Pensi alle tante vite di stenti e di sacrifici e ti verrebbe da piangere, da disperarti, ma non devi, non te lo puoi permettere. Nessuno se lo può permettere: ci sono i massi da rimuovere e i danni da riparare. E vedi il paese che si dà da fare, cerca carriole, vanghe, stivaloni per non scivolare nel fango e spala, spala senza chiedersi quanto tempo e forze ci vorranno e senza chiedere aiuto perché sa e vede che tutti, tutti sono nelle stesse condizioni e lavorano senza sosta per le proprie case.
C’è uno sbigottimento doloroso palpabile, che si legge negli sguardi di ogni donna, di ogni uomo, di ogni ragazzo che incroci; una disperazione dignitosa, che non accusa né recrimina. Non c’è tempo né voglia per le critiche: bisogna agire, poi si vedranno se ci sono colpe o responsabilità. Ora conta soltanto essere uniti e lavorare. Una sola certezza in tanto smarrimento: ci vorrà tempo, ma ce la faremo. Ne siamo sicuri, vogliamo esserne sicuri.