Per il napoletano doc stare a tavola equivale a un
vero e proprio rito sacro. Pranzo o cena che sia, l’importante è mantenere
saldi alcuni principi fondamentali da cui non si può prescindere.
Il
napoletano è un buongustaio, ama la buona cucina – ça va sans dire
– partenopea, gli piace stare in buona compagnia e condividere i
piaceri della tavola in famiglia e con gli amici. Ma è anche molto pignolo, sa
essere pretenzioso, anche un po’ rompiscatole volendo, è legato alle tradizioni
e il più delle volte guai! a non rispettarle. Ma lo fa perché non vuole
rinunciare a nulla, vuole godersi il momento. Per questo provo a farvi
conoscere, da napoletana doc, 17 cose che davvero non sopportiamo a tavola:
La pasta scotta: sin da tempi non sospetti c’è
sempre stato un grosso divario tra Nord e Sud sulla cottura della pasta. Chi
dice che al nord sia più scotta che a sud, chi dice che non è vero, fatto sta
che il napoletano non sopporta la pasta scotta, prova un senso di disagio,
insomma che piatto di spaghetti al pomodoro sia, ma rigorosamente al dente!
Quando manca il pane: la presenza del pane a tavola è
sacrosanta, non deve mai mancare. Ammazza la fame in attesa dei pasti, serve a
fare la scarpetta nel piatto di ragù la domenica, accompagna ogni tipo di
pietanza, dall’aperitivo alla frutta. Può mancare l’acqua, tanto si rimedia con
il vino, ma il pane no.
Pane senza sale: sull’argomento pane se ne
potrebbero dire tantissime, una fra le tante è il pane senza sale. Avete mai
visto un napoletano quando soggiorna in Toscana? Lo riconoscete subito, perché
è quello che a tavola aggiunge sale e olio alle fette di pane per insaporirle.
Magari senza sale fa anche bene alla salute, ma volete mettere un pezzo di pane
saporito?
Pane girato: il napoletano è superstizioso, su
questo c’è poco da dire. Per cui anche a tavola ci sono delle usanze da
rispettare. Ad esempio mai tenere il pane capovolto, porta male. Soprattutto
quelli un po’ più anziani lo considerano un atto sacrilego: può presagire una
sventura per uno dei commensali o addirittura può significare carestia.
Contravvenire alle superstizioni: mai
passarsi il sale a tavola, meglio prenderselo con le proprie mani, anche se è a
chilometri di distanza da voi. Così come l’olio: farlo cadere o rovesciarlo a
terra porta malissimo. Non proprio tutti sono superstiziosi ma, della serie “non
è vero, ma ci credo”, meglio tutelarsi da occhiatacce e ramanzine di chi vi
osserva.
Non rispettare le tradizioni: non c’è
Natale senza il cenone a base di pizza di scarole, spaghetti ai frutti di mare,
capitone e baccalà fritti, struffoli e roccocò, così come non c’è Pasqua senza pastiera,
casatiello e minestra maritata. La domenica è dedita al ragù o alla genovese.
Mai stravolgere le tradizioni, altrimenti che piacere c’è?
Parlare male delle proprie tradizioni: la
compagnia a tavola è importante, sempre meglio scegliersi quella giusta, perché
noi napoletani ci teniamo alle nostre tradizioni culinarie, ne facciamo un
vanto, ci piace raccontarle e metterle in mostra. Se qualcuno ha qualcosa da
obiettare, non se la cava facilmente, perché siamo disposti a difenderle armati
fino ai denti pur di tenere alto il loro buon nome.
Pizza croccante e senza cornicione: abbiamo
gridato al complotto dopo la trasmissione di Report dedicata alla pizza.
Checché se ne sia detto, la pizza bruciata o croccante non ci piace. Ogni volta
che da Roma in su proviamo a mangiare la pizza ci intossichiamo: secondo le
nostre abitudini, la pizza deve avere il cornicione alto e non deve essere
scrocchiarella, altrimenti non è pizza napoletana.
