Il Quadrivio di Telese Terme |
Aldo Maturo
Il Bar Sport al Quadrivio era il locale pubblico più frequentato di Telese. Credo non abbia mai conosciuto un periodo di crisi e in quei locali hanno trascorso parte della loro vita molti telesini, impegnati in infinite partite a scopa e tressette mentre i più giovani si alternavano in interminabili tornei di bigliardo, dalla Bazzica al 48.
Il Bar Sport al Quadrivio era il locale pubblico più frequentato di Telese. Credo non abbia mai conosciuto un periodo di crisi e in quei locali hanno trascorso parte della loro vita molti telesini, impegnati in infinite partite a scopa e tressette mentre i più giovani si alternavano in interminabili tornei di bigliardo, dalla Bazzica al 48.
Sempre pieno di fumo, che
aleggiava come nebbia azzurrina sotto i lampioni verdi a picco sul bigliardo,
il locale alternava il vociare e i commenti più coloriti ad un improvviso
religioso silenzio quando c’era un colpo decisivo.
Il giocatore, ruotata la
stecca nel gessetto, si chinava in avanti e la faceva scivolare più volte tra
pollice e indice prima del tocco che faceva schizzare la palla in geometriche
evoluzioni con un susseguirsi di sponde, palle e rimpalli. Solo allora
riprendeva il brusio anche per commentare l’esito.
Da sx: Filippiello, Tonino Di Mezza, Ciccio 'O Forestiero, Clemente Romano |
La mia camera era sopra
il bar e quasi sempre ho studiato con il sottofondo di quel “sonoro”. Più volte
ho dovuto attendere fino a tarda notte la fine dei tornei per poter dormire.
Ormai ero capace di conoscere le voci e non di rado capivo dagli urli chi, come
o perché aveva sbagliato.
Le sedie davanti al bar
erano presidiate sempre dalle stesse persone, le sentinelle del quadrivio. La
loro presenza era tanto radicata he faceva parte dell’arredo urbano e non se ne
mettevano più a fuoco neanche i visi. Il pensiero corre a loro quando Luciano
De Crescenzo parla del sostituto portiere di Via Petrarca, “figura mitologica
avente la parte superiore umana e la parte inferiore costituita da una sedia”
(Così parlò Bellavista).
IL BAR DI
SANTELLA
Il “Bar ‘e Santella”,
per i neon “Bar Vassallo”, era poco più avanti, lato stazione, e aveva
l’ingresso principale sul viale mentre l’ ingresso per il bigliardino era di
fianco, nel vicolo Macolino più noto come “ ‘int ‘u vicolo ‘e Santella”. Era il
punto di ritrovo di noi ragazzini non ancora ammessi a giocare al Bar Sport,
dove eravamo tollerati al massimo come spettatori silenziosi a braccia
conserte, in estasi davanti ai colpi di bravura dei “grandi”.
Da Santella si passava
quasi ogni pomeriggio, come per un rito. Chini sulle stecche, ci buttavamo in
tornei pieni di urla, di sudore e spesso di fazzoletti messi nelle buche delle
porte per riciclare a tempo indeterminato l’ultima pallina. I gettoni, infatti,
costavano 20 lire ed erano l’alternativa a tre sigarette che mia zia Elenuccia,
nel vicino tabacchino, vendeva anche sfuse, riservando la consegna in bustina
di carta solo ai forestieri.
Il trucco del fazzoletto
non sempre riusciva e spesso ci sorprendeva Santella o il marito, Don
Arcangelo. Insospettiti da partite interminabili non compatibili con l’acquisto
dei gettoni che avevamo comprato, irrompevano dopo aver calcolato che il rumore
delle stecche non si alternava ogni tanto con il tonfo cupo delle 10 palline
che precipitano giù ad ogni gettone. Sgridate, fuga disordinata verso l’uscita sul
vicolo lasciando spesso nel bigliardino la cartaccia o i fazzoletti non
recuperati in tempo e di fronte ai quali, vero corpo del reato, non avevamo
alcun alibi. Si ritornava come se nulla fosse e la buona Santella, con lo
sguardo truce, faceva finta di aver dimenticato i “fetienti” del giorno prima.
Passato qualche anno avemmo la copertura di Fulvio, il figlio più piccolo di
Santella, che intanto era cresciuto ed era dei nostri.
IL BAR CENTRALE
Il Bar Centrale,
di fronte al Bar Sport, era piccolo, ad angolo, privilegiato dai forestieri che
con le buste della spesa attendevano lì davanti la fermata delle “corriere” per
i paesi vicini. Penalizzato dal continuo alternarsi di gestori cambiava spesso
nome, poteva contare su due o tre tavolini e chi vi entrava lo faceva solo per
una consumazione frettolosa. D’estate i tavolini dilagavano a ventaglio sul
marciapiede e per tre mesi chi voleva passare di lì doveva dribblarli.
Bar Cleonice (Foto Enzo Neri) |
IL BAR DI
CLEONICE
Poco più avanti, verso la
Chiesa, c’era il Bar di Cleonice. Di fronte aveva il Circolo ACLI
di Stanzione dove si giocava anche a bocce. Con quello di Scialone “’ncopp ‘a
chiesa” era il pallaio di Telese, regno del “padrone e sotto”, rito collettivo
nato per svuotare fino alla nausea intere casse di birra.
Cleonice un bel giorno
spiazzò tutti mettendo nel locale un bellissimo bigliardo, dove potevano
giocare anche i ragazzi smollicando senza molti rimproveri le sue fette di pane
e mortadella innaffiate col chinotto. La novità andò avanti per un pò ma una
clientela volubile si ridivise tra altri locali.
D’estate ci si spostava
tutti verso le Terme ed allora uno dei passaggi obbligati era la sosta o il
gelato al Bar di Geppino Orfitelli, davanti alle Terme. Lavorava alle Poste
ma aveva aperto con il padre “zi Lisandro” un grazioso locale di pochi metri
quadri. Intorno tanti tavolini da dove si teneva sotto controllo il piazzale,
delimitato da quattro giganteschi platani messi poi di contorno all’aiuola
della Madonnina e finiti, tanti anni dopo, in una discarica di periferia. Dal
Bar di Geppino c’era un osservatorio privilegiato per controllare il cancello
pedonale delle terme e vedere chi entrava e chi usciva. Il Bar di Geppino verrà
utilizzato anche come quartiere generale delle Giurie ogni volta che – rubando
il tempo all’università – organizzavamo le animate Caccia al Tesoro
automobilistiche in giro per i paesi della provincia.
Immagini un po’ sfocate
di una Telese tratta dal cassetto dei ricordi che abbiamo vissuto mitigando
studio o lavoro con locali senza pretese e la mente proiettata verso un
futuro che si fantasticava come sempre migliore.
(da "Fotogrammi di memoria", Aldo Maturo, Ediz.Nous, 2013)