Aldo Maturo
Ho abitato al
quadrivio per oltre 30 anni e non posso che solidarizzare con Carletto Franco e
Alice Canelli di cui comprendo perfettamente l’esasperazione (http://www.vivitelese.it/2012/10/telese-una-situazione-insostenibile).
Abitare in una zona
ad alto inquinamento acustico è molto penalizzante ed ancora oggi mi fanno pena
gli abitanti del centro della città dove vivo, vittime designate del rumore di
fiere,concerti e festival, per non parlare di quelli del lungo mare assordati
tutta l’estate dalla musica live o hi-fi dei vari localini che brulicano di
gente fino alle 3 o alle 4 di notte. Le proteste degli interessati riempiono le
cronache locali, le autorità amministrative emettono ordinanze, i vigili
intervengono a campione per tacitare i decibel, ma è una battaglia perduta.
Tutti i centro
città, da nord a sud, sono il naturale centro di aggregazione dove
confluiscono gli abitanti della periferia e dell’interland per le più
svariate occasioni festaiole. Al termine si sciama verso la propria tranquilla
casetta rionale, mentre il centro resta lastricato da lattine, cestini di
rifiuti traboccanti immondizia, tappeti di cicche, cartacce, bottiglie di birra
rotte. Si torna a casa frastornati per la ressa, per il traffico inusuale, per
il livello degli altoparlanti, per i rumors di fondo che inevitabilmente
accompagnano ogni festa, paesana o cittadina che sia.
La fortuna di
staccare la spina e tornare a casa non tocca però chi al centro ci abita
sempre. Per questo suo “privilegio” ha un prezzo da pagare: infissi
chiusi, doppi vetri, aria condizionata, assenza di quiete e di
tranquillità (dopo la mia esperienza giovanile ho fatto di tutto per trovarmi
una casa decentrata e silenziosa). A fronte di quanti possono scegliere di
divertirsi o di stare a casa lui non sceglie. Lui subisce, sopporta, si rode il
fegato e si rintrona le orecchie con i decibel esagerati che attirano i
pendolari del divertimento.
A riprova di come il
fenomeno possa essere vissuto sotto diverse prospettive lo si è visto qui
in città quando un partito politico ha deciso di decentrare il suo annuale
festival spostandolo dal centro alla periferia. Ci mancava poco che il rione
“prescelto” facesse le barricate contro i quindici giorni di giostre,
girotondi, musiche, altoparlanti, stand gastronomici e acri odori di wurstel e
salsicce.
Non credo ci siano
soluzioni. Non si può sperare nell’autocontrollo specialmente quando il
gruppo diventa branco. Non si può sperare nell’intervento delle forze
dell’ordine, insufficienti e demotivate ad intervenire perché consapevoli di
poter essere irrise per la loro insufficienza numerica. Un’idea potrebbe
essere il camper fisso del posto di polizia, ma evidentemente ci sono priorità
più importanti.
A Bologna di
notte Piazza Verdi diventa terra di nessuno e chi ha tentato di reagire
con secchiate d’acqua dai balconi si è trovato sfondato il portone del palazzo
e l'androne devastato. La mattina a terra c’è un mare di
bottiglie e di bicchieri rotti mentre per molti clienti i servizi
igienici durante la notte sono stati un optional a considerare lo stato dei
muri e degli androni.
A Urbino ogni
giovedi sera il centro città è nelle mani di migliaia di giovani che vi confluiscono
anche dalle regioni vicine. E’ diventato un problema di ordine pubblico che le
autorità tentano di arginare disponendo tra l’altro il divieto di vendita
per asporto di bottiglie in vetro e divieto di abbandono delle medesime,
sanzionate con 450 euro di multa. Ai titolari di pubblici esercizi,
attività commerciali in sede fissa e attività artigianali ubicati nel centro
storico e nelle immediate adiacenze, è vietata la vendita per asporto di
bevande in contenitori di vetro dopo le ore 20 e fino alla chiusura. Fonti
amiche dei vertici delle forze dell’ordine mi hanno confermato che si
lascia correre, salvo i casi in cui lo scompiglio in centro assume proporzioni
non più trascurabili, mentre gli urbinati doc fuggono verso le case di periferia.
A Roma c’è Piazza
Santa Maria in Trastevere, uno degli angoli più belli di Roma, luogo cult della
movida romana, invaso di notte da migliaia di giovani delle più svariate etnie
che si divertono, ridono, urlano, bevono, si bucano. Non voglio immaginare cosa
pensano i residenti.
Si potrebbe
continuare con una carrellata infinita ma la cosa non consolerebbe i nostri
Carletto ed Alice che dopo questi articoli dovranno continuare a convivere con
il loro problema. Si potrebbe eccepire che la presenza di una Clinica dovrebbe
rientrare automaticamente nella zona urbana protetta dai rumori, prevista per
legge, ma c’è da chiedersi quale forte miopia programmatica abbia
concesso a suo tempo l’autorizzazione a costruire una clinica davanti
alle Terme, centro nevralgico della cittadina.
Relativamente ai bar
ed ai pub diventa sempre più difficile contemperare le esigenze dei gestori dei
locali pubblici con il diritto alla quiete pubblica del rione dove i locali
sono situati o, ancor peggio, con l’analogo diritto a vivere in pace di chi
abita nelle immediate vicinanze degli esercizi pubblici.
Un esempio viene da
Bologna dove il Comune ha consentito una deroga all’orario di
chiusura solo se l’esercente sottoscrive un accordo con il Comune con il
quale si impegna a svolgere attività di informazione e prevenzione sugli
effetti dell’alcool anche mediante cartelli e distribuzione di materiale
informativo e ad adottare misure idonee a garantire che l’afflusso dei clienti
o soci con costituisca ostacolo al passaggio dei pedoni e al traffico
veicolare.L’esercente si deve poi impegnare a vigilare affinché i clienti non
consumino bevande all’esterno dei locali ed evitino comportamenti
pregiudizievoli alla quiete pubblica e privata, all’igiene e alla pubblica
decenza. Un ulteriore impegno prevede l’installazione di servizi igienici
aggiuntivi. Il provvedimento non poteva che essere impugnato al TAR che
comunque ha dato ragione al Comune perchè ha ritenuto che il contemperamento
delle esigenze commerciali con quelle attinenti alla salute e alla quiete
pubblica è previsto in generale dall’art. 50, comma 7, del D. Lgs. 267/2000
(orario di apertura disposto dai sindaci) e dagli artt. 11 e 12 del D. Lgs
114/98 per il commercio (orario di apertura determinato dagli esercenti in una
fascia oraria massima) e discende dalla necessità che il libero svolgimento
delle attività imprenditoriali (art. 41 cost.) trovi un limite nella tutela dei
diritti che sono anch’essi costituzionalmente garantiti, come appunto il
diritto alla salute dei residenti nelle vicinanze dei pubblici esercizi.
Il cerchio si
chiude. Se si dovesse estendere anche ad altre città un tale principio, la
possibilità che lo si possa far rispettare sarebbe limitata naturalmente ai
gestori dei locali e non alle comitive che migrerebbero altrove. Ma un tale
rigore, in un piccolo centro, non sarebbe inquinato da interessi
elettorali, rapporti amicali e asserite insufficienze di risorse umane?