Pizza surgelata: già abbinare questi due termini,
ci fa venire l’orticaria. Mangiamo pizza da che mondo è mondo, a pranzo o a
cena è indifferente, da quando cominciamo a mettere i primi dentini. Se solo a
Napoli, in buona parte delle pizzerie, si sfornano circa mille pizze al giorno,
un motivo ci sarà. Per cui le multinazionali del settore, se dipendesse da noi,
potrebbero anche fallire. Se non riusciamo a mangiarla in pizzeria, pizza da
asporto tutta la vita!
Poco condimento: ahinoi, le nostre nonne ci hanno
abituati fin troppo bene al cibo ben condito. Ricordo ancora la mia quando mi
diceva “se non ci metti gli odori nella pasta e fagioli, nun sape ‘e niente
(non sa di niente)”. Tutto ciò che è commestibile deve avere sapore. E vai
giù di olio e di sale e di pomodoro che mettiamo in ogni dove, alla fine mangiamo
tutti felici e contenti.
Le cose arronzate: vi chiederete cosa significa il
termine “arronzate”, ve lo spiego subito. Arronzare vuol dire
fare le cose di fretta, senza curare i dettagli. Questo a volte capita anche
nei ristoranti più frequentati: ne usciamo scontenti quando, per velocizzare i
tempi, le porzioni magari non ci soddisfano oppure quando i camerieri ti fanno
pressione affinché tu possa sgomberare il tavolo e fare posto ad altri, in
particolare nelle pizzerie.
Parmigiano sugli spaghetti con le vongole: eresia
pura, solo a sentirne parlare. Il parmigiano sui piatti a base di pesce non si
può spolverizzare, perché cambia tutto. La vongola è un mollusco verace, si
deve percepire bene il suo sapore in bocca. Il parmigiano sta allo spaghetto a
vongole come io sto alla danza classica, insomma non c’appizza nulla.
Il sugo sciacquato: in napoletano diciamo
sciacquato, ma per comprendere l’espressione forse sarebbe meglio dire
annacquato. Perché il sugo di pomodoro, così come lo intendiamo noi, deve
essere bello denso. Secondo voi perché ci ammazziamo di lavoro per preparare il
ragù della domenica, iniziando la preparazione dal giorno prima, affinché
cuocia poi lentamente per tante ore? Mica siamo masochisti! È che a noi il sugo
piace così, carico, mai allungarlo con acqua.
Carne poco cotta: purtroppo dobbiamo ammettere che
di frollatura e di tutte queste belle teorie sulla carne ne sappiamo ben poco.
Quando capita di vedere una fiorentina per la prima volta, senza sapere poi
cosa ci si perde, storciamo il naso. Siamo abituati al massimo ad una media
cottura alla brace, quando ci viene richiesto, ma se proprio dobbiamo
scegliere, sempre meglio ben cotta, è prassi.
Mangiare la domenica prima delle 13.30: semmai
dovesse capitare a un napoletano doc, in questo giorno così sacro della
settimana, di dover pranzare prima di questo orario, c’è solo una motivazione:
vuol dire che è in ospedale, perché solo lì si mangia prima delle 13.30. La
domenica non è domenica se non ci si mette a tavola alle 14, o anche più tardi
in molti casi, perché ci si sveglia con calma e, solo dopo la passeggiata e la
visita ai parenti, ci si mette comodi a tavola per pranzare.
Quando mancano i dolci la domenica: tra
passeggiate e visita ai parenti compresa, la sosta in pasticceria è
obbligatoria, perché la domenica i dolci sono fondamentali. Puoi aver
ingurgitato tonnellate di ragù, consumato tre chili di pane per la scarpetta,
puoi avere la faccia a forma di polpetta della nonna, ma uno spazio per la
pastarella ci deve sempre essere. Quando mancano i dolci, non è domenica.
Il caffè fatto male: non c’è bisogno di spiegarlo,
vero?